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Falsa dichiarazione per multa: Cassazione inammissibile

Un automobilista, per evitare una multa stradale, faceva una falsa dichiarazione attribuendo la guida a un’altra persona. La Corte di Cassazione ha dichiarato il suo ricorso inammissibile, confermando la condanna per il reato previsto dall’art. 495 c.p. La decisione si basa sulla solidità delle prove indiziarie (l’imputato era l’unico ad avere interesse a mentire) e sulla congruità della pena inflitta, ritenendo la motivazione del giudice di merito adeguata.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa Dichiarazione per Multa: la Cassazione Conferma la Condanna

Cercare di evitare una multa stradale attribuendo la responsabilità a un’altra persona può sembrare una scorciatoia, ma le conseguenze penali possono essere molto serie. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito questo principio, confermando una condanna per falsa dichiarazione a un privato. L’analisi del caso offre spunti importanti sulla valutazione della prova indiziaria e sulla discrezionalità del giudice nel quantificare la pena.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine da una comune infrazione al codice della strada. Il proprietario di un’autovettura, dopo aver ricevuto un verbale di contravvenzione, inviava alle autorità una dichiarazione in cui attribuiva la guida del veicolo, al momento dell’infrazione, a un’altra persona. A sostegno di tale dichiarazione, allegava la copia della patente di quest’ultimo.

Tuttavia, la persona indicata come conducente, che nel frattempo si era trasferita da Torino a Sarno, si vedeva recapitare la sanzione amministrativa presso la sua nuova residenza. Sorpreso e ritenendosi estraneo ai fatti, sporgeva querela. I tribunali di primo e secondo grado accertavano la responsabilità penale del proprietario del veicolo per il delitto di falsa attestazione a un pubblico ufficiale, previsto dall’art. 495 del codice penale.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato decideva di ricorrere in Cassazione, basando la sua difesa su due principali motivi:

1. Vizio di motivazione: Sosteneva che la sentenza di condanna fosse illogica, in quanto l’unico elemento certo era la sua proprietà del veicolo. Criticava la sentenza d’appello per aver dato peso a elementi ritenuti incerti, come la diversità della firma sulla patente rispetto a quella sulla dichiarazione e l’incertezza sulla reale assenza della presunta vittima da Torino.
2. Pena eccessiva: Lamentava che la sanzione fosse troppo severa, anche considerando la riduzione concessa per le attenuanti generiche, che non era stata applicata nella misura massima.

La Decisione della Corte: l’Inammissibilità della Falsa Dichiarazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo infondati entrambi i motivi. I giudici supremi hanno confermato la logicità del ragionamento della Corte d’Appello, sottolineando come l’imputato fosse l’unico soggetto ad avere un interesse concreto a evitare la contravvenzione attribuendola a un terzo. Questo elemento, definito “argomento assolutamente logico”, è stato il perno della decisione, corroborato da una serie di prove indiziarie precise e concordanti.

Le Motivazioni

Nel dettaglio, la Corte ha smontato le critiche dell’imputato evidenziando la solidità del quadro probatorio. Innanzitutto, è stato accertato che la persona ingiustamente accusata si era trasferita da tempo da Torino, rendendo inverosimile la sua presenza alla guida in quella città. Inoltre, la stessa dichiarazione era stata spedita da Torino e non da Sarno, dove la vittima risiedeva. Un altro indizio chiave era la disponibilità della copia della patente: l’imputato, infatti, si occupava in passato della revisione delle auto della famiglia della vittima, avendo quindi avuto accesso legittimo al documento.

La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in tema di prova indiziaria: il giudice non deve analizzare i singoli indizi in modo atomistico e isolato, ma deve procedere a un esame globale per verificare se le ambiguità di ciascuno possano essere superate nel loro insieme. Le censure del ricorrente sono state giudicate generiche e non in grado di scalfire la coerenza della valutazione operata dai giudici di merito.

Anche riguardo al secondo motivo, relativo alla pena, la Corte lo ha ritenuto manifestamente infondato. La pena base di un anno e tre mesi di reclusione era di poco superiore al minimo legale e ben al di sotto della media edittale. I giudici di merito avevano correttamente motivato tale scelta facendo riferimento a un precedente penale dell’imputato e all’abuso della fiducia della vittima. La Corte ha ricordato che, quando la pena si discosta di poco dal minimo, non è necessaria una motivazione specifica e dettagliata, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza.

Le Conclusioni

La sentenza in esame conferma due importanti principi. In primo luogo, una condanna per reati come la falsa dichiarazione può basarsi solidamente su un quadro di prove indiziarie, a condizione che queste siano gravi, precise e concordanti e vengano valutate nel loro complesso. In secondo luogo, contestare in Cassazione la quantificazione di una pena che si colloca nella parte bassa della forbice edittale è un’impresa ardua, a meno che la motivazione del giudice non sia palesemente illogica o assente. La decisione ribadisce che le “scorciatoie” per eludere le proprie responsabilità possono trasformare una semplice infrazione amministrativa in un serio procedimento penale.

È sufficiente la prova indiziaria per una condanna per falsa dichiarazione?
Sì. La sentenza conferma che una valutazione globale e logica di più indizi gravi, precisi e concordanti (come l’interesse esclusivo dell’imputato a mentire e le circostanze di tempo e luogo) può costituire una prova sufficiente per una condanna penale.

Perché la Corte ha ritenuto adeguata la pena inflitta?
La Corte ha ritenuto il motivo infondato perché la pena base era molto vicina al minimo legale e ben al di sotto della media. I giudici di merito avevano giustificato la scelta citando un precedente dell’imputato e l’abuso della fiducia, motivazione ritenuta congrua e sufficiente per una pena di tale entità.

Qual è stato l’elemento logico principale che ha portato alla conferma della condanna?
L’elemento decisivo, definito dalla Corte “assolutamente logico”, è stato l’individuazione dell’imputato come l’unico soggetto che aveva un interesse diretto e concreto a evitare le conseguenze della contravvenzione stradale attribuendone la responsabilità a un’altra persona.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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