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Falsa autocertificazione: reato anche senza vantaggi

La Cassazione conferma la condanna per il reato di falsa autocertificazione a carico di un dipendente che aveva dichiarato un titolo di studio mai conseguito. Per la Corte è irrilevante che la dichiarazione non fosse necessaria per l’assunzione; il reato sussiste per la lesione della fede pubblica.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa autocertificazione: quando dichiarare il falso è reato?

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia di falsa autocertificazione: il reato sussiste anche quando la dichiarazione mendace non produce un vantaggio immediato o non era strettamente necessaria per lo scopo prefissato. L’elemento centrale, infatti, è la lesione della fiducia che i cittadini devono poter riporre negli atti pubblici. Analizziamo insieme questo interessante caso.

I fatti del caso: la laurea dichiarata ma mai conseguita

La vicenda riguarda un dipendente assunto come centralinista presso un’azienda sanitaria pubblica. Al momento della stipula del contratto, l’uomo aveva presentato una dichiarazione sostitutiva in cui attestava di aver conseguito una laurea triennale in Scienze matematiche, Fisiche e Naturali presso una nota università, specificando persino l’anno di conseguimento e un voto di laurea (91/110). Successivi controlli hanno però rivelato che tale circostanza non corrispondeva al vero: l’università ha confermato che l’individuo non risultava laureato presso il loro ateneo. Di conseguenza, l’uomo è stato condannato sia in primo grado che in appello per il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.).

L’iter giudiziario e i motivi del ricorso

La difesa del dipendente ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre argomenti principali:

1. Errata interpretazione della dichiarazione e assenza di dolo: Si sosteneva che la dichiarazione indicasse solo la frequenza di un corso e non il conseguimento del titolo. Inoltre, si affermava che l’autocertificazione non era stata un requisito per l’assunzione, ma un atto successivo, rendendo il falso irrilevante.
2. Il concetto di “falso innocuo”: La difesa ha insistito sul fatto che la falsità fosse “innocua”, ovvero incapace di produrre vantaggi concreti, né nell’immediato né per futuri avanzamenti di carriera, i quali avrebbero richiesto procedure di verifica separate.
3. Mancata applicazione della non punibilità per particolare tenuità del fatto: Secondo i legali, si trattava di un errore commesso per leggerezza e negligenza, non di un atto intenzionale, e quindi meritevole dell’applicazione dell’art. 131-bis c.p.

L’analisi della Cassazione sulla falsa autocertificazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando tutte le argomentazioni difensive. I giudici hanno chiarito che il ricorso rappresentava un tentativo di rivalutare i fatti, compito che non spetta alla Corte di legittimità. La motivazione della Corte d’Appello è stata ritenuta logica, coerente e giuridicamente corretta.

Le motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha smontato punto per punto le tesi della difesa. In primo luogo, ha evidenziato come l’indicazione di un voto di laurea specifico (91/110), palesemente inventato, dimostrasse in modo inequivocabile la volontà di attestare il conseguimento del titolo e non la semplice frequenza di un corso. Questo elemento è stato ritenuto decisivo per confermare la presenza del dolo, ovvero la piena coscienza e volontà di dichiarare il falso.

In secondo luogo, è stato respinto il concetto di “falso innocuo”. La giurisprudenza costante afferma che un falso è innocuo solo quando l’alterazione della verità è talmente irrilevante da non modificare il senso dell’atto. In questo caso, la dichiarazione aveva lo scopo di attestare i titoli di studio del dichiarante. Attestare un titolo inesistente va a minare proprio la funzione documentale dell’atto. La Corte ha ribadito che l’innocuità non va valutata in base all’uso che si fa del documento, ma in base alla sua capacità di ledere la fede pubblica. Il reato di falso, infatti, protegge la fiducia collettiva nella veridicità degli atti, a prescindere dal fatto che il colpevole ottenga o meno un vantaggio personale.

Infine, riguardo alla particolare tenuità del fatto, la Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito. La possibilità che quel documento falso potesse essere utilizzato in futuro per avanzamenti di carriera o per l’assegnazione di mansioni specifiche è stata considerata una ragione sufficiente per escludere la minima offensività del comportamento.

Conclusioni

Questa sentenza è un monito importante sull’importanza della veridicità nelle autocertificazioni presentate alla Pubblica Amministrazione. Il reato di falsa autocertificazione scatta nel momento in cui si attesta il falso in un atto destinato a provare la verità di un fatto, indipendentemente dal fatto che tale dichiarazione sia richiesta, necessaria o porti a un vantaggio concreto. Il bene protetto è la fede pubblica, e la sua lesione è sufficiente a integrare il reato, salvo casi di falsità talmente grossolane o irrilevanti da essere considerate “innocue”. La leggerezza o la negligenza non bastano a scusare una dichiarazione mendace, soprattutto quando arricchita da dettagli inventati che ne rafforzano la credibilità.

Commettere una falsa autocertificazione è reato anche se non era richiesta per ottenere il posto di lavoro?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il reato di falsità ideologica in atto pubblico sussiste perché lede la fede pubblica, ovvero la fiducia della collettività nella veridicità degli atti. È irrilevante se la dichiarazione fosse un requisito necessario per l’assunzione o se sia stata presentata dopo aver già ottenuto il lavoro.

Quando una falsità in un documento può essere considerata un “falso innocuo” e quindi non punibile?
Un falso è considerato “innocuo” solo quando l’alterazione della verità è completamente irrilevante ai fini dell’interpretazione dell’atto e non ne modifica in alcun modo il senso. Se la falsità incide sulla funzione documentale dell’atto (in questo caso, attestare un titolo di studio), non può essere considerata innocua.

È necessario aver ottenuto un vantaggio concreto perché si configuri il reato di falsa autocertificazione?
No, non è necessario. Il reato si perfeziona con la semplice dichiarazione mendace resa al pubblico ufficiale, in quanto ciò che viene leso è il bene della fede pubblica. La possibilità che l’atto possa essere utilizzato per ottenere vantaggi futuri (come un avanzamento di carriera) è sufficiente a escludere cause di non punibilità come la particolare tenuità del fatto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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