Falsa Attestazione Reddito: Reato Anche Senza Firma Digitale
Recentemente, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso significativo riguardante la falsa attestazione per il reddito di cittadinanza. La questione centrale era se una domanda telematica, priva della prescritta sottoscrizione digitale, potesse comunque integrare il reato di indebita percezione del sussidio. Con l’ordinanza in esame, i giudici hanno fornito una risposta chiara: la forma non prevale sulla sostanza. Vediamo nel dettaglio i fatti e le motivazioni di questa importante decisione.
I Fatti del Caso
Una cittadina veniva condannata per aver fornito false attestazioni in un’istanza telematica presentata all’INPS al fine di ottenere il reddito di cittadinanza. La difesa della ricorrente si basava su un vizio di forma: la domanda, pur essendo stata inoltrata per via telematica, era priva della sottoscrizione digitale prevista dal Codice dell’Amministrazione Digitale (d.lgs. n. 82/2005). Secondo la tesi difensiva, questa irregolarità avrebbe dovuto rendere la richiesta giuridicamente inesistente, impedendo di conseguenza la configurazione del reato contestato.
La Decisione della Corte sulla Falsa Attestazione Reddito di Cittadinanza
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo manifestamente infondato. I giudici hanno confermato un principio già espresso in precedenza: il reato di cui all’art. 7 del d.l. n. 4/2019 sussiste anche se la domanda online non è sottoscritta secondo le modalità tecniche previste dalla legge.
L’irregolarità della firma, o la sua totale assenza in formato digitale, non è sufficiente a escludere la responsabilità penale. Ciò che conta è l’intento fraudolento e l’effettiva presentazione di una richiesta basata su dati falsi per ottenere un beneficio economico a cui non si avrebbe diritto.
Le Motivazioni della Corte
Il ragionamento della Suprema Corte è lineare e pragmatico. Si sottolinea che una sottoscrizione “irrituale” non determina l'”inesistenza” della richiesta. Al contrario, la domanda, una volta inoltrata nel sistema informatico dell’ente erogatore, è pienamente idonea a produrre il suo effetto: l’avvio del procedimento per la concessione del sussidio.
La norma penale mira a tutelare la corretta allocazione delle risorse pubbliche, sanzionando chiunque fornisca dichiarazioni mendaci per accedervi indebitamente. Consentire a un vizio formale, come la mancanza di una firma digitale a norma, di vanificare la tutela penale sarebbe contrario alla finalità della legge stessa. Il delitto si perfeziona con la presentazione della dichiarazione falsa, poiché è in quel momento che si mette in pericolo il bene giuridico protetto.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale: nell’ambito dei reati contro la pubblica amministrazione, la sostanza prevale sulla forma. La responsabilità penale per false dichiarazioni finalizzate a ottenere sussidi pubblici non può essere elusa appellandosi a cavilli tecnici o a irregolarità procedurali.
Per i cittadini, il messaggio è chiaro: la massima attenzione e veridicità sono richieste nella compilazione di qualsiasi domanda per l’accesso a benefici statali. Confidare nel fatto che un errore tecnico o una mancanza formale possa fungere da scudo in caso di dichiarazioni false è una strategia destinata al fallimento, con conseguenze penali ed economiche significative, come la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Una domanda online per il reddito di cittadinanza senza firma digitale è valida ai fini del reato?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, anche se la sottoscrizione è irregolare o assente, la richiesta non è considerata giuridicamente inesistente ed è idonea a produrre l’effetto di avviare il procedimento di erogazione, integrando quindi il reato se basata su dati falsi.
Si commette il reato di falsa attestazione anche se il sussidio non viene effettivamente erogato?
La sentenza si concentra sul fatto che la richiesta, anche se firmata irregolarmente, può produrre l’effetto dell’erogazione. Il reato di cui all’art. 7 del d.l. 4/2019 punisce la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi. Pertanto, il delitto si configura con la presentazione della domanda mendace, indipendentemente dalla successiva erogazione.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, la persona che lo ha presentato viene condannata al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria (in questo caso, 3.000 euro) a favore della Cassa delle ammende, a meno che non dimostri di non avere colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 37071 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 37071 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 31/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME COGNOME nato a MARSALA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/01/2025 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME, che deduce la violazione di legge in relazione all’art. 65 d.lgs. n. 82 del 2005 per essere la domanda per concessione del reddito di cittadinanza priva di sottoscrizione, è manifestamente infondato, avendo questa Corte già affermato il principio, qui da confermare, secondo cui integra il delit di cui all’art. 7, comma 1, d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, in legg marzo 2019, n. 26, la falsa attestazione contenuta in un’istanza inoltrata in via telemat all’RAGIONE_SOCIALE in funzione dell’ottenimento del reddito di cittadinanza, non sottoscritta co modalità previste dall’art. 65, comma 1, d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (cd. codic dell’amministrazione digitale), atteso che l’irrituale sottoscrizione, non determina l’inesistenza della richiesta, non le preclude di produrre l’effetto costituito dall’erogazio sussidio (Sez. 3, n. 32763 del 11/06/2024, Hamza, Rv. 286736 – 01);
stante l’inammissibilità del ricorso e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisand assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2025.