Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45369 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45369 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a ROMA il 17/04/1969
avverso la sentenza del 14/12/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal NOME COGNOME
Motivi della decisione
NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso avverso la sentenza in epigrafe deducendo con un primo motivo mancanza e manifesta illogicità della motivazione in merito alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, con un secondo motivo mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell’errore di fatto ex art. 47 cod. pen. e con un terzo motivo mancanza e illogicità della motivazione in merito al mancato riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131 bis cod. pen. Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata,
Ritiene il Collegio che i motivi proposti siano inammissibili in quanto il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello, e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata, senza in alcun modo sottoporle ad autonoma e argomentata confutazione. Ed è ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra IP ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591 comrna 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, COGNOME non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, COGNOME, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, COGNOME, Rv. 253849; sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, COGNOME, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, COGNOME, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, COGNOME, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, COGNOME, Rv. 221693). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In ogni caso, i motivi in questione sono manifestamente infondati, in quanto tesi ad ottenere una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in questa sede, e pertanto il proposto ricorso vada dichiarato inammissibile.
Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell’episodio e dell’attribuzione dello stesso alla persona dell’imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimità, quando
struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità.
La Corte territoriale aveva già chiaramente confutato, nel provvedimento impugnato la tesi oggi riproposta con i primi due motivi per cui cui la difesa ritiene verosimile che l’imputato non abbia commesso il reato con dolo (ancorché’ generico od eventuale) richiesto dalla norma bensì abbia agito per semplice leggerezza o negligenza, avendo verosimilmente agito in buona fede credendo di rivestire i requisiti prescritti in entrambe le occasioni, evidentemente in inganno dal fatto che sia negli anni precedenti sia in quelli successivi al 2017 era rientrato nei prescritti limiti reddituali: mai infatti egli avrebbe accettato il rischio di una conda al solo fine di evitare le modeste spese legali dei due procedimenti penali a suo carico.
Ebbene, con motivazione logica e congrua, la Corte rileva che le deduzioni difensive circa l’assenza dell’elemento soggettivo del reato si fondano su supposizioni interpretative della difesa mai allenate dall’imputato, unico soggetto che avrebbe potuto spiegare le circostanze degli “errori” che ne costituirebbero il fondamento. Tali errori vengono peraltro ritenuti anche oggettivamente poco plausibili avendo avuto cura il Farneti di quantificare nelle due autocertificazioni i reddit relativi all anno di imposta 2017 (quantificati in euro 7.500,00, importo assai inferiore alla soglia minima prevista per il patrocinio a spese dello Stato) per poi indicare anche quelli dell’ anno 2018: è quindi smentita l’ipotesi che egli si sia “confuso” in sede di autocertificazione tra i redditi percepiti nel 2017 e nel 2018 come suggerito in sede di appello. ,
Il reato in questione – va ricordato – è figura speciale del delitto di falso ideologico commesso da privato in atto pubblico (art. 483 cod. pen.) e, come quello, ha natura di reato di pura condotta, sicché il relativo perfezionamento prescinde dal conseguimento di un eventuale ingiusto profitto che, anzi, qui costituisce un’aggravante. Consegue che il dolo del delitto in questione, essendo anch’esso costituito dalla volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero, non può essere escluso nel caso di specie in cui è stato anche motivatamente escluso un errore sull’identificazione dei redditi da inserire nella dichiarazione.
In tema di patrocinio a spese dello Stato, le false indicazioni o le omissioni, anche parziali, che integrano l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 95, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, devono essere sorrette dal dolo generico, rigorosamente provato, che esclude la responsabilità per un difetto di controllo, di per sé integrante condotta co:posa, e salva l’ipotesi del dolo eventuale (cfr. ex multis, Sez. 4, n. 37144 del 05/06/2019, COGNOME, Rv. 277129 – 01).
La sentenza impugnata, peraltro, si colloca nel solco del consolidato orientamento secondo cui la norma richiamata dall’art. 95 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 si configura quale legge extrapenale integratrice del precetto penale, trattandosi di regola posta al fine di individuare i dati necessari per la valutazione sia della sussistenza delle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato sia, preliminarmente, dell’ammissibilità del:a relativa istanza (cfr. ex multis Sez. 4, n. 1305 del 25/11/2014, dep. 2015, De Ros, Rv. 261774). E secondo cui deve essere considerato errore sulla legge penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa, dovendosi intendere per «legge diversa dalla legge penale» ai sensi dell’art.. 47 cod. pen. quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa non richiamata anche implicitamente (cfr. Sez. 4, n. 14011 del 12/02/2015, COGNOME, Rv. 263013 che ha affermato che l’art. 76 d.lgs. n. 115 del 2002, che disciplina la materia del patrocinio a spese dello Stato ed è espressamente richiamato dalla norma incriminatrice di cui all’art. 95 stesso d.lgs., non costituisce legge extrapenale).
Manifestamente infondato è anche il profilo di doglianza relativo alla mancata applicazione della causa di non punibilità ex art. 131bis cod. pen.
La Corte territoriale rispondendo alla specifica richiesta sul punto, evidenziata peraltro la genericità della richiesta, ha a.gomentatamente e logicamente motivato il diniego dell’invocata causa di non punibilità, indipendentemente dai richiamati precedenti penali, con ia circostanza che l’imputato ha cercato di ottenere ed in effetti ha ottenuto – il beneficio del patrocinio a spese dello Stato in due diversi procedimenti.
La sentenza, dunque, si colloca nell’alveo del dictum delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pe.n., delle modalità della
condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del dann del pericolo (Sez. Un. n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266590).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. p non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorre pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in disipositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle a mende.
Così deciso il 21/11/2024