Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 33666 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 33666 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALMA DI MONTECHIARO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/11/2023 della CORTE di APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; lette le conclusioni dei difensori dell’imputato, AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Palermo ha confermato la condanna, pronunciata all’esito di giudizio abbreviato, di COGNOME NOME in ordine al reato di cui agli artt. 76 dpr n. 445 del 2000 e 483 cod. pen. consistito nell’avere attestato falsamente, in una procedura di appalto ad evidenza pubblica, di non avere carichi pendenti; mentre ha disposto la sostituzione della pena detentiva di giorni venti di reclusione con quella di euro 3.000 di multa.
Avverso la sentenza ricorre l’imputato, tramite il difensore, sviluppando sette motivi.
2.1. Con il primo eccepisce la nullità della sentenza impugnata, perché all’udienza del 16 novembre 2023 il P.G. non aveva rassegnato le proprie conclusioni.
Sostiene:
che all’udienza il P.G. si è riportato alle conclusioni formulate per iscritto;
che non esistevano agli atti conclusioni scritte inviate soltanto il 20 novembre 2023, a udienza e processo conclusi.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’abnormità del provvedimento di revoca del decreto penale di condanna contenuto nel dispositivo della sentenza di primo grado.
Si assume che la revoca del decreto penale farebbe regredire il processo alla fase precedente e sarebbe incompatibile con una pronuncia di condanna, contenuta nel medesimo provvedimento, la quale invece definisce il medesimo processo.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia il difetto di motivazione delle ordinanze di integrazione istruttoria assunte dal GUP nel corso del giudizio abbreviato.
2.4. Con il quarto deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento materiale del delitto di cui all’art. 483 cod. pen.
Il giudice di secondo grado, a fronte di uno specifico motivo di appello, non avrebbe spiegato in virtù di quale norma procedimentale o contrattuale la certificazione dei carichi pendenti sarebbe stata necessaria, dato che nessun obbligo in tal senso era previsto nel bando di gara, nel disciplinare di gara, nel prestampato della domanda di partecipazione fornito dalla Pubblica amministrazione.
Il profilo della affidabilità del concorrente, su cui fa leva la Corte di appello, sarebbe irrilevante, poiché surrettiziamente volto a introdurre una causa di esclusione non prevista nel bando di gara.
Inoltre dal fascicolo processuale non emergerebbe l’esistenza di alcun “carico pendente” che renderebbe falsa l’autocertificazione dell’imputato.
2.5. Con il quinto motivo si lamentano analoghi vizi in punto di elemento soggettivo del reato.
La Corte di appello non spiegherebbe come possa ravvisarsi “il dolo del falso in forza dell’oscurità della norma del codice dei contratti pubblici e del contenuto non chiaro della modulistica predisposta dalla pubblica amministrazione”.
2.6. Il sesto motivo contesta il diniego del beneficio della non menzione, il settimo deduce l’assenza di motivazione sulla commisurazione della sanzione sostitutiva.
Il ricorso è stato trattato, senza intervento delle parti, nelle forme di cui all’art. 23, comma 8 legge n. 176 del 2020 e successive modifiche.
I difensori dell’imputato hanno accompagnato le conclusioni con argomenti a sostegno dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Il primo motivo è infondato.
Dagli atti del fascicolo – cui il giudice di legittimità ha accesso in ragione della questione processuale da risolvere (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001 Policastro, Rv. 220092) – risulta quanto segue.
Il processo di appello è stato definito a seguito di discussione orale svoltasi all’udienza del 16 novembre 2023.
A detta udienza hanno partecipato il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO e il difensore dell’imputato (sostituto ex art. 102 cod. proc. pen. nominato dai difensori di fiducia).
La parte pubblica ha concluso “riportandosi alle conclusioni già formulate per iscritto”, il difensore dell’imputato ha insistito sui motivi di appello.
È vero che, in quel momento, non vi erano in atti conclusioni del PAVV_NOTAIO (che le ha inviata successivamente) tuttavia questo non inficia la decisione, poiché:
-sotto il profilo della partecipazione del Pubblico ministero ex art. 178, lett b), cod. proc. pen. è sufficiente ricordare che nessuna invalidità si produce quando, come nella specie, il pubblico ministero sia posto nelle condizioni di requirere (ricevendo la notifica della citazione e addirittura partecipando all’udienza) e abbia trascurato di esercitare il diritto assicuratogli dalla legge o lo abbia esercitato senza effettivo costrutto;
sotto il profilo delle garanzie difensive, astrattamente rilevanti ex art. 178, lett c), cod. proc. pen. come nullità di ordine AVV_NOTAIO a regime intermedio, va osservato che il difensore dell’imputato, presente all’udienza, nulla ha eccepito a fronte di conclusioni nella sostanza non formulate;
nessuna lesione si è prodotta, perché le conclusioni del P.G. non hanno inciso sull’esito del processo, dato che si trattava di richieste adesive ai motivi di appello (“in accoglimento del primo motivo dell’atto di impugnazione, dichiararsi la nullità
della sentenza di primo grado”); il che fa dubitare anche della sussistenza di un interesse dell’imputato ad eccepire la nullità in rassegna.
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
La revoca del decreto penale di condanna è un antecedente indefettibile, “ope legis”, del giudizio di opposizione (Sez. 3, n. 41592 del 03/05/2017, Bellini, Rv. 270892 – 01).
Ne consegue che in caso di revoca tardiva o addirittura omessa non è prevista alcuna sanzione processuale.
4. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Secondo il consolidato insegnamento della Corte di cassazione, in tema di giudizio abbreviato, l’esercizio del potere d’integrazione della prova, riconosciuto al giudice dall’art. 441, comma quinto, cod. proc. pen., non è sindacabile in sede di legittimità, trattandosi di valutazione discrezionale (cfr. tra le altre Sez. 6, n 30590 del 16/06/2010, C., Rv. 248043 – 01; Sez. 6, n. 49469 del 18/11/2015, V, Rv. 265905 – 01; Sez. 5, n. 1763 del 04/10/2021, dep. 2022, Provenza, Rv. 282395 – 01).
Il quarto e il quinto motivo, che contestano la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del delitto in contestazione, sono infondati.
Sul punto va chiarito che il vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimità è solo quello attinente alle questioni di fatto e non anche di diritto, giacché ove queste ultime, anche se in maniera immotivata o contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque esattamente risolte, non può sussistere ragione alcuna di doglianza (Sez. 2, n. 19696 del 20 maggio 2010, COGNOME, Rv. 247123; Sez. U, n. 155 del 29 settembre 2011, dep. 2012, COGNOME, in motivazione).
5.1. A seguito di cd. “doppia conforme” di condanna, l’imputato è stato ritenuto colpevole del reato di cui agli artt. 76 dpr n. 445 del 2000 in relazione alla fattispecie prevista dall’art. 483 cod. pen. per avere attestato falsamente, in una procedura di appalto ad evidenza pubblica, di non avere carichi pendenti.
La dichiarazione incriminata è stata rilasciata alla pubblica amministrazione nell’ambito di una procedura di gara “aperta” ex art. 60 d. Igs. n. 50 del 2016 di affidamento di lavori di manutenzione straordinaria di un plesso scolastico per l’importo di 516.000,00 euro.
Il 10 gennaio 2019 l’imputato presenta domanda di partecipazione alla gara, riempiendo il modulo prestampato.
Alla domanda viene allegata una autocertificazione, recante la stessa data del 10 gennaio 2019, dall’imputato stesso autonomamente formata e redatta (sulla carta intestata della propria impresa) con la quale egli si dichiara “consapevole delle sanzioni penali previste dall’art. 76 del dpr n. 445/2000 in caso di dichiarazioni mendaci” e attesta alla pubblica amministrazione che nel certificato “dei carichi pendenti presso la Procura della Repubblica di Agrigento nei suoi confronti risulta: nulla”.
A differenza di quanto ritiene la Corte di appello si ricade, ratione temporis, nel periodo di vigenza non del c.d. Codice De Lise (d. Igs. n. 163 del 2006), ma del d. Igs. n. 50 del 2016 (ora, a sua volta, abrogato).
La Corte di appello non individua, quindi, in modo corretto il quadro normativo di riferimento; tuttavia la soluzione giuridica cui perviene è esatta e la ricostruzione del fatto risulta esente da cadute logiche.
Il bando di gara (prodotto dal ricorrente in allegato all’impugnazione e quindi sottoposto all’esame del giudice di legittimità) richiama le cause di esclusione generali dell’art. 80. Igs. n. 50 del 2016, norma che non contempla l’esistenza di un procedimento in corso per delitti di evasione fiscale; invero: il comma 1 del citato art. 80 riguarda condanne definitive; il comma 2 situazioni collegabili alle misure antimafia; il comma 3 disciplina l’ambito oggettivo delle precedenti esclusioni; il comma 4 prevede l’esclusione di un operatore economico che ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali e indica cosa va inteso per “gravi violazioni” e per “violazioni definitivamente accertate” (quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione).
Il medesimo bando non introduce ulteriori cause di esclusione collegabili alla pendenza di un processo penale. I requisiti di idoneità professionale concernono espressamente soltanto l’iscrizione alla RAGIONE_SOCIALE per l’attività corrispondente ai lavori da appaltare.
Tutto ciò, però, non rileva, perché l’imputato ha rilasciato una mendace autocertificazione alla pubblica amministrazione (Sez. 6, n. 15485 del 24/03/2009, Ferraglio, Rv. 243521 – 01 in tema di partecipazione a una gara pubblica) e l’obbligo giuridico di affermare il vero discende dal d. Igs. n. 445 del 2000.
5.2. L’art. 76 del d.lgs. n. 445 del 2000 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa) incrimina chiunque rilasci dichiarazioni mendaci, formi atti falsi o ne faccia uso nei casi previsti dal medesimo T.U., rimandando al codice penale e alle leggi speciali in materia ai fini sanzionatori.
Risponde, pertanto, del delitto di cui all’art. 483 cod. pen. il privato che renda false attestazioni circa gli stati, le qualità personali ed i fatti indicati nell’art. 4
citato Testo Unico, tra i quali quelli di cui alla lett. bb ): «di non essere a conoscenza di essere sottoposto a procedimenti penali».
5.3. Come già osservato, l’imputato ha allegato alla domanda di partecipazione al bando di gara una dichiarazione, datata 10 gennaio 2019, con la quale ha attestato di non avere carichi pendenti.
La dichiarazione è falsa, poiché, pochi giorni prima, il 20 dicembre 2018, l’imputato sveva ricevuto personalmente la notifica del decreto di fissazione udienza preliminare per rispondere del delitto di cui all’art. 2 d. Igs. n. 74 del 2000 (il dato documentale viene contestato in modo aspecifico e assertivo dal ricorrente).
Quindi, secondo quanto rilevato dalla Corte di appello, l’imputato:
era gravato da un carico pendente per il delitto di dichiarazione frandolenta;
era perfettamente a conoscenza della vocatio in ius, poiché, pochi giorni prima di effettuare la dichiarazione falsa, aveva ricevuto personalmente l’avviso dell’udienza preliminare;
era consapevole della falsità della autocertificazione che escludeva la presenza di carichi pendenti a conoscenza del dichiarante.
5.4. A fronte di questo congruo percorso motivazionale che evidenzia la falsità della certificazione e il dolo del reato, non hanno presa le censure svolte dal ricorrente che si appuntano su:
l’assenza di un obbligo di certificazione sui carichi pendenti; invero una volta che il privato decide di avvalersi della autocertificazione ex d. Igs. n. 445 del 2000, risponde delle conseguenze penali di una falsa attestazione, poiché l’obbligo di dire la verità in relazione a determinati requisiti (tra cui quello in rassegna) deriva proprio dal testo normativo appena citato (Sez. 5, n. 20570 del 10/05/2006, Esposito, Rv. 234203 – 01);
l’assenza di dolo per una pretesa oscurità della normativa e della modulistica; in realtà nella specie viene in rilievo una dichiarazione effettuata dall’imputato non su prestampati ma su carta intestata della propria impresa e quindi redatta in modo autonomo.
Il sesto motivo è inammissibile sotto vari profili.
L’omologo motivo di appello era generico, poiché non indicava in base a quali elementi concreti, in tesi pretermessi, all’imputato sarebbe spettata la concessione del beneficio della non menzione.
Il motivo di ricorso è generico, poiché presenta il medesimo vizio di aspecificità.
Il motivo è manifestamente infondato, dato che il riconoscimento della sospensione condizionale della pena non implica automaticamente anche la non menzione, in ragione della diversità di presupposti.
Il settimo motivo è manifestamente infondato.
La graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito che, nel caso di specie, ne ha giustificato l’esercizio in maniera adeguata (cfr. pag. 5).
La memoria difensiva ricalca i motivi del ricorso principale, senza introdurre sostanziali elementi di novità.
Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17/05/2024