Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 13703 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 13703 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MARCIANISE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/10/2023 della CORTE di APPELLO di VENEZIA visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. udito il difensore, AVV_NOTAIO, in difesa di COGNOME NOME, che, dopo breve discussione, ha concluso chiedendo raccoglimento del ricorso.
RITENUTO IN l’ATTO
La Corte di appello di Venezia con sentenza del 10/10/2023 – in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Verona del 9/11/20222, che aveva condanNOME NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 640, comma 2, n. 1, cod. pen. – riduceva la pena, confermando nel resto.
L’imputato, a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione, deducendo con il primo motivo la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di truffa. Evidenzia all’uopo, quanto all’elemento oggettivo, che il danno nel reato di truffa deve consistere in una lesione concreta del patrimonio, per cui – nel caso in cui la condotta sia finalizzata all’assunzione ad un pubblico impiego – non assume rilevanza il danno
indiretto o potenziale che non si sia sostanziato in una lesione patrimoniale o economica; che nel caso di specie non risulta provato il danno emergente subito dalla pubblica amministrazione, che non può rinvenirsi automaticamente nella costituzione del rapporto di lavoro, atteso che in tal caso si avrebbe una presunzione di danno in re ipsa; quanto all’ellemento soggettivo, che la condotta dell’imputato difetta del dolo, in quanto non sarebbero stati riconosciuti al ricorrente i punti derivanti dal servizio presso altra RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che – anche al netto della decurtazione di quelli derivanti dal servizio falsamente certificato gli avrebbero consentito di ottenere l’incarico di supplenza. Rileva, altresì, di aver prodotto documentazione, che la Corte territoriale ha ritenuto di non poter valutare – tenuto conto che il maggior riconoscimento del punteggio avrebbe dovuto fatto valere nella competente sede della giustizia amministrativa – con ciò violando il disposto dell’art. 2 cod. proc. pen.
2.1 Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 131-bis cod. pen., nonché mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Osserva che la Corte territoriale non ha considerato le modalità risibili della condotta criminosa e l’assenza di danni cagionati alla pubblica amministrazione, elementi questi che depongono per il riconoscimento della causa di non punibilità in discorso.
2.2 Con il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 62-bis cod. pen. Ritiene che la Corte territoriale non abbia motivato in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e che non abbia considerato le precarie condizioni socioeconomiche del ricorrente, l’ordinanza con cui nel 2009 è stato dichiarato estinto un reato precedentemente commesso, il tempo trascorso da quel momento senza che abbia commesso ulteriori reati, la grossolanità del falso.
2.3 Con il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 445 cod. proc. peli. e 164 cod. pen., rilevando che l’estinzione del reato non irnpedisce il riconoscimento per la seconda volta del beneficio della sospensione condizionale della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1 II primo motivo è aspecifico con riferimento alla doglianza relativa all’elemento oggettivo del reato e manifestamente infondato in relazione a quella avente ad oggetto la sussistenza dell’elemento soggettivo. Sotto il primo profilo, si osserva che non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, che ha individuato il danno cagioNOME dal reato nei costi dovuti sopportare
dall’ente pubblico per effettuare i controlli sulla bontà del documento presentato dal COGNOME, resi difficoltosi dal fatto che l’istituto paritario che apparentemente rilasciato la certificazione aveva cessato l’attività: sul punto, il ricorso sorvola, ignorando del tutto detta circostanza.
Come reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongonci le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravarne o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sezione 6, n. 23014 del 29/4/2021, B., Rv. 281521 – 01; Sezione 3, n. 50750 del 15/6/2016, COGNOME, Rv. 268385 – 01; Sezione 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849; Sezione 4, n. 34270 del 3/7/2007, COGNOME Rv. 236945 – 01).
Sotto il secondo profilo, si osserva che la condotta fraudolenta posta in essere dall’odierno ricorrente è all’evidenza connotata dal dolo richiesto dall’art. 640 cod. pen., cioè dalla coscienza e volontà di trarre in errore l’ente mediante l’artificio della falsa certificazione presentata, a nulla rilevando la prete pretermissione di un altro titolo vantato dall’imputato. Invero, il mancato riconoscimento del punteggio che si asserisce gli sarebbe spettato per aver prestato servizio presso altro istituto parificato è comunque successivo alla presentazione della falsa documentazione ed in ogni caso nulla toglie alla volontà di trarre in inganno l’ente.
1.2 Manifestamente infondato è anche il secondo motivo, atteso che la Corte territoriale e prima ancora il giudice di primo grado hanno congruamente motivato in punto di esclusione della configurabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., valorizzando la gravità condotta, ritenut insidiosa in ragione del fatto che gli eventuali accertamenti da svolgere avrebbero incontrato significative difficoltà, come effettivamente è accaduto, per aver cessato l’attività la RAGIONE_SOCIALE che apparentemente aveva rilasciato la certificazione. Trattasi di motivazione completa ed esaustiva, immune da vizi di logicità, che si sottrae, dunque, al sindacato di legittimità.
1.3 Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riferimento al terzo motivo, atteso che il corrispondente motivo di appello sul punto era generico, contenendo solo la richiesta di «concessione delle attenuanti generiche nella massima estensione» nell’epigrafe del terzo motivo e nelle conclusioni, senza tuttavia indicare le ragioni su cui si fondava detta richiesta. Sul punto, va evidenziato che la giurisprudenza di legittimità, con un orientamento, cui il Collegio intende dar seguito, ritiene inammissibile, ai sensi dell’art. 606, comma 3, ultima parte, cod. proc. pen., il ricorso per Cassazione che deduca una
questione che non ha costituito oggetto dei motivi di appello, tale dovendosi intendere anche la generica prospettazione nei motivi di gravame di una censura solo successivamente illustrata in termini specifici con la proposizione del ricorso in cassazione (Sezione 2, n. 34044 del 20/11/2020, COGNOME, Rv. 280306 – 01; Sezione 2, n. 29707 del 8/3/2017, COGNOME, Rv. 270316 – 01).
In altri termini, il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine motivi generici, proposti in concorso con altri motivi specifici, non può formare oggetto di ricorso per cassazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria, quand’anche il giudice dell’impugnazione non abbia in concreto pronunciato tale sanzione (Sezione 5, n. 44201 del 29/9/2022, Testa, Rv. 283808 – 01; Sezione 6, n. 20522 del 8/3/2022, COGNOME, Rv. 283268 01). Del resto, non avrebbe senso l’annullamento della sentenza di appello con rinvio al giudice di secondo grado a causa dell’omesso esame di un motivo di gravame, che in sede di rinvio per il suo esame sarebbe comunque destiNOME alla declaratoria di inammissibilità.
1.4 Il quarto motivo è manifestamente infondato, atteso che – avendo già goduto del beneficio della sospensione condizionale della pena con riferimento ad una sentenza di condanna alla pena di anni uno di reclusione – non avrebbe potuto ulteriormente beneficiarne, tenuto conto dell’entità della pena inflitta nel presente procedimento, pari ad anni uno e mesi due di reclusione. Sul punto, del tutto convincente risulta la motivazione adottata dal giudic:e di primo grado, sostanzialmente richiamata dalla Corte di appello. Invero, in tema di sentenza di patteggiamento, l’estinzione degli effetti penali conseguente all’utile decorso del termine di due o cinque anni (secondo che si tratti di delitto o di contravvenzione) deve intendersi limitata, con riguardo alla reiterabilità della sospensione condizionale, ai casi in cui sia stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, sicché, qualora sia stata applicata una pena detentiva, è necessario tenerne conto ai fini della valutazione richiesta, ex artt. 163 e 164, comma 4, cod. pen., in ordine alla concedibiliità di un secondo beneficio (Sezione 6, n. 27589 del 22/3/2019, P., Rv. 276076 – 01). Depone in tal senso la lettera della legge, segnatamente l’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 445 cod. proc. pen., che prevede che la sospensione condizionale della pena possa essere disposta per una seconda volta solo se con la precedente condanna «è stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva». Nel caso in esame, invece, sommando la pena di un anno di reclusione applicata con la sentenza di patteggiamento a quella di anni uno e mesi due di reclusione irrogata nel presente procedimento si supera lo sbarramento posto dall’art. 163, comma 4, cod. pen., che richiama l’art. 163 cod. pen., con riferimento al tetto di pena detentiva fissato in due anni.
All’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il giorno 8 marzo 2024.