Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5154 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5154 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/11/2023
SENTENZA
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ay,/erso la sentenza de 12/04/2023 .deila CORTE APPELLO di MESSINA
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one COGNOME concluso ph:edendo lnammissibilità del ricorso;
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NOME di accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’Appello di Messina (in sede di rinvio per annullamento della precedente decisione con sentenza della Cassazione Sez 4 n. 44544/2022) con sentenza del 13 aprile 2023 ha confermato la decisione del Tribunale di Patti del 19 febbraio 2020, che aveva condanNOME NOME COGNOME alla pena di anni 1 e mesi 9 di reclusione ed euro 615,00 di multa relativamente ai reati di cui all’art. 95 del d.P.R. n. 115 del 2002; per i capi a), b) e c) dell’imputazione, per il capo d) veniva dichiarato di non doversi procedere per estinzione del reato per prescrizione (capo d), commesso il 21 settembre 2011; capo a), commesso il 13 giugno 2012, capo b), commesso il 20 giugno 2012, capo c), commesso il 20 giugno 2012. Con la recidiva semplice ed infraquinquennale.
L’imputato propone ricorso in cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, commal, disp. att., c.p.p.
1. Mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo dei reati; violazione del principio di diritto espresso dalla sentenza di annullamento della Cassazione.
Per l’elemento soggettivo dei reati la Corte di appello ha ritenuto provata la responsabilità su una mera presunzione di conoscenza (non poteva non sapere). La Cassazione con la sentenza di annullamento della ‘ precedente pronuncia aveva evidenziato la necessità di una prova rigorosa del dolo; prova che non risulta fornita dalla decisione che oggi si impugna.
Sono stati disattesi i principi di diritto della sentenza Sez. 4 n. 44544/2022. La situazione di marginalità sociale del ricorrente unitamente alla complessità della normativa fiscale avrebbe dovuto comportare l’assoluzione del ricorrente per mancanza di prova del dolo.
La dichiarazione non veritiera potrebbe essere frutto di sola disattenzione (colpa e non dolo).
2. Violazione di legge (art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002) per essere le dichiarazioni frutto di una colpa e non del dolo.
Le dichiarazioni incriminate sono state presentate nello stesso periodo (il 13 ed il 20 giugno 2012); il reato si configura solo alla presenza di dichiarazioni infedeli che hanno come conseguenza un inganno potenziale, sull’ammissione al gratuito patrocinio; non basta una semplice difformità, non rilevante. Il reddito del nucleo familiare del ricorrente era tale da poter beneficiare, comunque, del gratuito patrocinio, inferiore al massimo previsto per l’esclusione del beneficio (all’epoca dei fatti euro 10.766,33 innalzato di euro 1.032,91 per ogni componente il nucleo familiare). Non può, pertanto, ritenersi configurato il reato sulla base della constatazione della diversità del reddito dichiarato.
3. Violazione di legge (art. 157 e 161 cod. pen.) per l’omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione.
La prescrizione dei reati è maturata prima della sentenza di appello; i fatti sono stati commessi il 13 ed il 20 giugno 2012, e al 13 aprile 2012 (data della sentenza di appello oggi impugnata) erano trascorsi oltre 10 anni e 9 mesi (prescrizione massima di anni 9, come rilevato dalla stessa sentenza impugnata).
Ha chiesto pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
il ricorso è infondato e deve respingersi con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Il primo ed il secondo motivo risultano infondati. La sentenza impugnata (e già la decisione di primo grado, in doppia conforme), con
motivazione adeguata, immune da contraddizioni e senza manifeste illogicità, rileva come le dichiarazioni erano false avendo il ricorrente dichiarato un reddito di euro 6.708,00 mentre il reale reddito era di euro 11.763,79; anche se per tale reddito il ricorrente rientrava nei limiti massimi per ottenere il beneficio (ovvero avrebbe avuto comunque diritto al gratuito patrocinio) la falsità non può ritenersi frutto di un errore, di colpa e non di dolo. L’aver omesso di dichiarare i redditi percepiti (per attività lavorativa dello stesso ricorrente svolta nell’anno in considerazione) e l’aver indicato un reddito da pensione del padre in misura inferiore, per la sentenza impugnata, “costituiscono sicuri e precisi indici rivelatori della malafede dell’imputato”.
Infatti, costituisce reato anche la dichiarazione falsa indipendentemente dall’effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio: “Integra il delitto di cui all’art. 95 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 la condotta di false dichiarazioni od omissioni, anche parziali, dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dall’effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio” (Sez. 4 – , Sentenza n. 8302 del 23/11/2021 Ud. (dep. 10/03/2022) Rv. 282716 – 01).
Si tratta di un reato che non richiede il dolo specifico in quanto l’art. 95, d.P.R. n. 115 del 2002 prevede solo l’aumento di pena “se dal fatto consegue l’ottenimento o il mantenimento dell’ammissione al patrocinio”.
Al contrario per il reato di cui all’art. 7, d. I. n. 4 / 2029 per il reddito di cittadinanza è richiesto il conseguimento del beneficio: “Integrano il delitto di cui all’art. 7 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26, le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell’autodichiarazione finalizzata a conseguire il reddito di cittadinanza solo se funzionali a ottenere un beneficio non spettante ovvero spettante in misura superiore a quella di legge” (Sez. U – , Sentenza n. 49686 del 13/07/2023 Ud. (dep. 13/12/2023 ) Rv. 285435 – 01).
Infatti, la norma espressamente prevede il dolo specifico: “al fine di ottenere indebitamente il beneficio”.
Si tratta, comunque, di una valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità in quanto adeguatamente motivata.
Relativamente alla prescrizione, terzo motivo del ricorso, deve osservarsi che la Cassazione, 4 sezione, nella sentenza di annullamento aveva ritenuto, correttamente, che alla data della sua pronuncia i reati non erano prescritti, pur indicando un calcolo non corretto. Conseguentemente deve rilevarsi che alla data della sentenza di appello oggi impugnata i reati non erano prescritti, poiché il termine di prescrizione, valutando la recidiva e le sospensioni si concreta 1’8 maggio 2024.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 7/11/2023