Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4552 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 4552  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/04/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Firenze del 3 novembre 2021., con cui NOME era stata condannata alla pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione ed euro centosettanta di multa in relazione al reato di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002.
COGNOME, a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo due motivi di impugnazione.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, stante la scusabilità dell’errore commesso nel ritenere la mancanza di variazioni di reddito per l’anno 2018 rispetto all’anno precedente.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione quanto all’omesso riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen..
Con riferimento al primo motivo di ricorso, va premesso che, ai fini dell’individuazione delle condizioni necessarie per l’ammissione al patrocinio, rileva ogni componente di reddito, imponibile o non, siccome espressivo di capacità economica (Sez. 4, n. 12410 del 06/03/2019, COGNOME, Rv. 275359) e le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazio o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio integrano il reato di cui si tratta solo allorquando riguardino la sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, ma non anche quando cadano su elementi a tal fine irrilevanti (Sez. 4, n. 20836 del 16/04/2019, COGNOME Vito, Rv. 276088). La correttezza di tale ultimo approccio ermeneutico sembra trovare un appiglio testuale in quanto incidentalmente affermato delle Sezìoni Unite di questa Corte in una decisione riguardante la diversa, seppur correlata, tematica della revoca del beneficio, con specifico riferimento alla falsità o all’incompletezza della dichiarazione sostitutiva di certifica zione, prevista dall’art.79, c. 1, lett. c) d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, in caso di redditi che non superino il limite di ammissibilità (Sez. U. n. 14723 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, non massimata sul punto).
Ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, nel reddito complessivo dell’istante, ai sensi dell’art. 76 del d.P.R. n. 115 del 2002, deve essere computato anche il reddito di qualunque persona che con lui conviva e contribuisca alla vita in comune (Sez. 4, n. 44121 del 2012, Indiveri, Rv. 253643).
In ordine all’elemento soggettivo, va ricordato che, in tema di patrocinio a spese dello Stato, le false indicazioni o le omissioni, anche parziali, che integrano l’elemento
oggettivo del reato di cui all’art. 95, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, devono essere sorrette dal dolo generico, rigorosamente provato, che esclude la responsabilità per un difetto di controllo, di per sé integrante condotta colposa, e salva l’ipotesi del dolo eventuale (Sez. 4, n. 37144 del 05/06/2019, Bonelli, Rv. 277129).
Inoltre, ai fini della integrazione del reato di cui all’art. 95 cit., in caso di effe sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, non è sufficiente che l’istanza contenga falsità od omissioni, dovendo il giudice procedere ad una rigorosa verifica dell’elemento soggettivo del reato, al fine di escludere l’eventuale inutilità del falso (Sez. 4, n. 7192 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 272192; Sez. 4, n. 45786 del 04/05/2017, COGNOME, Rv. 271051).
Ciò posto sui principi operanti in materia, nella specie, la Corte territoriale, con motivazione del tutto congrua e non contraddittoria, coerente coi principi affermati in sede di legittimità, ha sottolineato che il reato non poteva essere ascritto a leggerezza della NOME, non emergendo dubbi sulla sua piena consapevolezza di aver svolto lavoro straordinario, per cui il suo reddito inevitabilmente doveva essere superiore rispetto a quello percepito negli anni precedenti, nel corso dei quali si era limitata ad attività ordinaria.
La ricorrente reitera le censure precedentemente prospettate nell’atto di appello, senza tuttavia apportare elementi concreti per disarticolare il logico ed esauriente apparato argomentativo della sentenza impugnata.
4. In ordine al secondo motivo di ricorso, va osservato che, per la configurabilità della causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131 bis, cod. pen., il giudiz sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, comma primo, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
A tal fine, non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, ma è sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6, n. 55107 de 08/11/2018, COGNOME, Rv. 274647), dovendo comunque il giudice motivare sulle forme di estrinsecazione del comportamento incriminato, per valutarne la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il bisogno di pena, non potendo far ricorso a mere clausole di stile (Sez. 6, n. 18180 del 20/12/2018, COGNOME, Rv. 275940).
Trattandosi, quindi, di una valutazione da compiersi sulla base dei criteri di cui all’art. 133, cod. pen., essa rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito e, d
conseguenza, non può essere sindacata dalla Corte di legittimità, se non nei limiti della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione postavi a sostegno.
La decisione impugnata ha fatto corretta applicazione di quei princìpi e la relativa motivazione non presenta evidenti discrasie di ordine logico.
La Corte distrettuale, infatti, ha reputato decisivo, ai fini della valutazione del grado di offensività della condotta, il superamento del limite di reddito applicabile all’imputata con eccedenza di euro tremila.
Si tratta di circostanza indiscutibilmente significativa, rientrante tra i parametri espressamente considerati dall’art. 133 cod. pen..
L’imputata si limita a sminuire la rilevanza della propria condotta, senza confrontarsi con il dato fattuale, evidenziato dalla Corte fiorentina, ritenuto decisivo al fine di negare il beneficio richiesto.
Peraltro, la motivazione sopra sinteticamente riportata risulta del tutto congrua ed adeguata anche a seguito delle modifiche all’istituto dell’art. 131 bis cod. pen. apportate dall’art. 1, comma 1, lett. c), n. 1 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.
Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 17 gennaio 2024.