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Falsa attestazione redditi: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per falsa attestazione redditi ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. I giudici hanno ritenuto i motivi del ricorso generici e manifestamente infondati, confermando la valutazione del dolo da parte della Corte d’Appello.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa Attestazione Redditi: Quando la Difesa è Inammissibile

L’accesso alla giustizia è un diritto fondamentale, garantito anche a chi non dispone delle risorse economiche per sostenere le spese di un processo attraverso il patrocinio a spese dello Stato. Tuttavia, l’accesso a tale beneficio è subordinato alla veridicità delle dichiarazioni reddituali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito il rigore con cui viene valutata la falsa attestazione redditi, dichiarando inammissibile il ricorso di un imputato che contestava l’elemento psicologico del reato.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dalla condanna di un uomo, prima da parte del Tribunale e poi confermata dalla Corte di Appello di Torino, per il reato di falsa attestazione dei redditi del proprio nucleo familiare. La dichiarazione mendace era finalizzata ad ottenere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. L’imputato, non accettando la decisione di secondo grado, ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione in merito alla sussistenza del dolo, ovvero l’intenzionalità della sua condotta.

La Questione Giuridica: il Dolo nella Falsa Attestazione Redditi

Il punto centrale del ricorso verteva sull’elemento soggettivo del reato. La difesa sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel ritenere provata la volontà cosciente di presentare una dichiarazione non veritiera. In sostanza, si contestava la presenza del cosiddetto ‘dolo generico’, requisito indispensabile per la configurazione di questo tipo di reato. Secondo il ricorrente, la sua condotta non era supportata da una reale intenzione di frodare lo Stato.

Le motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha respinto le argomentazioni della difesa, giudicando il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno evidenziato diverse carenze nel ricorso presentato:

1. Genericità dei Motivi: Le doglianze sono state ritenute generiche e prive di un reale confronto critico con le argomentazioni della sentenza impugnata. Il ricorso non ha ‘smontato’ il ragionamento del giudice di secondo grado, limitandosi a riproporre una tesi difensiva già respinta.
2. Coerenza del Giudizio di Appello: La Corte ha sottolineato come il ragionamento del giudice distrettuale fosse logico e coerente con le risultanze processuali. La Corte d’Appello aveva correttamente escluso la ‘buona fede’ dell’imputato.
3. Esclusione dell’Errore Scusabile: Non sono emersi elementi che potessero far pensare a una distorsione involontaria nella rappresentazione della realtà da parte dell’imputato. Si trattava, infatti, di redditi aggiuntivi personali, derivanti da lavoro dipendente, la cui omissione era difficilmente giustificabile come una svista. Inoltre, la domanda per il gratuito patrocinio era stata compilata in modo apparentemente completo, includendo anche altri cespiti mobiliari, il che rendeva l’omissione ancora più significativa.

In virtù di queste considerazioni, l’inammissibilità del ricorso è apparsa come una conseguenza inevitabile, data la sua natura palesemente dilatoria.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale: chi richiede un beneficio statale, come il gratuito patrocinio, ha l’onere di fornire una rappresentazione veritiera e completa della propria situazione economica. La Corte di Cassazione ribadisce che non è possibile invocare la ‘buona fede’ o una semplice ‘distrazione’ quando si omettono redditi personali da lavoro dipendente, soprattutto se la domanda appare per il resto completa e dettagliata. La palese inammissibilità del ricorso ha comportato, oltre alla condanna al pagamento delle spese processuali, anche il versamento di una cospicua somma alla Cassa delle Ammende, a sanzione del carattere meramente dilatorio dell’impugnazione.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché i motivi presentati erano manifestamente infondati, generici, privi di un confronto critico con la decisione impugnata e senza un’analisi censoria degli argomenti usati dalla Corte d’Appello per fondare il giudizio di responsabilità.

Come ha fatto la Corte a escludere la ‘buona fede’ dell’imputato?
La Corte ha escluso la buona fede basandosi sul fatto che i redditi omessi erano aggiuntivi e personali, derivanti da lavoro dipendente. Inoltre, la domanda presentata per il patrocinio era apparentemente completa, indicando altri beni mobiliari, il che rendeva l’omissione difficilmente attribuibile a una semplice distorsione o errore.

Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente a seguito della dichiarazione di inammissibilità?
A seguito della declaratoria di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle Ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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