Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 9897 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 9897 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CASTELLAMMARE DI STABIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/03/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME
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che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza emessa il 06/11/2020 dal Tribunale di Torre Annunziata, con la quale NOME COGNOME – all’esito di giudizio abbreviato – era stato giudicato responsabile del reato previsto dall’art. 95 del T.U. emesso con d.P.R. 30 maggio 2002, n.115; commesso per avere, nell’ambito del procedimento penale n.2641/2020, pendente di fronte al suddetto Tribunale, dichiarato un reddito familiare complessivo per l’anno 2017 di € 5.355.05, dichiarazione non veritiera essendo risultato il reddito pari a € 23.078,48, superiore al limite massimo previsto per l’ammissione al beneficio; e quindi condannato, con la contestata recidiva giudicata equivalente alle riconosciute circostanze attenuanti generiche, alla pena di anni uno di reclusione ed € 400,00 di multa.
La Corte territoriale ha premesso che la misura del predetto reddito era stata accertata da parte della Guardia di Finanza; dalle cui informazioni era emerso che, nel corso del 2017, lo COGNOME aveva percepito la somma di € 10.900,00 per assicurazioni diverse da quelle sulla vita, mentre il familiare NOME COGNOME aveva percepito € 12.178,48 per redditi da lavoro dipendente, con la conseguenza che il nucleo familiare era risultato titolare del predetto reddito complessivo.
Ha quindi osservato che, nel caso di specie, non vi era dubbio in ordine alla plurime difformità tra quanto dichiarato dall’imputato e l’oggettiva consistenza complessiva del reddito del nucleo familiare; ha quindi ritenuto infondato il motivo di appello inerente alla dedotta carenza dell’elemento soggettivo e che – sulla base della prospettazione difensiva – sarebbe derivata dall’aver affidato la richiesta del certificato ISEE a persona non compresa nel proprio nucleo familiare e in conseguenza del sofferto stato di detenzione.
Sul punto, la Corte territoriale ha osservato che non poteva ragionevolmente ritenersi che l’imputato ignorasse la percezione di redditi da parte del fratello convivente e derivante da assicurazioni RAGIONE_SOCIALE e che l’imputato medesimo ignorasse di dovere dichiarare la percezione di premi assicurativi, da ritenersi pienamente soggetti al relativo onere dichiarativo.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, tramite il proprio difensore, articolando un unitario motivo di impugnazione nel quale ha dedotto la violazione di legge nonché la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione all’art.606, comma 1, lett.b) ed e) cod.proc.pen..
Ha dedotto che i giudici di merito avevano errato nell’interpretare la nozione di ‘reddito’ rilevante ai fini della disposizione incriminatrice; ha infatti dedotto l’importo di C 10.900,00 percepito per assicurazioni diverse da quella sulla vita doveva considerarsi esente dal relativo computo, trattandosi di risarcimento del danno conseguente a incidente e non di entrata reddituale; mentre, in ordine al reddito percepito dal fratello dell’imputato, ha dedotto che la Corte territoriale non avrebbe fornito risposta agli elementi evidenziati nell’atto di appello e relativ all’elemento soggettivo del reato, atteso che – nel periodo in questione l’imputato era detenuto e aveva affidato a un terzo la richiesta del certificato ISEE
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Deve essere pregiudizialmente ricordato che la fattispecie contestata si perfeziona, ai sensi dell’art.95, comma 1, d.P.R. n.115/2002 in relazione a «La falsità o le omissioni nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, nel dichiarazioni, nelle indicazioni e nelle comunicazioni previste dall’articolo 79, comma 1, lettere b), c) e d)»; art.79, a propria volta, prevedente l’obbligo di comunicazione, tra l’altro di una «dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell’interessato, ai sensi dell’articolo 46, comma 1, lettera o), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell’articolo 76»; art.76, il quale fa riferimento a un limite da valutare relazione al reddito dichiarato a fini fiscali e come risultante dall’ulti dichiarazione.
Va quindi ricordato, in riferimento alla struttura del reato contestato ai sensi dell’art.95 del d.P.R. n.115/2002, che «la specifica falsità nella dichiarazione sostitutiva (artt. 95 – 79 lett. c) è connessa all’ammissibilità dell’istanza non quella del beneficio (art. 96/1° co.), perché solo l’istanza ammissibile genera obbligo del magistrato di decidere nel merito, allo stato. L’inganno potenziale, della falsa attestazione di dati necessari per determinare al momento dell’istanza le condizioni di reddito, sussiste quand’anche le alterazioni od omissioni di fatti veri risultino poi ininfluenti per il superamento del limite di reddito, previsto dalla legg
per l’ammissione al beneficio. Pertanto, la questione riceve risposta affermativa, nel senso che il reato di pericolo si ravvisa se non rispondono al vero o sono omessi in tutto o in parte dati di fatto nella dichiarazione sostitutiva, ed in qualsiasi dovut comunicazione contestuale o consecutiva, che implichino un provvedimento del magistrato, secondo parametri dettati dalla legge, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni previste per l’ammissione al beneficio» (così, in parte motiva, Sez. U, n. 6591 del 27/11/2008, dep. 2009, Infanti, Rv. 242152; in senso conforme, Sez. 4, n. 8302 del 23/11/2021, dep. 2022, Colombo. Rv. 282716).
4. Ciò posto, in specifica relazione alla doglianza sollevata nel primo punto dell’unitario motivo di impugnazione, va rilevato che la nozione di reddito rilevante ai fini delle predette disposizioni (e, specificamente, in relazione all’art. 76 d predetto T.U.) è quella contenuta nell’art.6 del T.U. delle imposte sui redditi emesso con d.P.R. 22 dicembre 1986, n.917, il cui art.6, comma 2, prevede che «I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo d risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti».
Va quindi rilevato – anche in conformità con l’interpretazione espressa dalla giurisprudenza della Sezione tributaria di questa Corte – che, in tema di imposte sui redditi, in base al richiamato art. 6, comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986, le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette ad imposizione solo qualora risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi, mentre non costituiscono reddito imponibile nella diversa ipotesi in cui esse tendano a ristorare un pregiudizio di natura diversa (Cass.civ., Sez. 5, Sentenza n. 10244 del 26/04/2017; Cass.civ., Sez. 5, Sentenza n. 14329 del 05/05/2022).
Sul punto, la censura di parte ricorrente – sostanzialmente ripropositiva di quella formulata in sede di atto di appello – risulta affetta da aspecificità d carattere intrinseco; in quanto, al di là del riferimento al tenore testuale dell suddetta disposizione, la stessa si limita apoditticamente ad affermare la circostanza – comunque non provata in sede di giudizi di merito e peraltro non attestata da documentazione allegata al ricorso – in base alla quale le relative somme sarebbero state percepite “per aver subito un incidente”; di modo che dallo stesso tenore testuale del ricorso non è dato evincere se la relativa indennità sia ,,,,’ stata percepita a un titolo idoneo a escluderne la computabilità ai fini dell’impo sui redditi.
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Risulta altresì manifestamente infondato l’ulteriore punto di doglianza, attinente all’omessa attestazione – in sede di dichiarazione sostitutiva – del reddito del fratello e familiare convivente.
Sul punto, il ricorrente ha contestato la sussistenza del necessario elemento soggettivo, assumendo di avere affidato la richiesta del certificato NUMERO_DOCUMENTO a una terza persona e che, in conseguenza del proprio stato di detenzione, non si sarebbe quindi trovato nelle condizioni per conoscere l’effettiva condizione reddituale del proprio nucleo familiare.
Va quindi richiamata quindi la consolidata giurisprudenza in base alla quale le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nel dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, devono essere sorrette dal dolo generico rigorosamente provato – che esclude la responsabilità per un difetto di controllo da considerarsi condotta colposa, e salva l’ipotesi del dolo eventuale (Sez. 4, n. 7192 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 272192; Sez. 4, n. 37144 del 05/06/2019, COGNOME, Rv. 277129; Sez. 4, n. 39975 del 05/05/2021, COGNOME).
Nel caso di specie la Corte territoriale, con motivazione coerente e non manifestamente illogica, ha applicato la massima di esperienza in base al quale lo stretto rapporto di parentela – unito a quello di convivenza – con il fratell inducessero a ritenere provato il dato della sicura consapevolezza, in capo al ricorrente, della sussistenza del rapporto di lavoro e della percezione di indennità da parte dell’RAGIONE_SOCIALE in capo al familiare, sulla base di circostanza da ritenersi (anche in tale caso, con motivazione non palesemente illogica) non esclusa dallo stato di detenzione del richiedente.
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannata al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 16 gennaio 2024
Il Consigliere estensore
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Il Preicnte