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Falsa dichiarazione gratuito patrocinio: dolo e pena

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per falsa dichiarazione finalizzata all’ottenimento del gratuito patrocinio. La Corte ha stabilito che la macroscopica differenza tra il reddito dichiarato e quello effettivo del nucleo familiare è sufficiente a dimostrare il dolo generico, elemento soggettivo necessario per la configurabilità del reato. Di conseguenza, è stata confermata sia la responsabilità penale sia la congruità della pena irrogata, superiore ai minimi edittali.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa Dichiarazione Gratuito Patrocinio: quando l’errore diventa reato

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 9461 del 2025, affronta un tema di grande rilevanza pratica: la falsa dichiarazione per l’ammissione al gratuito patrocinio. Questo caso chiarisce in modo netto quando un’omissione o un’inesattezza nella domanda può integrare un reato, sottolineando come la buona fede non possa essere invocata di fronte a palesi incongruenze. La pronuncia conferma la condanna di un cittadino che aveva dichiarato un reddito familiare quasi dimezzato rispetto a quello reale, un comportamento che i giudici hanno ritenuto intenzionale e non frutto di una mera svista.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla conferma, da parte della Corte di Appello di Torino, di una sentenza di primo grado che dichiarava un individuo responsabile del reato previsto dall’art. 95 del d.P.R. 115/2002. L’imputato, nel presentare l’istanza per essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato, aveva omesso di indicare alcune fonti di reddito del proprio nucleo familiare, tra cui lo stipendio della sorella convivente e un sussidio di disoccupazione.

Le indagini avevano rivelato una divergenza macroscopica: a fronte di redditi dichiarati per gli anni 2017 e 2018 rispettivamente di circa 11.854 euro e 10.819 euro, quelli effettivi ammontavano a circa 22.458 euro e 20.807 euro. Praticamente il doppio del limite di legge consentito per accedere al beneficio.

Analisi della condotta e la falsa dichiarazione per il gratuito patrocinio

Il difensore dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione lamentando un vizio di motivazione e un’errata applicazione della legge penale. Sosteneva, in sintesi, la mancanza di dolo e chiedeva una pena più mite. Tuttavia, la Suprema Corte ha respinto completamente tali argomentazioni, dichiarando il ricorso inammissibile.

La Corte ha ribadito un principio consolidato: per configurare il reato di falsa dichiarazione per il gratuito patrocinio, è necessario il dolo generico. Ciò significa che l’agente deve avere la coscienza e la volontà di presentare una dichiarazione non veritiera, non essendo sufficiente una semplice negligenza o un errore colposo. L’elemento soggettivo, secondo i giudici, può essere desunto da elementi di fatto inequivocabili.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte di Cassazione ha ritenuto la motivazione della Corte di Appello logica e giuridicamente corretta. Il dolo dell’imputato è stato inferito proprio dalla “macroscopica divergenza” tra il reddito dichiarato e quello effettivo. Una differenza così ampia, quasi del 100%, non può essere ragionevolmente attribuita a una svista o a un’ignoranza scusabile. È un dato che, sul piano logico, esclude la “buona fede” invocata dalla difesa.

Inoltre, la Corte ha valorizzato un altro aspetto: l’imputato aveva correttamente indicato i componenti del nucleo familiare nella parte della domanda utile ad innalzare la soglia di reddito per l’ammissione, ma li aveva “dimenticati” nella sezione in cui dovevano essere specificati i relativi redditi. Questo comportamento è stato interpretato come un chiaro indice dell’intenzionalità della condotta fraudolenta.

Anche riguardo al trattamento sanzionatorio, la decisione è stata confermata. La pena, fissata al di sopra del minimo edittale, è stata considerata adeguata alla gravità del fatto e all’intensità del dolo. La richiesta di concedere la prevalenza delle attenuanti generiche è stata respinta poiché non sono emersi elementi positivi a favore dell’imputato, al di là della sua mera presenza al processo.

Le Conclusioni

Questa sentenza lancia un messaggio chiaro: la richiesta di ammissione al gratuito patrocinio è un atto di grande responsabilità. Chi la compila ha il dovere di informarsi e di riportare con precisione tutti i dati richiesti. Omettere redditi, specialmente se in misura così rilevante, non è una leggerezza, ma una condotta che integra un reato. La giustizia non ammette ignoranza di fronte a discrepanze così evidenti, che vengono considerate una prova schiacciante dell’intenzione di frodare lo Stato e di accedere indebitamente a un beneficio destinato a chi ne ha effettivamente bisogno. La “buona fede” deve essere supportata da fatti concreti e non può essere una semplice affermazione di principio.

Quando una falsa dichiarazione per il gratuito patrocinio è considerata reato?
È considerata reato quando la falsità o l’omissione dei dati di reddito è sorretta da dolo generico, ovvero dalla coscienza e volontà di fornire una dichiarazione non veritiera. Non è sufficiente una semplice negligenza o un errore involontario.

Come si dimostra l’intenzione colpevole (dolo) in questi casi?
L’intenzione colpevole può essere dedotta da elementi oggettivi. Nel caso di specie, la Corte ha stabilito che una “macroscopica divergenza” tra il reddito dichiarato e quello effettivo è un dato di fatto sufficiente a dimostrare la consapevolezza della falsità e quindi a escludere la buona fede.

Una pena superiore al minimo legale è giustificata in caso di falsa dichiarazione?
Sì, la Corte ha confermato che una pena superiore al minimo può essere giustificata dalla gravità della condotta e dall’intensità del dolo. Ad esempio, il fatto che il reddito reale superasse di quasi il doppio il limite di legge e la modalità con cui sono state omesse le informazioni sono stati considerati elementi idonei a giustificare una pena più severa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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