Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 21079 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 21079 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 23/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nata a Montesilvano il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/4/2023 della Corte di appello di L’Aquila
Visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; letta la requisitoria del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria depositata dall’AVV_NOTAIO, difensore della ricorrente, con cui sono state reiterate le deduzioni formulate nel ricorso, di cui si è chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18 aprile 2023 la Corte di appello di L’Aquila ha confermato la sentenza emessa il 20 gennaio 2022 dal Tribunale di Teramo, con
cui NOME COGNOME è stata condannata alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all’art. 367 cod. pen., così riqualificato il fatto.
Secondo la conforme ricostruzione effettuata da entrambi i Giudici del merito, l’imputata aveva sporto una falsa denuncia di smarrimento della carta postepay, allo scopo di allontanare dalla propria persona i sospetti in ordine alla responsabilità del delitto di truffa, perpetrato ai danni di NOME COGNOME e oggetto di separato procedimento penale, incardinato presso il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto.
Avverso la sentenza della Corte di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputata, che ha dedotto i motivi di seguito indicati.
3.1. Con il primo motivo ha dedotto contraddittorietà della motivazione, non essendo stato dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio che la denuncia di smarrimento, sporta il 19 febbraio 2019, fosse falsa e che l’intento dell’imputata fosse stato proprio quello di sviare le indagini.
3.2. Con il secondo motivo ha dedotto carenza della motivazione ed erronea applicazione dell’art. 131 bis cod. pen. La Corte di appello avrebbe liquidato l’argomento con pochi e retorici riferimenti e avrebbe trascurato che la condotta era del tutto episodica e incapace di ledere il bene giuridico, tutelato dalla norma, tant’è che NOME COGNOME, persona offesa nel procedimento penale pendente presso il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, non avrebbe subito alcuna depauperazione delle tutele concesse dall’ordinamento. Inoltre, la Corte territoriale avrebbe fatto riferimento ai precedenti penali, che però non sarebbero una causa ostativa, prevista dal legislatore, e avrebbe trascurato che l’imputata non potrebbe essere qualificata come persona dotata di una spiccata caratura criminale, avvezza al delinquere e, come tale, socialmente pericolosa.
3.3. Con il terzo motivo ha dedotto carenza della motivazione ed erronea applicazione dell’art. 62 bis cod. pen., avendo la Corte di appello giustificato il diniego delle attenuanti generiche attraverso apodittiche e lapidarie frasi di stile, inidonee ad assolvere al precipuo onere argonnentativo, sulla medesima gravante. Di contro, la menzionata Corte avrebbe potuto valorizzare il contegno processuale corretto, leale e collaborativo, serbato dall’imputata, oltre alle concrete modalità della condotta e all’insussistenza o alla lievità del danno.
3.4. Con il quarto motivo ha dedotto carenza e illogicità della motivazione nonché erronea applicazione della legge penale con riguardo all’eccessiva quantificazione della pena, inspiegabilmente determinata in maniera pari alla metà del massimo edittale. La Corte di appello ha ritenuto congrua la pena finale di anni uno di reclusione, ritenendola corrispondente al minimo edittale. Non
avrebbe considerato, però, che la pena finale risulta essere corrispondente al minimo edittale in seguito all’applicazione della diminuente per la scelta del rito abbreviato. Di contro, al fine di un utilizzo congruo e proporzionato del potere dosimetrico, si sarebbe dovuto prendere in considerazione il minimo edittale, previsto dall’art. 367 cod. pen., per la determinazione della pena base. Ad ogni modo, la Corte di appello, nel confermare la decisione del Tribunale, non avrebbe tenuto conto delle effettive modalità della condotta, dell’insussistenza di un effettivo e concreto danno, della complessiva gravità della condotta, del contegno osservato dall’imputata: elementi in grado di consentire la determinazione di una pena base corrispondente al minimo edittale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è da rigettare.
2. Il primo motivo non è consentito.
Costituisce costante orientamento di legittimità quello secondo cui la falsa denuncia, che integra l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 367 cod. pen., può essere formulata con qualunque atto idoneo a provocare investigazioni, anche in assenza di un’iniziativa spontanea del denunciante (Sez. 6, n. 16277 dell’11/03/2015, Genna, Rv. 263123 – 01; Sez. 6, n. 48440 del 11/12/2012, Monforte, Rv. 254123 – 01).
Si è precisato che l’anzidetto reato non è configurabile solo se la condotta non determina il pericolo dell’inizio di un procedimento penale e, quindi, se il contenuto della denuncia appaia palesemente inverosimile ovvero la complessiva situazione di fatto escluda la necessità di svolgere indagini sul 1-eato denunciato e suggerisca, invece, di avviarle proprio sulla falsità dellek denuncia (Sez. 6, n. 4983 del 03/12/2009, Nuzzolese, Rv. 246077 – 01).
Nella specie, pertanto, la sentenza impugnata si è correttamente posta nell’alveo dei ricordati principi, atteso che – rispondendo all’analoga doglianza formulata nell’atto di appello – ha riconosciuto l’oggettività del reato nella condotta della ricorrente che ha falsamente denunciato di aver smarrito la carta postepay, su cui erano confluite le somme costituenti il profitto del commesso reato di truffa ai danni di NOME COGNOME, così simulando tracce del reato di furto ed indebito utilizzo della carta medesima.
A fronte di siffatte argomentazioni le censure della ricorrente, per un verso, non si confrontano con la motivazione svolta dai Giudici della cognizione e, dunque, omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019,
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COGNOME, Rv. 277710 – 01; Sez. 6, n. 20377 dell’11/3/2009, COGNOME e altri, Rv. 243838 – 01); per altro verso, sono volte a sollecitare una rilettura delle emergenze processuali, non consentita in questa sede (ex plurimis: Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, COGNOME, Rv. 226074 01; Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, COGNOME, Rv. 284556 01).
3. Il secondo motivo è infondato.
Questa Corte ha già avuto modo di osservare che non è censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che non motivi espressamente in relazione a una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza (Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 284096 – 01; Sez. 4, n. 27595 dell’11/05/2022, Omogiate, Rv. 283420 – 01)
Si è affermato, con specifico riguardo all’art. 131 bis cod. pen., che la motivazione può risultare anche implicitamente dall’argomentazione con cui il giudice di appello, per valutare la congruità del trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice di primo grado, abbia considerato gli indici di gravità oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell’imputato, alla stregua dell’art. 133 cod. pen.
Nella specie, la Corte di appello ha dato risposta alla richiesta di applicazione dell’art. 131 bis cod. pen., avendo fatto espresso riferimento alle modalità della condotta e alla personalità dell’imputata, gravata da numerosi precedenti.
In tal modo, come si evince dall’intera motivazione della sentenza impugnata (operazione consentita alla luce dei principi sopra ricordati), la Corte territoriale ha tenuto conto sia dell’intensità del dolo della ricorrente, atteso ch le modalità della condotta rendevano evidente «la palese volontà dell’imputata di sviare le indagini», sia della personalità della medesima imputata, emergente «dal suo nutrito certificato penale» (in questi termini si era espresso il giudice di primo grado): elementi che, alla stregua dell’art. 133 cod. pen., escludono una valutazione del fatto in termini di particolare tenuità.
4. Il terzo motivo è privo di specificità.
La Corte di appello, nel negare le attenuanti generiche «stante l’assenza di elementi di positiva valutazione e la presenza a carico dell’imputata di numerosi precedenti penali», ha, per un verso, ritenuto non rilevanti gli elementi dedotti dalla difesa e, per altro verso, fatto buon governo dei principi enunciati in sede di legittimità (Sez. 3, n. 44071 del 25.9.2014, Papini e altri, Rv. 260610 – 01), secondo cui il mancato riconoscimento delle circostanze anzidette può essere legittimamente giustificato con l’assenza di elementi di segno positivo.
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Peraltro, il comportamento processuale dell’imputata, rimarcato nel ricorso e concretizzatosi nella scelta del rito abbreviato, non assume rilevanza, come già rilevato da questa Corte (Sez. 3, n. 46463 del 17/09/2019, Di Puccio, Rv. 277271 – 01), che ha precisato che, in tema di determinazione del trattamento sanzionatorio, l’applicazione delle attenuanti generiche non può fondarsi sulla scelta di definire il processo nelle forme del rito abbreviato che implica “ex lege” il riconoscimento di una predeterminata riduzione della pena, poiché, in caso contrario, la stessa circostanza comporterebbe due distinte conseguenze favorevoli all’imputato.
Il quarto motivo è privo di specificità, atteso che, laddove la Corte di 4 1 · 40 appello ha affermatoiil giudice di primo grado, nella quantifica2:ione della pena, si era attestato sui valori minimi, ha inteso rilevare non già che il giudice di primo grado era partito dal minimo edittale ma che la pena, come determinata da quel giudice, era contenuta e non meritevole di riduzione, tenuto conto della personalità dell’imputata e della gravità del fatto: elementi, questi, richiamati espressamente per negare le attenuanti generiche ma implicitamente e insindacabilmente posti a base anche del giudizio di adeguatezza della pena inflitta.
Il rigetto del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 23/4/2024