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Falsa autocertificazione: reato anche durante il Covid

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di assoluzione, stabilendo che la falsa autocertificazione presentata per giustificare gli spostamenti durante l’emergenza Covid-19 costituisce il reato di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.). La Corte ha chiarito che tale dichiarazione ha una funzione probatoria specifica e che il principio del ‘nemo tenetur se detegere’ non trova applicazione in questo contesto, poiché si tratta di una dichiarazione amministrativa.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa Autocertificazione e Reato: la Cassazione sul caso Covid

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1506 del 2024, è tornata a pronunciarsi su un tema di grande attualità: le conseguenze penali della falsa autocertificazione presentata durante il periodo di emergenza sanitaria. La decisione chiarisce in modo definitivo che dichiarare il falso sui motivi del proprio spostamento integra il reato di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico, annullando una precedente assoluzione e delineando principi giuridici di fondamentale importanza.

I fatti del caso: la dichiarazione mendace

Il caso ha origine da un controllo effettuato il 22 aprile 2020, in pieno lockdown per la pandemia da Covid-19. Una persona veniva fermata fuori dalla propria abitazione e, per giustificare lo spostamento in violazione delle normative anti-contagio, presentava un’autocertificazione. Nel documento, dichiarava di trovarsi fuori per ‘esigenze lavorative’, specificando di dover effettuare consegne per conto di una pizzeria.

Tuttavia, successivi accertamenti hanno rivelato che la dichiarazione era completamente falsa: la persona non lavorava per quella pizzeria e non aveva compiuto alcuna consegna. In primo grado, il Tribunale di Asti aveva assolto l’imputata con la formula ‘perché il fatto non sussiste’. Contro questa decisione, il Procuratore della Repubblica ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo l’erronea applicazione della legge penale.

La decisione della Cassazione sulla falsa autocertificazione

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso del Procuratore, annullando la sentenza di assoluzione e rinviando il caso alla Corte d’Appello di Torino per un nuovo giudizio. La decisione si basa su due pilastri argomentativi principali.

La natura probatoria della dichiarazione sostitutiva

Il primo punto chiave riguarda il valore giuridico dell’autocertificazione. Secondo la giurisprudenza consolidata, il reato di falso ideologico previsto dall’art. 483 del codice penale si configura quando la dichiarazione del privato viene trasfusa in un atto pubblico destinato a provare la verità dei fatti attestati. Ciò accade quando una norma obbliga il privato a dichiarare il vero, collegando specifici effetti giuridici a tale dichiarazione.

Nel caso delle autocertificazioni Covid, la normativa di riferimento (D.P.R. n. 445 del 2000) conferisce a queste dichiarazioni una precisa e specifica funzione probatoria. Esse servono a dimostrare ‘stati, qualità personali o fatti che siano nella diretta conoscenza dell’interessato’. Il pubblico ufficiale che riceve l’autocertificazione ne prende atto, facendo affidamento sulla veridicità di quanto dichiarato dal privato, che è tenuto per legge all’obbligo di verità.

L’inapplicabilità del principio ‘nemo tenetur se detegere’

La Corte ha anche affrontato e respinto l’idea che la compilazione dell’autocertificazione potesse essere coperta dal principio del nemo tenetur se detegere, ovvero il diritto di non auto-incriminarsi. Gli Ermellini hanno sottolineato che la dichiarazione sui motivi dello spostamento ha una natura puramente amministrativa e non costituisce una denuncia a proprio carico.

È una dichiarazione che serve a giustificare un comportamento nell’ambito di una normativa emergenziale. Solo in un momento successivo, ed eventuale, le autorità possono procedere ad accertamenti sulla veridicità di quanto dichiarato. Pertanto, mentire in quella sede non è una forma di auto-difesa, ma una violazione dell’obbligo di verità imposto dalla legge.

Le motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si fondano sulla necessità di tutelare la fede pubblica e la funzione probatoria degli atti che, per legge, si basano sulla veridicità delle dichiarazioni dei privati. La normativa emergenziale delegava al singolo cittadino la responsabilità di attestare la legittimità dei propri spostamenti. Consentire la falsità in tali dichiarazioni avrebbe significato vanificare l’intero impianto normativo volto al contenimento del contagio.

La Cassazione ha ribadito che il delitto di falso ideologico è configurabile proprio perché l’atto pubblico (il verbale di controllo che recepisce l’autocertificazione) è destinato a provare la verità di un fatto (il motivo dello spostamento) che solo il privato può documentare in quel preciso momento. La legge attribuisce a quella dichiarazione un valore di prova, sanzionando penalmente chi ne abusa dichiarando il falso.

Conclusioni e implicazioni pratiche

La sentenza rappresenta un importante monito sulla responsabilità individuale e sulle conseguenze legali delle proprie dichiarazioni. Anche in un contesto di emergenza, l’obbligo di verità verso le autorità pubbliche rimane un cardine del nostro ordinamento. La decisione chiarisce che la falsa autocertificazione non è una semplice ‘furbata’ per eludere un controllo, ma un vero e proprio reato che lede la fede pubblica. Le implicazioni pratiche sono chiare: ogni qualvolta la legge richiede a un cittadino di attestare fatti sotto la propria responsabilità, la menzogna può avere conseguenze penali, indipendentemente dal contesto e dalla gravità del fatto non dichiarato o falsamente attestato.

Dichiarare il falso su un’autocertificazione Covid è reato?
Sì. Secondo la sentenza, dichiarare falsamente i motivi di uno spostamento su un’autocertificazione prevista dalla normativa anti-contagio integra il delitto di falsità ideologica commesso dal privato in atto pubblico, previsto dall’art. 483 del codice penale.

Perché l’autocertificazione ha valore di prova?
Perché una norma specifica (in questo caso, l’art. 47 del D.P.R. n. 445 del 2000) obbliga il privato a dichiarare il vero e attribuisce a tale dichiarazione una funzione probatoria, ossia la capacità di dimostrare l’esistenza di stati, qualità personali o fatti a diretta conoscenza dell’interessato.

Posso mentire in un’autocertificazione per non essere sanzionato, invocando il diritto a non accusarmi?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il principio del ‘nemo tenetur se detegere’ (diritto a non auto-incriminarsi) non si applica in questo caso, poiché la dichiarazione ha natura meramente amministrativa e non costituisce una denuncia a proprio carico. L’obbligo di dichiarare il vero prevale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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