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Falsa dichiarazione per il gratuito patrocinio: ricorso

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per falsa dichiarazione per il gratuito patrocinio. La Corte ha ritenuto che l’omissione dei redditi dei familiari fosse intenzionale e che l’errore sulla definizione di reddito non fosse scusabile, confermando la condanna.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa dichiarazione per il gratuito patrocinio: l’errore non sempre scusa

L’accesso alla giustizia è un diritto fondamentale, e il gratuito patrocinio (o patrocinio a spese dello Stato) ne è una delle massime espressioni. Tuttavia, per beneficiarne è necessario rispettare precisi requisiti reddituali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito la severità della legge nei confronti di chi presenta una falsa dichiarazione per il gratuito patrocinio, anche quando si invoca l’errore sulla definizione di reddito. Analizziamo questa importante decisione.

I fatti di causa

Il caso riguarda un cittadino condannato in primo grado e in appello per il reato previsto dall’art. 95 del d.P.R. 115/2002. L’imputato aveva presentato un’istanza per essere ammesso al gratuito patrocinio, omettendo di dichiarare i redditi percepiti dai componenti del proprio nucleo familiare. Questa omissione aveva permesso di rimanere fittiziamente al di sotto della soglia di reddito prevista dalla legge, inducendo in errore l’autorità giudiziaria.

L’interessato ha quindi proposto ricorso per Cassazione, basando la sua difesa su diversi motivi, tra cui la presunta assenza di dolo (intenzione), l’errore sulla norma che definisce il reddito rilevante e la richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

L’errore sul reddito nella falsa dichiarazione per il gratuito patrocinio

Il punto centrale del ricorso riguardava la presunta buona fede dell’imputato, il quale sosteneva di aver commesso un errore scusabile nel non considerare i redditi dei familiari ai fini del calcolo complessivo. La difesa invocava l’art. 47 del codice penale, che disciplina l’errore su una legge diversa da quella penale (la cosiddetta ‘legge extrapenale’).

La Corte di Cassazione ha respinto categoricamente questa tesi. I giudici hanno chiarito che l’errore sulla nozione di reddito rilevante per il patrocinio a spese dello Stato è un errore inescusabile. La norma penale che punisce la falsa dichiarazione (art. 95 d.P.R. 115/2002) richiama espressamente la norma che definisce i limiti di reddito (art. 76 dello stesso d.P.R.). Pertanto, la definizione di reddito non è una legge ‘esterna’ al precetto penale, ma ne è parte integrante. Di conseguenza, chi presenta la domanda ha l’onere di informarsi correttamente su quali redditi debbano essere inclusi, compresi quelli dei familiari conviventi.

Le motivazioni

La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. Le motivazioni della decisione si fondano su principi consolidati. In primo luogo, l’elemento soggettivo del dolo è stato ritenuto provato dalla significativa differenza tra il reddito dichiarato e quello effettivo, sommato a quello dei familiari completamente omesso. Secondo la Corte, questa condotta dimostra la volontà di nascondere la reale situazione economica per ottenere un beneficio non spettante.

In secondo luogo, come già accennato, l’errore sulla legge è stato considerato inescusabile. La giurisprudenza è costante nel ritenere che il cittadino che chiede un beneficio statale ha il dovere di agire con la massima diligenza, informandosi compiutamente sui requisiti. Ignorare che il reddito dei familiari conviventi concorre a formare il reddito complessivo non è una giustificazione valida.

Infine, la Corte ha respinto anche la richiesta di applicare l’art. 131-bis c.p. (particolare tenuità del fatto), implicitamente ritenendo che l’offesa al bene giuridico tutelato – il corretto funzionamento dell’amministrazione della giustizia e la corretta allocazione delle risorse pubbliche – non fosse di lieve entità.

Le conclusioni

Questa ordinanza della Corte di Cassazione serve come un monito fondamentale per chiunque intenda richiedere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. La dichiarazione dei redditi deve essere compilata con la massima attenzione e completezza, includendo tutti i redditi previsti dalla legge, compresi quelli dei familiari conviventi. Invocare un errore o una semplice dimenticanza non è sufficiente a evitare una condanna penale per falsa dichiarazione per il gratuito patrocinio. La responsabilità di fornire dati veritieri ricade interamente sul richiedente, che deve agire con la massima diligenza e trasparenza per non incorrere in gravi conseguenze legali.

Perché l’errore sulla definizione di reddito da dichiarare per il gratuito patrocinio non è stato considerato scusabile?
L’errore non è stato considerato scusabile perché la norma penale che punisce la falsità (art. 95 d.P.R. 115/2002) richiama espressamente quella che definisce i limiti di reddito (art. 76 stesso d.P.R.), la quale è quindi parte integrante del precetto penale e non una legge extrapenale. Il richiedente ha l’onere di informarsi correttamente.

Come ha fatto la Corte a ritenere provata l’intenzione (dolo) dell’imputato?
La Corte ha desunto la prova del dolo da due elementi concreti: la notevole entità dello scarto tra il reddito dichiarato e quello effettivo, e la totale omissione dei redditi dei componenti del nucleo familiare anagrafico. Questi elementi, insieme, dimostravano la volontà di nascondere la reale situazione economica.

È obbligatorio includere i redditi dei familiari conviventi nella domanda di gratuito patrocinio?
Sì, la sentenza conferma che i redditi di tutti i componenti della famiglia anagrafica devono essere sommati a quelli del richiedente per determinare il reddito complessivo. Omettere questi redditi integra il reato di falsa dichiarazione se il totale supera la soglia di legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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