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Falsa autocertificazione e tenuità del fatto: la Cassazione

La Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di falsa autocertificazione per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Un soggetto aveva omesso di dichiarare alcuni veicoli intestati alla compagna convivente. La Corte ha confermato la sua responsabilità penale, ribadendo che nel calcolo del reddito rientrano tutti i beni del nucleo familiare, inclusi quelli del convivente. Tuttavia, ha annullato la sentenza di condanna con rinvio, ritenendo che i giudici di merito non avessero motivato adeguatamente il diniego della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), specificando che né l’ottenimento del beneficio né la presenza di precedenti penali sono di per sé ostativi.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Il caso della falsa autocertificazione per il gratuito patrocinio: tra dolo e tenuità del fatto

L’accesso alla giustizia è un diritto fondamentale, garantito anche a chi non dispone delle risorse economiche necessarie attraverso l’istituto del patrocinio a spese dello Stato. La sua concessione è però subordinata a una dichiarazione veritiera delle proprie condizioni patrimoniali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 6288/2024) affronta il delicato tema della falsa autocertificazione, chiarendo importanti aspetti sulla responsabilità penale e sull’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

I fatti di causa: l’omissione dei veicoli

Il caso ha origine dal ricorso di un imputato, condannato nei primi due gradi di giudizio per il reato previsto dall’art. 95 del D.Lgs. 115/2002. L’accusa era quella di aver presentato una falsa autocertificazione per ottenere il gratuito patrocinio, omettendo di indicare due veicoli intestati alla propria compagna convivente, inserita nel suo stato di famiglia. L’imputato si difendeva sostenendo la mancanza di consapevolezza e la non rilevanza dell’omissione ai fini dell’ammissione al beneficio.

La valutazione della Cassazione sulla falsa autocertificazione

La Suprema Corte ha respinto i motivi di ricorso relativi alla colpevolezza dell’imputato. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: ai fini della determinazione del limite di reddito per l’accesso al patrocinio, si deve tener conto di tutti gli elementi reddituali e patrimoniali del nucleo familiare. Questo include non solo i redditi del richiedente, ma anche quelli dei familiari conviventi, compresa la compagna.

La Corte ha specificato che l’obbligo di dichiarare tali beni deriva direttamente dalla legge e non è scusabile un eventuale errore sulla disciplina extra-penale. L’omissione, anche parziale, di elementi patrimoniali rilevanti, come i veicoli della convivente di cui l’imputato aveva la disponibilità, integra pienamente il reato di falsa autocertificazione, essendo sufficiente la consapevolezza di non dichiarare un dato che si ha l’obbligo di indicare.

La non punibilità per particolare tenuità del fatto: una motivazione carente

L’aspetto più innovativo della sentenza riguarda l’accoglimento del motivo di ricorso relativo al mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.). La Corte di Appello aveva escluso tale beneficio in modo generico, basandosi sulla gravità della condotta e sul fatto che l’imputato avesse effettivamente ottenuto il patrocinio.

La Cassazione ha ritenuto questa motivazione ‘assente o meramente apparente’. Ha chiarito che né l’avvenuta ammissione al beneficio, né la presenza di precedenti penali a carico dell’imputato costituiscono, di per sé, elementi sufficienti a escludere la particolare tenuità del fatto. Il giudice deve, invece, compiere una valutazione specifica e dettagliata, tenendo conto di tutti i parametri normativi: la gravità del danno o del pericolo, il grado della colpevolezza e l’eventuale abitualità del comportamento. La semplice presenza di precedenti non è ostativa, a meno che non si configuri una delinquenza abituale, professionale o per tendenza, circostanze non emerse nel caso di specie.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla necessità di distinguere la configurabilità del reato dalla sua concreta punibilità. Se da un lato la responsabilità per la falsa autocertificazione è stata confermata in base a un’interpretazione rigorosa degli obblighi dichiarativi, dall’altro si è censurata la superficialità con cui è stata negata l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. La Suprema Corte sottolinea che la valutazione sulla tenuità del fatto non può essere liquidata con formule stereotipate, ma richiede un’analisi approfondita del caso concreto, che consideri la reale portata offensiva della condotta.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza annulla la decisione impugnata limitatamente alla questione della non punibilità, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte di Appello per un nuovo esame. Questa pronuncia è di grande importanza pratica: riafferma la serietà degli obblighi dichiarativi per l’accesso al gratuito patrocinio, ma al contempo impone ai giudici di merito una valutazione attenta e puntuale per l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, evitando automatismi che potrebbero pregiudicare una corretta personalizzazione della risposta sanzionatoria.

I beni del convivente devono essere dichiarati nella domanda per il patrocinio a spese dello Stato?
Sì. Secondo la Corte, ai fini della determinazione del reddito per l’ammissione al beneficio, concorrono tutti gli elementi reddituali e patrimoniali dei componenti del nucleo familiare, inclusi quelli del convivente.

Commette reato chi omette di dichiarare i beni del proprio partner convivente?
Sì. L’omissione, anche parziale, di dati di fatto rilevanti, come i beni intestati a un familiare convivente, integra il reato di falsa autocertificazione previsto dall’art. 95 del D.P.R. 115/2002.

Avere precedenti penali impedisce automaticamente di ottenere la non punibilità per ‘particolare tenuità del fatto’?
No. La Corte ha chiarito che la presenza di precedenti penali non rappresenta di per sé un elemento sufficiente a negare la causa di non punibilità. È ostativa solo se l’imputato è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, o se ha commesso più reati della stessa indole. In assenza di ciò, il giudice deve valutare la gravità del fatto e il grado di colpa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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