Falsa Dichiarazione Identità: Quando Cambiare il Cognome è Reato
Fornire generalità errate a un pubblico ufficiale può avere serie conseguenze legali. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di falsa dichiarazione identità, chiarendo come l’intento di ingannare (dolo) possa essere desunto anche dalla modifica di un solo dato, come il cognome. Questa decisione sottolinea la rigidità della legge nel proteggere l’affidabilità delle dichiarazioni rese a chi esercita una funzione pubblica.
I Fatti del Caso: Una Dichiarazione Mendace
Il caso ha origine da un controllo di routine. Un individuo, già sottoposto a una misura di prevenzione, veniva fermato e richiesto di fornire le proprie generalità. L’uomo dichiarava correttamente il proprio nome e la data di nascita, ma forniva un cognome diverso da quello reale. Questa mossa non è passata inosservata e ha portato a una condanna per il reato previsto dall’art. 495 del codice penale sia in primo grado che in appello.
L’Iter Giudiziario e i Motivi del Ricorso
L’imputato, non rassegnato alla condanna confermata dalla Corte di Appello di Torino, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione. La sua difesa si basava principalmente su due argomenti: un vizio di motivazione e una violazione di legge. In sostanza, il ricorrente sosteneva che i giudici di merito avessero travisato i fatti e interpretato erroneamente le prove, non dimostrando adeguatamente la sua volontà di commettere il reato. A suo dire, la ricostruzione dei fatti non era sufficiente a provare la sua responsabilità penale.
La Decisione della Cassazione sulla falsa dichiarazione identità
La Suprema Corte ha respinto le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno chiarito che la Corte di Cassazione non ha il potere di riesaminare le prove e sostituire la propria valutazione a quella dei tribunali di merito. Il suo compito è verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza sia logica e priva di vizi giuridici.
Le motivazioni
La Corte ha ritenuto che la motivazione della sentenza d’appello fosse ineccepibile. I giudici di merito avevano correttamente evidenziato come la prova del dolo, ovvero l’intenzione di commettere il reato, emergesse chiaramente dalle circostanze. L’imputato era stato perfettamente in grado di riferire parte delle sue generalità, modificando unicamente il cognome. Questo comportamento, secondo la Corte, non poteva essere casuale, ma induceva a ritenere che l’unica intenzione fosse quella di eludere l’accertamento di eventuali violazioni delle prescrizioni legate alla misura di prevenzione a cui era sottoposto. Modificare strategicamente un solo dato per evitare conseguenze legali integra pienamente la volontà cosciente richiesta per il reato di falsa dichiarazione identità.
Le conclusioni
Con questa ordinanza, la Cassazione ribadisce un principio cruciale: per configurare il reato di falsa dichiarazione sull’identità, è sufficiente alterare anche solo una parte delle proprie generalità, se ciò è fatto con lo scopo di ingannare il pubblico ufficiale. La volontà colpevole può essere dedotta logicamente dal comportamento dell’agente. La decisione serve da monito sull’impossibilità di appellarsi a presunti errori di valutazione dei fatti in sede di legittimità, quando la decisione dei giudici di merito è fondata su un ragionamento coerente e giuridicamente corretto. Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Cambiare solo il cognome a un pubblico ufficiale costituisce reato di falsa dichiarazione identità?
Sì, secondo questa ordinanza, la modifica intenzionale anche di una sola parte delle proprie generalità, come il cognome, con lo scopo di ingannare un pubblico ufficiale, è sufficiente per configurare il reato.
Come viene provata l’intenzione (dolo) in un caso di falsa dichiarazione identità?
L’intenzione viene provata attraverso un’analisi logica del comportamento. Nel caso specifico, la capacità dell’imputato di fornire correttamente tutti gli altri dati personali, alterando solo il cognome, è stata considerata una prova sufficiente della sua volontà di eludere i controlli legati alla misura di prevenzione a cui era sottoposto.
La Corte di Cassazione può riesaminare i fatti di un processo?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione dei fatti a quella dei giudici di primo e secondo grado. Il suo ruolo è limitato a verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10055 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10055 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a FIRENZE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/09/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
-Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza con cui la Corte di Appello di Torino del 28 settembre 2023 ha confermato la pronunzia di condanna del GIP del Tribunale di Alessandria in ordine al reato di falsa dichiarazione ad un pubblico ufficiale sulla identità (art.495 cod. pen.).
Letta la memoria del difensore di fiducia AVV_NOTAIO, nell’interesse del ricorrente del 29 gennaio 2024;
-Ritenuto che il primo ed unico motivo – con cui il ricorrente lamenta vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla penale responsabilità e alla interpretazione dell’art.92 cod. pen. -denuncia il travisamento del fatto in cui sarebbero incorsi i giudici del merito quale risultato di una diversa ricostruzione storica dei fatti e rilevanza e attendibilità delle prove, ma ciò non è consentito dalla legge, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito; con motivazione esente da vizi logici e giuridici, il giudice adito ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (pag.3: la prova della sussistenza del dolo ex art. 92 cod. pen. sussiste in quanto l’imputato è stato perfettamente in grado di riferire correttamente parte delle proprie generalità, modificando unicamente il proprio cognome, il che induce a ritenere che l’intenzione fosse quella di eludere l’accertamento della violazione delle prescrizioni di cui alla misura di prevenzione) facendo applicazione di corretti argomenti giuridici ai fini della dichiarazione della responsabilità e della sussistenza del reato.
-Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 7/2/2024