Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1797 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1797 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME TORINO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/03/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Torino, con la sentenza emessa il 22 marzo 2023, confermava quella del Tribunale torinese, che aveva accertato la responsabilità penale di NOME COGNOME, in ordine al delitto previsto dall’art. 495 cod. pen. perché, dopo aver ricevuto il verbale relativo a una infrazione stradale in relazione all’utilizzo della propria autovettura, inviava una dichiarazione con la quale attribuiva a NOME COGNOME la guida del veicolo, allegando la copia della patente dello stesso.
NOME COGNOME, trasferitosi da Torino dall’anno precedente, giungeva presso la nuova residenza in Sarno, in provincia di Salerno, la contestazione della contravvenzione amministrativa e lo stesso, a quel punto, sporgeva denuncia – querela.
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Il rìcorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME COGNOME COGNOME due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo deduce vizio di motivazione e apparenza della stessa, lamentando che unico elemento certo della vicenda era la proprietà dell’autovettura da parte dell’imputato, risultando invece manifestamente illogica la sentenza impugnata, allorché rileva la diversità della firma apposta sulla patente di NOME rispetto a quella apposta in calce alla missiva, la natura ipotetica della disponibilità della copia della patente del NOME da parte del TARGA_VEICOLO Perigini, l’incertezza in ordine alla circostanza che COGNOME non fosse mai rientrato a Torino.
Il secondo motivo deduce vizio di motivazione quanto al trattamento sanzioNOMErio ritenuto elevato, anche per una riduzione della pena per le circostanze attenuanti generiche in misura inferiore al massimo consentito.
Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell’art. 23 comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell’art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall’articolo 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 5duodecies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo non si confronta con la sentenza impugnata, che individua in particolare quale unico interessato- a evitare l’addebito della contravvenzione a se stesso con l’attribuzione dello stesso a un terzo – proprio l’imputato.
Tale argomento speso dalla sentenza impugnata è assolutamente logico, e allo stesso si accompagnano gli elementi indiziari che lo corroborano nella valutazione della Corte di appello: la circostanza che NOME COGNOME si era trasferito da Torino già da tempo, al momento della verificarsi dell’infrazione stradale, e che anche l’invio della missiva avveniva da Torino e non da Sarno, ove risiedeva NOME COGNOME, cosicché risultava inverosimile che lo stesso si fosse recato a Torino per la sola spedizione della missiva con la quale comunicava di essere alla guida
dell’autovettura del ricorrente; la disponibilità di copia della patente del COGNOME da parte di COGNOME, in quanto lo stesso si occupava della revisione delle autovetture della famiglia del COGNOME quando risiedeva in Piemonte; inoltre, la difformità della firma apposta sulla patente rispetto a quella in calce alla missiva inviata alla Polizia municipale.
Invero, la Corte territoriale ha fatto buoni governo dei principi in materia, evitando l’atomizzazione dei singoli elementi indiziari, in quanto in tema di valutazione della prova indiziaria, il giudice di merito non può limitarsi ad una valutazione parcellizzata ed atomistica dei singoli indizi ma deve procedere anche ad un esame globale degli stessi al fine di verificare se l’ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa essere superata (Sez. 1, n. 26455 del 26/03/2013 – dep. 18/06/2013, COGNOME.G. e COGNOME in proc. Knox e altro, Rv. 255677).
Tale valutazione risulta operata in modo corretto, mentre le censure risultano sostanzialmente reiterative di quelle già proposte in appello, oltre che non adeguate a confrontarsi con la solidità dei singoli elementi, a cominciare da quello del trasferimento del COGNOME attestato dalle verifiche anagrafiche e dalla circostanza che la missiva per la contravvenzione veniva effettivamente recapitata a Sarno, mentre la comparazione grafica effettuata dalla Corte di appello quanto alle firme viene censurata in astratto e non in concreto.
Ne consegue la natura non consentita per genericità del motivo oltre che la sua manifesta infondatezza quanto ai criteri di valutazione della prova.
3. Il secondo motivo anche è manifestamente infondato.
In vero la pena base di anni uno e mesi tre di reclusione si colloca ben al di sotto della media edittale e sostanzialmente al ridosso del minimo di anni uno, scostamento motivato già dal primo giudice sia per un precedente penale commesso in Francia – irrevocabile dal 28 marzo 2017, quindi, rileva il Tribunale, appena l’anno precedente i fatti per cui pende questo processo, a riprova della insensibilità alla efficacia deterrente della precedente condanna – sia anche per l’abuso della fiducia del COGNOME.
Si tratta di una motivazione assolutamente congrua e idonea, anche a sostegno della riduzione nella misura di mesi tre per le circostanze attenuanti generiche e non nel massimo consentito.
Tale motivazione, confermata dalla Corte di appello, risulta quindi in linea con i principi in materia.
Tanto più che non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288 – 01). Infatti quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare
ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 cod. pen., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio (Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008 COGNOME, Rv. 241189); tuttavia, nel caso in cui venga irrogata, come nel caso in esame, una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283), ovvero se il parametro valutativo è desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 267949). Requisiti motivazionali sussistenti nella sentenza impugnata, che conducono alla declaratoria di manifesta infondatezza del motivo.
All’inammissibilità complessiva del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 17/10/2023
Il Consigliere estensore
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