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Falsa dichiarazione patrocinio: la Cassazione decide

Una persona è stata condannata per falsa dichiarazione patrocinio a spese dello Stato, avendo attestato un reddito quasi tre volte inferiore al reale. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna, rigettando il ricorso. La Corte ha ritenuto che l’intenzionalità (dolo eventuale) fosse dimostrata dalla notevole differenza di reddito e che la gravità del fatto impedisse l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa dichiarazione patrocinio: la Cassazione conferma la condanna

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18171 del 2025, si è pronunciata su un caso di falsa dichiarazione patrocinio a spese dello Stato, offrendo importanti chiarimenti sui criteri per valutare la colpevolezza e la gravità del fatto. La decisione conferma che anche un’omissione o una dichiarazione inesatta, se significativa, può integrare il reato, anche in assenza di un’esplicita volontà di frodare, essendo sufficiente il dolo eventuale. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti del Caso

Una signora aveva presentato istanza per essere ammessa al patrocinio a spese dello Stato, dichiarando un reddito annuo di 5.500,00 euro. A seguito di controlli, era emerso che il suo reddito effettivo ammontava a 15.061,00 euro, una cifra quasi tre volte superiore a quella dichiarata e al di sopra della soglia prevista dalla legge per accedere al beneficio.

Per questa ragione, era stata condannata sia in primo grado dal GUP del Tribunale di Siena sia in secondo grado dalla Corte d’Appello di Firenze per il reato previsto dall’art. 95 del d.P.R. 115/2002. La difesa aveva proposto ricorso in Cassazione, basandosi su tre motivi principali: l’insussistenza dell’elemento psicologico (dolo), il mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto e il diniego delle circostanze attenuanti generiche.

L’Analisi della Corte sulla falsa dichiarazione patrocinio

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo infondati tutti i motivi proposti.

La Prova del Dolo Eventuale

Il primo motivo di ricorso riguardava la presunta assenza di dolo. La difesa sosteneva che l’età avanzata e il basso livello di istruzione della ricorrente avrebbero dovuto indurre a considerare la falsa dichiarazione un mero errore. La Corte ha respinto questa tesi, affermando che la prova del dolo, anche nella sua forma più lieve di dolo eventuale, era stata correttamente ricavata dai giudici di merito. L’enorme divario tra il reddito dichiarato e quello reale rendeva l’ipotesi dell’errore palesemente implausibile. Inoltre, l’imputata aveva specificato di suo pugno sull’istanza la fonte del reddito (la pensione), dimostrando di essere consapevole della sua esistenza, anche se non del suo esatto ammontare. Per la Corte, chi presenta una simile istanza accetta il rischio che la propria dichiarazione non veritiera possa portare all’indebita ammissione al beneficio.

Particolare Tenuità del Fatto e Gravità della Condotta

Il secondo motivo si concentrava sulla richiesta di applicazione dell’art. 131 bis c.p., ovvero la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La difesa argomentava che il danno era esiguo, dato che le somme non erano state ancora liquidate al difensore. La Cassazione ha chiarito che, sebbene l’aggravante di aver conseguito il beneficio non escluda di per sé l’applicazione di questa norma, la valutazione sulla tenuità del fatto deve basarsi sulla gravità complessiva della condotta. In questo caso, il divario di reddito, pari a oltre il triplo del dichiarato, è stato considerato un indicatore di un’offensività e di un pericolo per gli interessi dello Stato tutt’altro che lievi. La falsità aveva determinato l’ammissione al beneficio, integrando pienamente la lesione giuridica prevista dalla norma.

Il Diniego delle Circostanze Generiche

Infine, la Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito di non concedere le circostanze attenuanti generiche (art. 62 bis c.p.). La valutazione, che rientra nella discrezionalità del giudice, è stata ritenuta logica e congrua. I giudici hanno valorizzato non solo la gravità del fatto, ma anche la totale assenza di resipiscenza (pentimento) da parte dell’imputata, la quale aveva mantenuto il silenzio anche dopo l’ammissione al beneficio. L’età e l’incensuratezza, secondo la Corte, non erano elementi sufficienti a superare la valutazione negativa sulla personalità e sulla condotta.

Le motivazioni

La sentenza si fonda su principi consolidati. In primo luogo, nel reato di falsa dichiarazione per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, la prova del dolo può essere desunta da elementi logici, come la manifesta incongruenza dei dati reddituali dichiarati rispetto a quelli reali. Non è necessaria la prova di un’intenzione fraudolenta diretta, essendo sufficiente l’accettazione del rischio di fornire informazioni non veritiere. In secondo luogo, la valutazione sulla particolare tenuità del fatto deve tenere conto dell’offensività complessiva della condotta; un’elevata discrepanza reddituale può essere indice di una gravità tale da escludere il beneficio. Infine, il diniego delle attenuanti generiche è legittimo quando, a fronte della gravità del reato, non emergono elementi positivi sulla personalità del reo, come il pentimento o la collaborazione.

Le conclusioni

Questa pronuncia della Cassazione ribadisce il rigore necessario nella compilazione delle istanze per l’accesso a benefici statali. Sottolinea come la responsabilità di dichiarare il vero incomba sul cittadino, e che giustificazioni come l’età o la scarsa istruzione non possono essere usate come uno scudo per dichiarazioni palesemente false. La decisione serve da monito: la trasparenza e la correttezza sono requisiti essenziali, e la superficialità o la negligenza possono avere conseguenze penali significative, poiché il sistema si basa sulla fiducia e sull’auto-responsabilità del dichiarante.

Una grande differenza tra reddito dichiarato e reale può bastare a provare il dolo nella falsa dichiarazione per il patrocinio a spese dello Stato?
Sì. Secondo la Corte, un divario molto ampio tra il reddito dichiarato e quello effettivo, unito ad altri indizi (come l’indicazione della fonte di reddito da parte dell’imputato), è un elemento sufficiente per ritenere provato l’elemento psicologico del reato, anche nella forma del dolo eventuale, rendendo improbabile l’ipotesi di un mero errore.

È possibile ottenere la non punibilità per “particolare tenuità del fatto” se si viene ammessi al patrocinio a spese dello Stato con una dichiarazione falsa?
In teoria sì, l’ammissione al beneficio non esclude di per sé l’applicazione dell’art. 131 bis c.p.. Tuttavia, la Corte ha chiarito che i giudici devono valutare la gravità della condotta. In questo caso, l’offensività è stata considerata non lieve a causa del notevole divario tra il reddito dichiarato e quello effettivo (più del triplo), che ha determinato un pericolo concreto per gli interessi tutelati dalla norma.

Avere un’età avanzata e un basso livello di istruzione sono scusanti valide per una falsa dichiarazione di reddito?
No, non automaticamente. La Corte ha ritenuto che questi elementi non fossero sufficienti a escludere la colpevolezza o a giustificare la concessione delle circostanze attenuanti generiche, specialmente di fronte a una condotta grave e all’assenza di qualsiasi segno di pentimento da parte dell’imputato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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