Falsa Attestazione: la Cassazione chiarisce consumazione del reato e imputabilità
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fornisce importanti chiarimenti su due aspetti cruciali del diritto penale: il momento consumativo del reato di falsa attestazione a un pubblico ufficiale (art. 495 c.p.) e i criteri per valutare l’imputabilità in presenza di disturbi della personalità. La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso di un imputato, ha ribadito principi consolidati, offrendo una guida chiara per operatori del diritto e cittadini.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dalla condanna, confermata in appello, di un individuo per il reato di cui all’articolo 495 del codice penale. L’imputato aveva reso dichiarazioni false a un pubblico ufficiale in merito alle proprie qualità personali. Contro la sentenza della Corte d’Appello, la difesa proponeva ricorso per Cassazione, articolandolo su tre motivi principali.
Falsa Attestazione e i motivi del ricorso
I motivi del ricorso si concentravano su due questioni fondamentali:
1. Vizio di motivazione e violazione di legge sulla responsabilità penale: La difesa sosteneva che l’imputato non fosse imputabile a causa di un disagio psicologico. Inoltre, contestava la sussistenza stessa degli elementi costitutivi del reato.
2. Errata qualificazione giuridica del fatto: In subordine, si chiedeva di riqualificare il reato da consumato a tentato, sostenendo che l’azione non si fosse pienamente compiuta.
La difesa ha anche presentato una memoria tardiva, che la Corte ha comunque considerato, per meglio illustrare le proprie argomentazioni.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha respinto tutti i motivi, dichiarando il ricorso inammissibile sulla base di argomentazioni nette e precise.
Sulla questione dell’imputabilità
I primi due motivi sono stati giudicati inammissibili perché ritenuti generici e volti a ottenere una nuova valutazione del merito della vicenda, attività preclusa in sede di legittimità. La Corte ha sottolineato che i giudici di merito avevano già congruamente motivato la piena responsabilità dell’imputato.
Sul punto specifico dei disagi psicologici, la Cassazione ha ribadito un principio fondamentale, richiamando la celebre sentenza “Raso” delle Sezioni Unite: i disturbi della personalità possono escludere o diminuire l’imputabilità solo a condizioni molto rigorose. Devono essere di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente. Inoltre, deve esistere un nesso causale diretto tra il disturbo e la condotta criminosa. Nel caso di specie, tali condizioni non erano state né allegate né provate adeguatamente nei gradi di merito.
Sulla consumazione del reato
Anche il terzo motivo, relativo alla richiesta di riqualificazione in delitto tentato, è stato respinto come manifestamente infondato. La Corte ha chiarito che il reato di falsa attestazione si perfeziona nel momento stesso in cui la dichiarazione mendace viene resa al pubblico ufficiale e da questi percepita. Non è necessario, ai fini della consumazione, che tale dichiarazione venga poi trasfusa in un atto pubblico formale. La condotta si esaurisce con la semplice comunicazione della falsità, rendendo giuridicamente inconcepibile la forma del tentativo.
Le Conclusioni
Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione conferma due principi cardine del diritto penale.
In primo luogo, il reato di falsa attestazione è un reato di pura condotta che si consuma istantaneamente con la dichiarazione al pubblico ufficiale. Questo significa che non appena la bugia viene pronunciata e recepita, il reato è già perfetto e punibile nella sua forma consumata.
In secondo luogo, viene riaffermato l’orientamento rigoroso in materia di imputabilità e disturbi mentali. Non qualsiasi anomalia del carattere o disagio psicologico è sufficiente a escludere la responsabilità penale. È necessario dimostrare un’infermità grave, clinicamente accertabile e direttamente collegata al reato commesso.
La decisione finale è stata la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000,00 Euro.
Quando si considera consumato il reato di falsa attestazione a un pubblico ufficiale?
Il reato si considera consumato nel momento esatto in cui la dichiarazione falsa perviene al pubblico ufficiale, indipendentemente dalla sua successiva riproduzione in un atto pubblico. Per questo motivo, non è configurabile il tentativo.
Un disturbo della personalità esclude sempre la responsabilità penale?
No. Secondo la giurisprudenza costante, i disturbi della personalità escludono o diminuiscono l’imputabilità solo se sono di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, e solo se esiste un nesso causale diretto tra il disturbo e il reato commesso.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano generici, miravano a una rivalutazione dei fatti (non consentita in Cassazione) e, in parte, erano manifestamente infondati, in quanto si basavano su un’interpretazione errata delle norme relative alla consumazione del reato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45155 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45155 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a NAPOLI il 09/11/1996
avverso la sentenza del 19/04/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
che con l’impugnata sentenza la Corte di Appello di Napoli ha confermato la condanna inflitta a NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 495 cod. pen. (fatto commesso in Avellino il 15 luglio 2021);
che l’atto di impugnativa consta di tre motivi;
che con memoria trasmessa in Cancelleria tramite PEC in data 30 ottobre 2024 – quindi tardivamente, secondo quanto stabilito da Sez. 7, n. 7852 del 16/07/2020, dep. 2021, Rv. 281308 – il difensore del ricorrente ha meglio lumeggiato i motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento;
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il primo e il secondo motivo, che denunciano la violazione degli artt. 85 e 495 cod. pen. e il vizio di motivazione in punto di affermazione della responsabilità dell’imputato, questi essendo non imputabile e non essendo ravvisabili nella fattispecie concreta gli elementi costitutivi del reato contestato, non sono consentiti in questa sede, giacché, tramite argomentazioni generiche perché articolate in maniera confusa così da rendere di difficile comprensione l’effettiva ragione di censura – e, comunque, interamente versate fatto, mirano a sollecitare una rivalutazione delle prove poste a fondamento del giudizio di responsabilità, siccome formulato da entrambi i giudici di merito nelle loro conformi decisioni, in assenza di specifica allegazione di individuati, inopinabili e decisivi fraintendimenti delle prove medesime, capaci, cioè, ictu °culi di scardinare la tenuta dell’impianto motivazionale della sentenza impugnata, che non risulta inficiato da illogicità di macroscopica evidenza [vedasi pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata, in cui la Corte territoriale ha escluso che sussistessero dubbi in ordine alla colpevolezza dell’imputato in relazione al fatto ascrittogli ed ha correttamente escluso che eventuali disagi psicologici dell’imputato si traducano automaticamente in un difetto di imputabilità – tale evenienza non essendo stata tra l’altro neppure allegata nel giudizio di primo grado -, tanto in conformità al diritto vivente secondo cui «Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i “disturbi della personalità”, che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di “infermità”, purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale. Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell’imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di “infermità”» (Sez. U, n. 9163 del 25/01/2005, COGNOME, Rv. 230317);
– che il terzo motivo, con il quale ci si duole della mancata riqualificazione del fatto come accertato alla stregua del delitto tentato, è generico per aspecificità, in quanto affidato a censure prive di confronto con le ragioni rassegnate al riguardo nella decisione impugnata: ossia, quella secondo cui il reato di cui all’art. 495 cod. pen. non sarebbe configurabile nella forma tentata, esso consumandosi nel momento in cui la dichiarazione perviene al pubblico ufficiale, indipendentemente dalla sua riproduzione in un atto pubblico (Sez. 5, n. 24308 del 31/03/2015, Rv.
265145; conf. Sez. 5, n. 23353 del 01/04/2022, Rv. 283432); donde il motivo stesso è anche manifestamente infondato;
rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13 novembre