Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 33503 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 33503 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 11/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Mortara il 29/08/1978
avverso la sentenza del 02/12/2024 della Corte di appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME tramite il proprio difensore, propone ricorso avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Milano che ha confermato la decisione del Tribunale di Pavia che aveva condannato l’imputato alla pena di un anno e mesi sei di reclusione per il reato di cui all’art. 367 cod. pen.
NOME COGNOME viene contestato di aver presentato in data 25 giugno 2018 una falsa denuncia presso la Stazione dei Carabinieri di Mortara per il furto del proprio zainetto con all’interno i propri effetti personali, rinvenuto in realtà nell’autovettura
di COGNOME NOME, ove lo aveva lasciato durante il tentativo di furto da lui commesso.
Il ricorrente deduce i motivi di seguito indicati.
2.1. Violazione di legge e vizio della motivazione per difetto della condizione di procedibilità del delitto di furto oggetto della falsa denuncia, non avendo sporto la necessaria querela richiesta quale condizione di procedibilità in relazione alle descritte modalità del furto oggetto della simulazione. La Corte di appello pur aderendo all’interpretazione secondo cui il reato di cui all’art. 367 cod. pen. presuppone che il reato oggetto della simulazione sia un reato procedibile d’ufficio o se procedibile a querela che questa sia stata sporta, ha ritenuto che il fatto descritto potesse astrattamente configurare la circostanza aggravante dell’esposizione per consuetudine della cosa alla pubblica fede.
Al contrario, adduce il ricorrente, che tale circostanza non poteva essere ravvisata in base alla descrizione del fatto di reato contenuto nella denuncia che faceva riferimento al furto di uno zaino lasciato incustodito sopra una panchina.
Inoltre, si osserva che in relazione alla denuncia del furto dello zaino nessuna indagine risulterebbe essere stata svolta, con ciò confermandosi l’assenza della condizione di procedibilità che si rendeva necessaria in ragione della denuncia di un furto semplice procedibile solo a querela.
2.2. Violazione di legge in relazione alla ritenuta recidiva, non avendo la Corte di appello spiegato le ragioni per le quali le precedenti condanne riportate dal COGNOME dovessero essere ritenute indicative di una maggiore ed accresciuta pericolosità sociale, considerato che il precedente per estorsione risale al 12 novembre 2004, quello per rapina al 2 maggio 2002, mentre gli altri precedenti per furti e reati in materia di stupefacenti risalgono agli anni 1995-1998, quindi molti anni prima del reato per cui si procede (commesso il 25 giugno 2018).
2.3. Vizio di motivazione in relazione alla determinazione della pena.
Adduce il ricorrente l’illogicità della motivazione per avere la sentenza di merito applicato una pena superiore al minimo edittale, valorizzando la finalità di eludere le investigazioni in relazione al tentato furto di un’autovettura, senza considerare la minima offensività in concreto del reato rispetto al corretto svolgimento dell’amministrazione della giustizia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è fondato ed impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con conseguente assorbimento degli altri motivi.
Prescindendo dalla indubbia e non controversa falsità del contenuto della denuncia, deve rilevarsi l’erronea valutazione operata dalla Corte di appello in
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ordine alla sussistenza della circostanza aggravante relativa al furto di cosa esposta per necessità o consuetudine alla pubblica fede prevista dall’art. 625, n. 7 cod. pen.
La Corte di appello dopo aver ribadito il consolidato orientamento di legittimità secondo cui non è configurabile il delitto di simulazione di reato quando la perseguibilità d’ufficio del reato oggetto della denuncia simulata sia stata esclusa e la querela non sia stata presentata (Sez. 6, n. 13109 del 21/01/2009, COGNOME, Rv. 243126), ha affermato che la falsa denuncia di furto sporta dall’imputato andava considerata come riferita ad un delitto procedibile di ufficio.
In particolare, è stata riconosciuta sussistente la circostanza aggravante prevista dall’art. 625 n.7 cod. pen., afferente alla sottrazione di una cosa esposta alla pubblica fede, oltre ad evidenziarsi la irrilevanza della sopravvenuta modifica legislativa del regime di procedibilità a querela introdotto per effetto del d.lgs. n.150 del 10 ottobre 2022 in epoca successiva ai fatti.
Deve rilevarsi l’erroneità della valutazione operata dalla Corte di appello, rispetto alla configurabilità della predetta circostanza aggravante in ragione della sua applicazione ad una fattispecie in concreto non suscettibile di giustificarne l’integrazione.
Secondo la decisione qui impugnata, il furto di uno zaino lasciato incustodito su una panchina per raggiungere una vicina fontanella integrerebbe detta aggravante “rientrando nelle abitudini sociali e nella pratica di fatto lasciare incustoditi i propri effetti personali, abbandonandoli temporaneamente in un luogo prossimo per assolvere ad un’esigenza transitoria”.
Appare evidente la erroneità di siffatta valutazione.
Se è certamente corretta l’affermazione secondo cui la procedibilità d’ufficio ai fini della integrazione della simulazione di reato deve essere valutata al momento della denuncia, con la conseguente irrilevanza delle modifiche normative sopravvenute (come quella che ha reso procedibile a querela anche il furto aggravato delle cose esposte alla pubblica fede, a norma dell’art.2 ,comma 1, lett. I) del cit. d.lgs n. 150/2022), risulta priva di fondamento la ritenuta configurabilità dell’aggravante nella fattispecie di furto in esame, oggetto della simulazione per cui si procede.
L’aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7 cod. pen., riguarda le cose esposte “per necessità e consuetudine” alla pubblica fede e tali devono intendersi soltanto quelle lasciate dal possessore, in modo permanente o per un certo tempo, senza diretta e continua custodia, per “necessità” o per “consuetudine” e che, per tale ragione, si trovino più esposte al rischio di essere più facilmente sottratte.
I casi in cui ricorrono le predette due alternative condizioni, di necessità o consuetudine, non sono specificati dalla norma, essendone rimessa l’individuazione all’interprete attraverso il richiamo implicito all’applicazione di regole di comune esperienza.
Nel caso in esame il riferimento a tali condizioni fuoriesce anche dalla portata più ampia possibile che si possa riconoscere alle regole dettate dall’esperienza, non potendosi ravvisare alcuna consuetudine o necessità nel lasciare incustoditi i propri effetti personali sopra una panchina in luogo aperto al pubblico, senza adottare alcuna cautela per scongiurare il rischio di furti.
La condizione di necessità di lasciare incustoditi determinati beni, presuppone la difficoltà se non addirittura l’impossibilità di adottare dei comportamenti più prudenti, come si riconosce ad esempio per gli oggetti lasciati all’interno dell’abitacolo di un’autovettura parcheggiata sulla pubblica strada, ove si tratti di oggetti ivi custoditi per necessità o comodità (Sez. 5, n. 38900 del 14/06/2019, COGNOME, Rv. 277119), ma non certamente rispetto a quelle cautele che possono essere agevolmente adottate e che rendono del tutto incauto ed imprudente il comportamento di chi le omette solo per distrazione o leggerezza, non essendovi alcuna necessità che ne renda impossibile o anche soltanto disagevole la custodia.
La condizione alternativa di esposizione “per consuetudine” è quella riferita alle prassi sociali consolidate, che dipendono dall’affidamento riposto nelle condotte generalizzate e radicate nel tempo, secondo usanze comuni e diffuse in determinati contesti sociali (ad es. come potrebbe essere per gli effetti personali lasciati incustoditi sul luogo di lavoro, in locali non aperti al pubblico).
I comportamenti superficiali ed incauti di chi lascia incustodita la cosa in suo possesso per distrazione o leggerezza in luogo aperto al pubblico, pur potendolo agevolmente evitare e al di fuori di un contesto sociale di generale affidamento, non consente certamente di ritenere configurabile detta aggravante che punisce più gravemente solo i casi in cui l’assenza di custodia del bene sia imposta da situazioni di necessità o da consuetudini sociali, di cui possa trarre profitto l’autore del furto.
Nei casi di mera imprudenza o distrazione, al contrario, vertendosi in situazioni di volontaria e non imposta mancanza di cautele nella custodia delle proprie cose, manca del tutto l’esposizione alla pubblica fede, da intendersi quale rispetto verso la proprietà altrui in cui confida chi deve lasciare una cosa, anche solo temporaneamente, incustodita per necessità o uso sociale condiviso nella ordinarietà dei casi per acquisita e generalizzata abitudine di vita.
In conclusione, non potendosi configurare l’aggravante prevista dall’art. 7 dell’art. 625 cod. pen., né comunque altra aggravante che possa giustificare la
procedibilità di ufficio del furto oggetto della falsa denuncia sporta dall’imput la sentenza impugnata deve essere annullata per insussistenza del fatto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Così deciso 1’11 settembre 2025
re estensore
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