Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9338 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9338 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a PISTOIA il 15/02/1990
avverso la sentenza del 20/06/2024 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo con un primo motivo violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alli accertamento dell’elemento soggettivo del reato.
Il ricorrente lamenta di non aver voluto dichiarare il falso dal momento che i redditi omessi non erano presenti nella dichiarazione da lui presentata e che egli erroneamente aveva ritenuto di non doverli dichiarare ai fini dell’ammissione al patrocinio. Ritiene, dunque, che la Corte distrettuale avrebbe dovuto escludere la sua punibilità per errore sul fatto ai sensi dell’art. 47 comma 1 cod. pen.
Con il secondo motivo di ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis cod. pen.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi in questione non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata e sono privi della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricors e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Ed invero, quanto al primo motivo di ricorso, manifestamente infondato, va premesso che, ai fini dell’individuazione delle condizioni necessarie per l’ammissione al patrocinio, rileva ogni componente di reddito, imponibile o non, siccome espressivo di capacità economica (Sez. 4, n. 12410 del 06/03/2019, COGNOME, Rv. 275359) e le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazion prevista per l’ammissione al patrocinio integrano il reato di cui si tratta solo allor quando riguardino la sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, ma non anche quando cadano su elementi a tal fine irrilevanti (Sez. 4, n. 20836 del 16/04/2019, COGNOME, Rv. 276088).
La correttezza di tale ultimo approccio ermeneutico sembra trovare un appiglio testuale in quanto incidentalmente affermato delle Sezioni Unite di questa
Corte in una decisione riguardante la diversa, seppur correlata, tematica della revoca del beneficio, con specifico riferimento alla falsità o all’incompletezza della dichiarazione sostitutiva di certificazione, prevista dall’art.79, c. 1, lett. c) d.P 30 maggio 2002, n. 115, in caso di redditi che non superino il limite di ammissibilità (Sez. U. n. 14723 del 19/12/2019, dep. 2020, Pacino, non massimata sul punto).
In ordine all’elemento soggettivo, va ricordato che, in tema di patrocinio a spese dello Stato, le false indicazioni o le omissioni, anche parziali, che integrano l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 95, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, devono essere sorrette dal dolo generico, rigorosamente provato, che esclude la responsabilità per un difetto di controllo, di per sé integrante condotta colposa, e salva l’ipotesi del dolo eventuale (Sez. 4, n. 37144 del 05/06/2019, COGNOME, Rv. 277129).
Ciò posto sui principi operanti in materia, nella specie, la Corte territoriale, con motivazione del tutto congrua e non contraddittoria, coerente coi principi affermati in sede di legittimità, ha dato conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità del prevenuto, evidenziando come la dichiarazione infedele sia stata presentata nell’ambito di un procedimento penale – per il quale, come evidenziato dal primo giudice, gli era stato già notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari- che lo vedeva imputato per un’ipotesi di reato identica, per cui il ricorrente era a conoscenza dell’obbligo di indicare nella dichiarazione anche i redditi INPS e, dunque, l’omessa indicazione non può che essere stata consapevole.
Il ricorrente non apporta elementi concreti per disarticolare il logico apparato argomentativo della sentenza impugnata.
Il provvedimento impugnato si colloca nel solco della richiamata e recente giurisprudenza di questa Corte secondo cui il reato di cui all’art. 95 del D.P.R. 115/2002 risulta integrato dalla semplice condotta di false dichiarazioni od omissioni – anche soltanto parziali – dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sos tutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Risulta, quindi, irrilevante l’effettiva sussistenza o meno, in capo all’imputato, delle condizioni reddituali normativamente previste per l’ammissione al citato beneficio (Sez. 4. n. 8302 del 23/11/2021, dep. 2022 e S.U. n. 6591/2009).
Come correttamente evidenzia il provvedimento impugnato, ai fini della determinazione del limite reddituale per l’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, deve tenersi conto anche dei redditi esenti o soggetti a tassazione separata, ovvero percepiti “in nero” o derivanti da attività illecite, senza che assuma rilievo la situazione reddituale calcolata secondo il metodo ISEE (Sez. 4 n.
46159/2021). E, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, l’errore sulla nozione di reddito rilevante ai fini dell’ammissione al beneficio non esclude l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 95 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, non trattandosi di errore su legge extrapenale, posto che l’art. 76 del medesimo decreto è espressamente richiamato dalla predetta norma incriminatrice (Sez. 4 n. 418/2022).
4. In ordine al secondo motivo di ricorso- anch’esso manifestamente infondato – costituisce ius receptum che, per la configurabilità della causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131 bis, cod. pen., il giudizio sulla tenuità richi una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, comma 1, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590).
E che, a tal fine, non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, ma è sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6, 55107 del 08/11/2018, COGNOME, Rv. 274647), dovendo comunque il giudice motivare sulle forme di estrinsecazione del comportamento incriminato, per valutarne la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il bisogno di pena, non potendo far ricorso a mere clausole di stile (Sez. 6, n. 18180 del 20/12/2018, Venezia, Rv. 275940).
Trattandosi, quindi, di una valutazione da compiersi sulla base dei criteri di cui all’art. 133, cod. peri., essa rientra nei poteri discrezionali del giudice di merit e, di conseguenza, non può essere sindacata dalla Corte di legittimità, se non nei li-miti della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione postavi a sostegno.
Ebbene, la decisione impugnata ha fatto corretta applicazione di quei princìpi e la relativa motivazione non presenta evidenti discrasie di ordine logico.
La Corte territoriale, infatti, ha ritenuto di escludere il riconoscimento della causa di non punibilità valorizzando il comportamento abituale dell’imputato, il quale è stato già condannato per più reati della stessa indole.
La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen. – va ricordato – non può essere applicata, ai sensi del terzo comma del predetto articolo, qualora l’imputato abbia commesso più reati della stessa indole (ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima “ratio punendi”), poiché è la stessa previsione normativa a considerare il “fatto” nella sua dimensione “plurima”, secondo una valu-
tazione complessiva in cui perde rilevanza l’eventuale particolare tenuità dei goli segmenti in cui esso si articola (cfr. Sez. 5, n. 26813 del 10/02/2016, Gro Rv. 267262)
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. p non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissi bilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorren pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle a mende.
Così deciso il 19/02/2025