Falsa Dichiarazione Gratuito Patrocinio: Dimenticare il Reddito del Coniuge è Reato?
L’accesso al patrocinio a spese dello Stato, noto come gratuito patrocinio, è un diritto fondamentale che garantisce la difesa legale a chi non ha i mezzi economici. Tuttavia, l’ottenimento di questo beneficio è subordinato a una dichiarazione veritiera e completa dei propri redditi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito la severità della legge in caso di falsa dichiarazione gratuito patrocinio, anche quando l’omissione viene giustificata come una semplice “dimenticanza”.
I Fatti del Caso
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un cittadino condannato sia in primo grado dal Tribunale di Marsala sia in appello dalla Corte di Palermo. Il reato contestato era quello previsto dall’art. 95 del Testo Unico sulle Spese di Giustizia (d.P.R. 115/2002), per aver fornito informazioni non veritiere nella domanda di ammissione al gratuito patrocinio. Nello specifico, l’imputato aveva omesso di dichiarare le entrate reddituali della moglie, un importo considerato significativo e che, se dichiarato, avrebbe precluso l’accesso al beneficio.
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo un vizio di motivazione da parte dei giudici di merito. La sua difesa si basava sull’assenza dell’elemento soggettivo del reato, il dolo, affermando che l’omissione fosse frutto di una mera dimenticanza o leggerezza e non di una volontà cosciente di frodare lo Stato.
La Decisione della Corte e la Falsa Dichiarazione Gratuito Patrocinio
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno ritenuto che le argomentazioni della difesa non fossero altro che una ripetizione di quelle già presentate e respinte in appello. La Corte di merito, secondo gli Ermellini, aveva fornito una motivazione adeguata, logica e priva di vizi nel confermare la colpevolezza dell’imputato.
Le Motivazioni della Sentenza
Il punto centrale della decisione riguarda la configurabilità del dolo nel reato di falsa dichiarazione gratuito patrocinio. La Corte ha chiarito i seguenti principi:
1. Sussistenza del Dolo Generico: Per questo tipo di reato è sufficiente il “dolo generico”. Ciò significa che è necessario e sufficiente che l’agente abbia la coscienza e la volontà di presentare una dichiarazione falsa o incompleta, senza che sia richiesto un fine ulteriore. Nel caso di specie, era pacifico che l’imputato fosse a conoscenza del reddito della moglie. L’aver omesso di dichiarare un’entrata economica così rilevante non può essere derubricato a semplice negligenza.
2. L’Irrilevanza della “Dimenticanza”: Affermare di aver “dimenticato” o di aver agito con “leggerezza” non è una difesa valida per escludere la responsabilità penale. Le norme che regolano l’accesso al gratuito patrocinio (in particolare gli artt. 76 e 79 del T.U. Spese di Giustizia) impongono un preciso dovere di diligenza e verità.
3. Dovere di Verifica: Chi presenta la domanda ha l’obbligo di verificare attentamente l’esistenza di tutti i redditi che, per legge, concorrono a formare il reddito complessivo del nucleo familiare. Non si tratta solo di non mentire, ma anche di adoperarsi attivamente per fornire un quadro completo e veritiero della propria situazione economica. La mancata verifica di dati noti, come lo stipendio del coniuge, costituisce una violazione di questo dovere che integra pienamente l’elemento soggettivo del reato.
Le Conclusioni
L’ordinanza della Cassazione rafforza un principio fondamentale: la responsabilità nella compilazione delle autocertificazioni per l’accesso a benefici statali è massima. Non sono ammesse scuse basate su negligenza o superficialità quando si tratta di dichiarare dati di cui si è a conoscenza. L’omissione di un reddito significativo del coniuge è considerata un atto volontario che configura il reato di falsa dichiarazione gratuito patrocinio.
La decisione si conclude con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, a conferma della gravità del comportamento sanzionato.
Dimenticare di dichiarare il reddito di un familiare nella domanda di gratuito patrocinio è reato?
Sì. Secondo questa ordinanza, l’omissione di un reddito rilevante di un familiare, di cui si è a conoscenza, non è considerata una semplice dimenticanza. Integra invece il “dolo generico” necessario per configurare il reato di falsa dichiarazione, poiché chi presenta la domanda ha il dovere di verificare e dichiarare tutti i redditi previsti dalla legge.
Cosa si intende per “dolo generico” in questo tipo di reato?
Per dolo generico si intende la coscienza e la volontà di compiere l’azione vietata dalla legge, in questo caso presentare una dichiarazione falsa o incompleta. Non è necessario dimostrare un fine specifico (come l’intenzione di arrecare un danno particolare allo Stato), ma è sufficiente che l’autore sapesse della falsità o incompletezza della sua dichiarazione e abbia agito volontariamente.
Quali sono le conseguenze se un ricorso in Cassazione per questo reato viene dichiarato inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso rende definitiva la condanna stabilita nei precedenti gradi di giudizio. Inoltre, comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una sanzione pecuniaria alla Cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata fissata in 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20626 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20626 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/06/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Palermo ha confermato la decisione del Tribunale di Marsala che aveva riconosciuto COGNOME NOME colpevole del reato di cui agli artt. 79 e 95 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
2.COGNOME, per mezzo del proprio difensore, ricorre per la cassazione della sentenza della Corte di appello lamentando vizio di motivazione per travisamento della prova relativa alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 95 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
I motivi del ricorso sono manifestamente infondati, in quanto si risolvono in doglianze in fatto, che costituiscono una pedissequa reiterazione di motivi già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi pertanto gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME e altri, Rv. 24383801). Contrariamente a quanto dedotto, infatti, la pronunzia impugnata reca appropriata motivazione, basata su definite e significative acquisizioni probatorie ed immune da vizi logico-giuridici, circa il profilo della penale responsabilità del prevenuto. La corte territoriale ha invero precisato che il dolo generico era dimostrato dal fatto che il ricorrente aveva omesso di autocertificare entrate reddituali di cui era sicuramente a conoscenza quali il trattamento economico assicurato dalla moglie, in misura peraltro significativa, che non consentiva ignoranza incolpevole.
Orbene per escludere la ricorrenza dell’elemento soggettivo non è sufficiente affermare la ricorrenza di una dimenticanza o di una leggerezza sulla norma extra penale (art.76 e 79 TU spese di giustizia che valgono a integrare il precetto penale di cui al successivo art.95), ma è necessario fornire dimostrazione di una falsa rappresentazione della realtà sulla ricorrenza di alcune entrate reddituali, laddove nella specie per stessa ammissione del ricorrente, si sarebbe trattato di una mancata verifica dell’esistenza di tali redditi, verifica che ovviamente era doverosa, stante il chiaro tenore delle disposizioni sopra richiamate con particolare riferimento ai redditi che devono essere compresi nella dichiarazione auto-certificativa .
4.Per tali ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14 marzo 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente