Falsa Attestazione Redditi: Quando la Difesa è Inammissibile
L’accesso alla giustizia è un diritto fondamentale, garantito anche a chi non dispone delle risorse economiche per sostenere le spese di un processo attraverso il patrocinio a spese dello Stato. Tuttavia, l’accesso a tale beneficio è subordinato alla veridicità delle dichiarazioni reddituali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito il rigore con cui viene valutata la falsa attestazione redditi, dichiarando inammissibile il ricorso di un imputato che contestava l’elemento psicologico del reato.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dalla condanna di un uomo, prima da parte del Tribunale e poi confermata dalla Corte di Appello di Torino, per il reato di falsa attestazione dei redditi del proprio nucleo familiare. La dichiarazione mendace era finalizzata ad ottenere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. L’imputato, non accettando la decisione di secondo grado, ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione in merito alla sussistenza del dolo, ovvero l’intenzionalità della sua condotta.
La Questione Giuridica: il Dolo nella Falsa Attestazione Redditi
Il punto centrale del ricorso verteva sull’elemento soggettivo del reato. La difesa sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel ritenere provata la volontà cosciente di presentare una dichiarazione non veritiera. In sostanza, si contestava la presenza del cosiddetto ‘dolo generico’, requisito indispensabile per la configurazione di questo tipo di reato. Secondo il ricorrente, la sua condotta non era supportata da una reale intenzione di frodare lo Stato.
Le motivazioni della Cassazione
La Suprema Corte ha respinto le argomentazioni della difesa, giudicando il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno evidenziato diverse carenze nel ricorso presentato:
1. Genericità dei Motivi: Le doglianze sono state ritenute generiche e prive di un reale confronto critico con le argomentazioni della sentenza impugnata. Il ricorso non ha ‘smontato’ il ragionamento del giudice di secondo grado, limitandosi a riproporre una tesi difensiva già respinta.
2. Coerenza del Giudizio di Appello: La Corte ha sottolineato come il ragionamento del giudice distrettuale fosse logico e coerente con le risultanze processuali. La Corte d’Appello aveva correttamente escluso la ‘buona fede’ dell’imputato.
3. Esclusione dell’Errore Scusabile: Non sono emersi elementi che potessero far pensare a una distorsione involontaria nella rappresentazione della realtà da parte dell’imputato. Si trattava, infatti, di redditi aggiuntivi personali, derivanti da lavoro dipendente, la cui omissione era difficilmente giustificabile come una svista. Inoltre, la domanda per il gratuito patrocinio era stata compilata in modo apparentemente completo, includendo anche altri cespiti mobiliari, il che rendeva l’omissione ancora più significativa.
In virtù di queste considerazioni, l’inammissibilità del ricorso è apparsa come una conseguenza inevitabile, data la sua natura palesemente dilatoria.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale: chi richiede un beneficio statale, come il gratuito patrocinio, ha l’onere di fornire una rappresentazione veritiera e completa della propria situazione economica. La Corte di Cassazione ribadisce che non è possibile invocare la ‘buona fede’ o una semplice ‘distrazione’ quando si omettono redditi personali da lavoro dipendente, soprattutto se la domanda appare per il resto completa e dettagliata. La palese inammissibilità del ricorso ha comportato, oltre alla condanna al pagamento delle spese processuali, anche il versamento di una cospicua somma alla Cassa delle Ammende, a sanzione del carattere meramente dilatorio dell’impugnazione.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché i motivi presentati erano manifestamente infondati, generici, privi di un confronto critico con la decisione impugnata e senza un’analisi censoria degli argomenti usati dalla Corte d’Appello per fondare il giudizio di responsabilità.
Come ha fatto la Corte a escludere la ‘buona fede’ dell’imputato?
La Corte ha escluso la buona fede basandosi sul fatto che i redditi omessi erano aggiuntivi e personali, derivanti da lavoro dipendente. Inoltre, la domanda presentata per il patrocinio era apparentemente completa, indicando altri beni mobiliari, il che rendeva l’omissione difficilmente attribuibile a una semplice distorsione o errore.
Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente a seguito della dichiarazione di inammissibilità?
A seguito della declaratoria di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle Ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33559 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33559 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
PREVIATO NOME NOME a LANZO TORINESE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/12/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Torino ha confermato la decisione del Tribunale di Torino che aveva riconosciuto NOME colpevole del reato di falsa attestazione dei redditi del nucleo familiare ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
Il ricorrente deduce vizio di motivazione in relazione alla affermazione dì responsabilità con riferimento all’elemento soggettivo, ovvero alla ricorrenza del dolo generico del reato in parola.
Ebbene, ritiene il Collegio che i motivi sopra richiamati siano manifestamente infondati in quanto in fatto, generici, privi di confronto con la decisione impugnata, non scanditi da necessaria critica alle argomentazioni poste a fondamento della decisione (Cass., sez. U, n.8825 del 27/10/2016, COGNOME) e privi di analisi censoria degli argomenti posti a fondamento del giudizio di responsabilità del ricorrente.
Il ragionamento sviluppato dal giudice distrettuale risulta coerente con le risultanze processualì, escludendo la “buon fede” del ricorrente, non risultando elementi positivi da cui inferire una distorsione della rappresentazione da parte dell’imputato sulla consistenza dei redditi percepiti nel periodo di riferimento, trattandosi di redditi aggiuntivi personali, maturati nell’ambito di lavoro dipendente e a fronte di domanda che aveva indicato anche ulteriori cespiti mobiliari, e quindi apparentemente completa in ogni sua parte.
Evidenziato che all’inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende che, avuto riguardo al palese carattere dilatorio del ricorso e alla palese inammissibilità del ricorso, appare conforme a giustizia stabilire nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma dì euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma il 26 giugno 2024
Il Consigliere estensore
Il Pr id nter