Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19225 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19225 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ALCAMO il 02/04/1964
avverso la sentenza del 30/03/2022 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo con un primo motivo violazione di legge e vizio motivazionale in relazione all’art. 95 D.P.R. 115/2002 in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato e con un secondo motivo violazione di legge in relazione agli artt. 129 cod. proc. pen., 157,159 e 161 cod. pen. e all’art. 75 D.P.R. 115/2022.
Nello specifico si lamenta con il primo motivo che non sia stata provata la sussistenza in capo all’imputato dell’elemento soggettivo doloso richiesto per la configurabilità del reato e che risulti assente una coerente esposizione delle ragioni per cui la Corte territoriale lo ritiene presente. Con il secondo motivo si lamenta che il reato sia estinto per intervenuta prescrizione maturata già prima della pronuncia di secondo grado.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Il primo motivo in questione non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non scandito da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata e privi della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e dei co relati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).
Quanto al secondo motivo è manifestamente infondato, in quanto prospetta enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità.
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della Corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto e pertanto immune da vizi di legittimità.
I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità del prevenuto.
Si ricorda in sentenza che non è contestato che il COGNOME, nell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio di cui all’imputazione, abbia attestato l’assenza
di precedenti penaii dai quali scaturisce presunzione relativa di superamento dei limiti di reddito per l’ammissione al beneficio, non avendo indicato la sentenza di condanna della Corte di Assise di Appello di Palermo 19.06.2002, divenuta irrevocabile in data 02.02.2004, per il delitto di cui all’art. 416bis cod. pen.
Conferentemente, nel provvedimento impugnato si ricorda che, secondo l’orientamento dominante in sede dì legittimità, integra il reato di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico, la condotta di colui che nella, dichiarazione sostitutiva di certificazione, attesti falsamente di non avi riportato condanne penali, in quanto detta autocertificazione riveste la funzione (d.P.R. n. 445 del 2000, art. 46) di provare i fatti attestati, evitando al privato l’onere di provarli co produzione di certificati (nella specie certificato del casellario giudiziale) e così co legando l’efficacia probatoria dell’atto al dovere del dichiarante di dichiarare il vero (Sez. 5, n. 6063/2008, Rv.243324; Sez. 5, n. 37237/2010, Rv. 248646). E che, ai finì dell’integrazione del reato è necessaria la sussistenza del dolo, che richiedi oltre alla previsione dell’evento, la prova, anche nella forma eventuale, di un atteggiamento psichico che manifesti adesione all’evento previsto.
La Corte territoriale si confronta, con motivazione logica e congrua che appare immune dai denunciati vizi di legittimità, con la doglianza in punto di elemento soggettivo del reato evidenziando (pag. 5) che l’imputato era consapevole, come da lui dichiarato, delle conseguenze penali previste per coloro che inseriscono dichiarazioni non veritiere nell’istanza di ammissione al beneficio, e che ciò rende palese il dolo del Di COGNOME nell’effettuare la falsa attestazione. Viene pertaltr evidenziato che non può rivelare nemmeno il decorso temporale dalla condanna per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., divenuta definitiva in data 2 febbra 2004, in quanto risulta che l’imputato era stato destinatario di diversi provvedimenti successivi del Tribunale di Sorveglianza in punto di liberazione anticipata e di applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata. E che c’è da osservare, inoltre, che il Di Giorgio avrebbe potuto evitare l’errore in cui dice di essere incorso chiedendo le necessarie informazioni al legale che gli ha autenticato la firma apposta nell’istanza o richiedendo un certificato del casellario giudiziale.
Manifestamente infondata, infine, è la doglianza, che peraltro non era stata proposta al giudice di appello, con cui si assume l’intervenuta prescrizione del reato di cui all’imputazione già alla data (30.03.2022) di cui alla sentenza impugnata, risalendo la dichiarazione mendace al 30/07/2024.
Ed invero, alla data della pronuncia in questione il reato che ci occupa non era prescritto, dovendosi tener conto della contestata e ritenuta recidiva reiterata ed essendo pacifico che la recidiva reiterata, in quanto circostanza a effetto speciale, incide sia sul calcolo del termine prescrizionale minimo del reato, ex art. 157,
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comma 2, cod. pen., sia, in presenza di atti interruttivi, su quello del termine massimo, ex art. 161, comma 2, cod. pen., senza che tale duplice valenza com-
porti violazione del principio del “ne bis in idem” sostanziale o dell’art. 4 del Pro tocollo n. 7 della CEDU, come interpretato dalla sentenza della Corte EDU del 10
febbraio 2009 nel caso Zolotoukhine c. Russia, nel cui ambito di tutela non rientra l’istituto della prescrizione (Sez. 4, n. 44610 del 21/09/2023, COGNOME, Rv. 285267
– 01; conf. Sez. 2, n. 13463 del 18/02/2016, COGNOME Rv. 266532 – 01; Sez. 4, n.
6152 del 19/12/2017, dep. 2018, COGNOME Rv. 272021 – 01; Sez. 5, n. 32679 del
13/06/2018, COGNOME, Rv. 273490 – 01).
Né potrebbe porsi in questa sede, peraltro, la questione di un’eventuale de- claratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considera-
zione della manifesta infondatezza del ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei
motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma
dell’art. 129 cod. proc. pen (così Sez. U. n. 32 del 22/11/2000, COGNOME, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. U., n. 23428 del 2/3/2005, COGNOME, Rv. 231164, e Sez. U. n. 19601 del 28/2/2008, COGNOME, Rv. 239400; Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, COGNOME, Rv. 256463).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 13/05/2025