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Falsa certificazione pubblico impiego: è sempre truffa

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13703/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per truffa aggravata. Il caso riguardava la presentazione di una falsa certificazione per pubblico impiego al fine di ottenere un incarico di supplenza. La Corte ha stabilito che il reato sussiste anche in assenza di un danno patrimoniale diretto per lo Stato, poiché il danno è ravvisabile nei costi di verifica sostenuti dall’amministrazione e nell’induzione in errore dell’ente pubblico. Il ricorso è stato respinto per la genericità e l’infondatezza dei motivi presentati.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa Certificazione per Pubblico Impiego: la Cassazione Conferma la Truffa

Presentare documenti falsi per ottenere un vantaggio nelle graduatorie pubbliche è un comportamento grave che può integrare il reato di truffa. Con la recente sentenza n. 13703 del 2024, la Corte di Cassazione ha ribadito questo principio, chiarendo che la falsa certificazione per pubblico impiego costituisce reato anche quando non produce un danno economico immediato e diretto per le casse dello Stato. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un aspirante supplente che, per migliorare la sua posizione in graduatoria, aveva presentato un certificato di servizio falso, apparentemente rilasciato da un istituto scolastico paritario che aveva cessato l’attività. Grazie a questo punteggio aggiuntivo, otteneva un incarico di supplenza.

Condannato per truffa aggravata ai danni dello Stato sia in primo grado che in appello, l’imputato decideva di ricorrere in Cassazione, sostenendo diverse tesi difensive.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha basato il ricorso su quattro argomentazioni principali, cercando di smontare l’impianto accusatorio.

Assenza di Danno Patrimoniale

Secondo il ricorrente, il reato di truffa non sussisteva perché mancava un elemento essenziale: il danno patrimoniale. La Pubblica Amministrazione, infatti, non avrebbe subito una perdita economica concreta, in quanto la prestazione lavorativa era stata regolarmente svolta.

Carenza dell’Elemento Soggettivo (Dolo)

L’imputato sosteneva di non aver agito con l’intenzione di ingannare, affermando che avrebbe ottenuto l’incarico anche senza i punti derivanti dal certificato falso. A suo dire, la sua condotta non era quindi animata dalla volontà di trarre in errore l’amministrazione.

Richiesta di Applicazione dell’Art. 131-bis c.p.

In subordine, la difesa chiedeva il riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, data la presunta modestia del danno e la natura “risibile” della condotta.

Altre Questioni sulla Pena

Infine, il ricorso lamentava il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e contestava il diniego di una seconda sospensione condizionale della pena.

L’Analisi della Corte sulla Falsa Certificazione e la Truffa

La Corte di Cassazione ha rigettato tutte le argomentazioni, dichiarando il ricorso inammissibile. La sentenza offre chiarimenti fondamentali su come interpretare il reato di truffa in contesti di falsa certificazione per pubblico impiego.

Il Danno Esiste ed è Concreto

La Corte ha smontato la tesi difensiva sull’assenza di danno. I giudici hanno spiegato che il danno per la Pubblica Amministrazione non si limita alla retribuzione corrisposta. Esso comprende anche:
1. I costi amministrativi: L’ente pubblico ha dovuto sostenere spese per effettuare i controlli sulla veridicità del documento, resi peraltro più complessi dal fatto che la scuola emittente aveva cessato l’attività.
2. L’induzione in errore: La condotta fraudolenta ha indotto l’amministrazione a stipulare un contratto di lavoro sulla base di presupposti falsi, alterando il corretto funzionamento delle procedure di selezione pubblica.

Il danno, quindi, è concreto e non meramente potenziale, e la sua esistenza non richiede una lesione patrimoniale diretta.

L’Intenzione di Ingannare (Dolo)

Per quanto riguarda il dolo, la Corte ha affermato che la coscienza e la volontà di trarre in inganno l’ente sono evidenti nell’atto stesso di presentare una certificazione falsa. La pretesa di avere comunque diritto all’incarico è stata giudicata irrilevante: ciò che conta è l’azione fraudolenta iniziale, finalizzata a ottenere un vantaggio ingiusto.

Inammissibilità degli Altri Motivi

Gli altri motivi del ricorso sono stati dichiarati inammissibili o manifestamente infondati:
– La particolare tenuità del fatto è stata esclusa perché la condotta è stata ritenuta “insidiosa” e di gravità tale da non poter essere considerata lieve.
– La richiesta di attenuanti generiche era stata formulata in appello in modo troppo generico, senza specificare le ragioni a sostegno, e pertanto non poteva essere riesaminata in Cassazione.
– La seconda sospensione condizionale è stata correttamente negata perché, sommando la pena inflitta in questo procedimento a una precedente condanna, si superava il limite massimo di due anni di pena detentiva previsto dalla legge.

Le motivazioni della decisione

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione su principi giuridici consolidati. In primo luogo, ha ribadito che un ricorso, per essere ammissibile, deve contenere motivi specifici e non limitarsi a riproporre le stesse argomentazioni già respinte nei gradi di merito. Nel merito, la sentenza chiarisce che il reato di truffa ai danni dello Stato non richiede necessariamente un danno patrimoniale diretto, essendo sufficiente che la condotta fraudolenta abbia indotto in errore l’ente pubblico, costringendolo a sostenere costi aggiuntivi e a deviare dalle corrette procedure amministrative. L’elemento soggettivo del dolo è integrato dalla semplice coscienza e volontà di presentare un documento falso per ottenere un vantaggio. Infine, la Corte ha applicato con rigore le norme procedurali sull’ammissibilità dei motivi di ricorso e sui limiti per la concessione di benefici come la sospensione condizionale della pena.

Le conclusioni

Questa sentenza conferma l’orientamento rigoroso della giurisprudenza nei confronti di chi utilizza documenti falsi per accedere al pubblico impiego. Le conclusioni che possiamo trarre sono chiare: ogni tentativo di alterare le procedure di selezione pubblica attraverso l’inganno è considerato una condotta grave, che integra il reato di truffa aggravata. Il danno per l’amministrazione non è solo economico, ma risiede nella lesione del buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa. La decisione funge da monito, sottolineando che le conseguenze penali possono essere severe e che le possibilità di ottenere benefici o attenuanti in questi casi sono estremamente ridotte.

Presentare una falsa certificazione per ottenere un incarico pubblico costituisce sempre reato di truffa, anche se non c’è un danno economico diretto per lo Stato?
Sì, secondo la Corte di Cassazione. Il danno non consiste solo nella retribuzione eventualmente percepita, ma anche nei costi che la Pubblica Amministrazione deve sostenere per le verifiche e nel fatto che l’ente viene indotto a stipulare un contratto sulla base di presupposti falsi.

Se una persona ritiene di avere comunque diritto a un incarico, l’uso di un documento falso è meno grave?
No. La sentenza chiarisce che la volontà di ingannare l’ente presentando un documento falso è sufficiente a integrare il dolo del reato di truffa. La pretesa di avere comunque diritto al posto è irrilevante rispetto alla fraudolenza della condotta.

È possibile ottenere la non punibilità per “particolare tenuità del fatto” in casi di falsa certificazione?
È difficile. Nel caso esaminato, la Corte ha escluso questa possibilità, ritenendo la condotta “insidiosa” e grave. La valutazione dipende dalle circostanze specifiche, ma l’inganno verso la Pubblica Amministrazione è considerato un fatto di per sé rilevante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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