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Falsa autocertificazione: reato anche senza obbligo

Un imprenditore è stato condannato per falsa autocertificazione per aver dichiarato di non avere carichi pendenti in una gara d’appalto. La Cassazione ha confermato la condanna, specificando che il reato sussiste anche se la dichiarazione non era un requisito esplicito del bando. L’obbligo di dire il vero sorge nel momento in cui si sceglie di usare l’autocertificazione.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa Autocertificazione: Reato Anche Se Non Richiesta dal Bando

L’utilizzo dell’autocertificazione è uno strumento fondamentale per la semplificazione dei rapporti tra cittadini e Pubblica Amministrazione. Tuttavia, la sua apparente informalità nasconde responsabilità penali precise. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 33666/2024) ribadisce un principio cruciale: commette reato chi presenta una falsa autocertificazione in una gara d’appalto, anche se quella specifica dichiarazione non era un requisito obbligatorio previsto dal bando. Analizziamo la decisione per comprendere le sue implicazioni pratiche per imprese e professionisti.

I Fatti del Caso: L’Autocertificazione Mendace

La vicenda riguarda un imprenditore che, partecipando a una procedura di appalto pubblico, allegava alla domanda di partecipazione un’autocertificazione redatta su carta intestata della propria impresa. In tale documento, datato 10 gennaio 2019, egli dichiarava di non avere “carichi pendenti”.

La realtà, però, era diversa. Appena pochi giorni prima, il 20 dicembre 2018, l’imprenditore aveva ricevuto personalmente la notifica del decreto di fissazione dell’udienza preliminare per un reato fiscale. Era quindi perfettamente a conoscenza dell’esistenza di un procedimento penale a suo carico nel momento in cui attestava il contrario alla stazione appaltante. A seguito della scoperta della falsità, veniva condannato in primo e secondo grado per il reato di cui all’art. 483 c.p. (Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico) in relazione all’art. 76 del D.P.R. 445/2000.

Le Obiezioni della Difesa e la Risposta della Corte

L’imprenditore ha proposto ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi. I più rilevanti ai nostri fini contestavano la sussistenza stessa del reato, sia sotto il profilo materiale che soggettivo. La difesa sosteneva che:

1. Il bando di gara e la normativa di riferimento (Codice dei Contratti Pubblici) non prevedevano l’obbligo di dichiarare i carichi pendenti come causa di esclusione.
2. L’imputato non avrebbe agito con dolo, ossia con la coscienza e volontà di commettere il reato, a causa della presunta “oscurità” della normativa in materia di appalti e della modulistica.

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo chiarimenti fondamentali sulla natura del reato di falsa autocertificazione.

Le Motivazioni: Perché la falsa autocertificazione è reato

Il cuore della decisione della Suprema Corte risiede in un principio netto: l’obbligo giuridico di dire il vero non discende dalle regole della specifica procedura (in questo caso, il bando di gara), ma direttamente dalla legge che disciplina le dichiarazioni sostitutive, ovvero il D.P.R. n. 445/2000.

I giudici hanno spiegato che, nel momento in cui un privato cittadino sceglie liberamente di avvalersi dello strumento dell’autocertificazione per attestare determinati fatti, stati o qualità personali a una Pubblica Amministrazione, egli assume la piena responsabilità penale della veridicità di quanto dichiarato. L’art. 76 del citato decreto, infatti, richiama esplicitamente le sanzioni del codice penale per chi rilascia dichiarazioni mendaci.

Di conseguenza, è irrilevante che la dichiarazione sui carichi pendenti fosse o meno un requisito di esclusione dalla gara. L’imputato ha presentato spontaneamente una certificazione falsa a un ente pubblico nell’ambito di una procedura formale. Questo è sufficiente a integrare il reato.

Anche la tesi della mancanza di dolo è stata respinta. La Corte ha osservato che l’imprenditore era pienamente consapevole della pendenza del procedimento penale, avendo ricevuto notifica personale pochi giorni prima. La presunta oscurità della normativa sugli appalti non può in alcun modo scusare una dichiarazione consapevolmente falsa su un fatto personale e noto. Anzi, il fatto che la dichiarazione fosse stata redatta autonomamente su carta intestata, e non su un modulo prestampato, ha rafforzato per la Corte la piena consapevolezza dell’atto.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Imprese e Professionisti

La sentenza in esame rappresenta un monito importante. Chiunque si interfacci con la Pubblica Amministrazione, specialmente in contesti competitivi come le gare d’appalto, deve prestare la massima attenzione e diligenza nel redigere le autocertificazioni. Il principio che emerge è chiaro: la scelta di utilizzare una dichiarazione sostitutiva comporta l’obbligo incondizionato di affermare il vero. Il reato di falsa autocertificazione si configura per il semplice fatto di mentire a un pubblico ufficiale in un atto destinato a provare la verità di un fatto, a prescindere dalle conseguenze pratiche di tale menzogna sulla procedura in corso. La fiducia che la Pubblica Amministrazione ripone nelle dichiarazioni dei cittadini è un bene giuridico tutelato penalmente, e la sua violazione viene sanzionata severamente.

È reato fare una falsa autocertificazione in una gara d’appalto se il bando non la richiede esplicitamente?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’obbligo di dire il vero deriva dalla legge sull’autocertificazione (D.P.R. 445/2000). Una volta che si sceglie di presentare una tale dichiarazione, questa deve essere veritiera, indipendentemente dal fatto che fosse un requisito obbligatorio della gara.

Cosa si intende per “carico pendente” in questo contesto?
Nel caso esaminato, la notifica del decreto di fissazione dell’udienza preliminare per un reato è stata considerata un “carico pendente”. L’imputato ne era a conoscenza al momento della dichiarazione, rendendo la sua attestazione consapevolmente falsa.

La poca chiarezza delle norme sui contratti pubblici può giustificare una falsa dichiarazione?
No. La Corte ha respinto questa argomentazione, affermando che la consapevolezza della pendenza di un procedimento penale e la scelta di attestare il falso integrano il dolo (l’intenzione di commettere il reato), a prescindere da una presunta oscurità delle normative sugli appalti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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