Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10362 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10362 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a ALCAMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/10/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
COGNOME NOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza, da parte della Corte di appello di Palermo, dell’elemento soggettivo, quini del dolo, richiesto per la configurabilità del reato di cui all’ar D.P.R. 115/2002. Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi in questione non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata.
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della Corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto – e pertanto immune da vizi di legittimità.
I giudici del gravame del merito hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità del prevenuto, in particolare facendo riferimento agli accertamenti compiuti dall’RAGIONE_SOCIALE delle Entrate di Trapani sulla situazione patrimoniale dell’imputato.
Nella specie, risultava che il COGNOME aveva presentato in data 22.6.2015 istanza di ammissione al gratuito patrocinio, indicando di avere conseguito redditi, per l’anno 2013, pari ad euro 13.215,00.
Dalle verifiche compiute dall’RAGIONE_SOCIALE delle Entrate di Trapani era emerso, invece, che il reddito percepito dal nucleo familiare dell’imputato era pari, per i 2013, ad euro 21.447,20, ovvero euro 13.125,00 della madre COGNOME NOME ed euro 8.322,00 della sorella COGNOME NOME, entrambe conviventi.
Alla luce di tali evidenze, la Corte territoriale ha correttamente motivato in sentenza come appaiano del tutto chiare ed evidenti le prove della materialità dei fatto nonché della sussistenza dell’elemento soggettivo, essendo assolutamente logico e verosimile che il COGNOME fosse ben a conoscenza dei soggetti che componevano il proprio nucleo familiare, avendolo, peraltro, indicato nella stessa richiesta di ammissione, nonché a conoscenza dei redditi dagli stessi percepiti.
La Corte di appello ha già congruamente indicato, inoltre, come non sia in discussione la circostanza che l’odierno imputato abbia agito con il dolo richiesto dalla norma incriminatrice, avendo lo stesso personalmente sottoscritto l’istanza di ammissione, nella quale era espressamente indicato l’obbligo di comunicare i redditi delle persone conviventi. Né si è potuto sostenere, poi, che il COGNOME sia
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incorso in errore per la poca chiarezza del modulo, essendo lo stesso assolutamente elementare e sussistendo in capo al dichiarante un preciso dovere di controllare la veridicità di quanto dichiarato.
Da ultimo, esaustiva risulta la circostanza, indicata dai giudici di merito, secondo la quale l’imputato abbia dichiarato dati differenti rispetto a quelli reali che integrante un’oggettiva falsità della dichiarazione attestativa, dimostra come non difetti la prova circa la consapevolezza dell’imputato in ordine a tale situazione, atteso che la modifica del reddito percepito non è da considerarsi marginale ma addirittura pari a quasi il doppio del reddito dichiarato (euro 13.125,00 rispetto ad euro 21.447,20).
La sentenza impugnata, pertanto, opera un buon governo della giurisprudenza reato in questione è figura speciale del delitto di falso ideologico commesso da privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) e, come quello, ha natura di reato di pura condotta, sicché il relativo perfezionamento prescinde dal conseguimento di un eventuale ingiusto profitto che, anzi, qui costituisce un’aggravante. Consegue che il dolo del delitto in questione, essendo anch’esso costituito dalla volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero, non può essere escluso nel caso di specie in cui è stato anche motivatamente escluso un errore sull’identificazione dei redditi da inserire nella dichiarazione.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 21 febbraio 2024
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