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Falsa attestazione: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per falsa attestazione a un pubblico ufficiale. Il tentativo di giustificare la condotta come un errore è stato respinto, in quanto la Corte ha ritenuto che l’azione fosse una scelta deliberata per eludere una misura cautelare.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa Attestazione: la Cassazione chiarisce i limiti del ricorso

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un caso di falsa attestazione a pubblico ufficiale, un reato previsto dall’art. 495 del Codice Penale. La decisione è particolarmente interessante perché chiarisce i limiti del ricorso per Cassazione, ribadendo che la Suprema Corte non può riesaminare i fatti del processo, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.

Il caso: dalla condanna in Appello al ricorso

Un soggetto veniva condannato dalla Corte di Appello di Torino per il reato di falsa attestazione. In particolare, aveva fornito a un pubblico ufficiale generalità non veritiere sulla propria identità. Contro questa sentenza, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, sostenendo un vizio di motivazione. Secondo la difesa, la condotta non era il frutto di una volontà criminale, ma un semplice errore, e la Corte di Appello non aveva adeguatamente motivato la sua responsabilità penale.

La decisione della Suprema Corte sulla falsa attestazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende. La decisione si fonda su principi consolidati della procedura penale.

Il divieto di una nuova valutazione dei fatti

Il motivo principale della decisione risiede nella natura del giudizio di Cassazione. I giudici hanno sottolineato che il ricorso si basava su ‘mere doglianze in punto di fatto’. In altre parole, l’imputato non contestava un errore di diritto o un vizio logico della sentenza, ma chiedeva una nuova e diversa valutazione delle prove e dei fatti, un’attività che è riservata esclusivamente ai giudici di primo e secondo grado (giudici di merito). La Cassazione non è un ‘terzo grado’ di giudizio dove si può rifare il processo, ma un organo che controlla la legittimità delle decisioni.

La condotta volontaria e non l’errore

La Corte ha inoltre evidenziato come la motivazione della sentenza d’appello fosse del tutto esente da vizi logici o giuridici. I giudici di merito avevano chiaramente spiegato le ragioni del loro convincimento, specificando che la falsa attestazione non poteva essere ricondotta a un mero errore. Al contrario, era la conseguenza di una precisa volontà dell’imputato, il quale aveva agito con lo scopo di sottrarsi a una compiuta identificazione perché aveva violato una misura cautelare a cui era sottoposto. Questa finalità escludeva la possibilità di un errore accidentale e confermava la piena consapevolezza e volontà (il dolo) del reato.

Le motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si concentra sulla distinzione tra il giudizio di merito e il giudizio di legittimità. Il ricorrente, lamentando un vizio di motivazione, tentava in realtà di ottenere una ‘inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito’. La Corte ribadisce che il suo potere non include una ‘rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione’, citando a supporto un importante principio stabilito dalle Sezioni Unite. La sentenza impugnata aveva fornito una spiegazione logica e coerente del perché la condotta dell’imputato fosse intenzionale e non un semplice sbaglio, legandola alla necessità di nascondere la violazione di un’altra misura restrittiva. Di fronte a una motivazione così strutturata, il ricorso non poteva che essere giudicato manifestatamente infondato.

Le conclusioni

L’ordinanza conferma un principio fondamentale: non si può utilizzare il ricorso per Cassazione come un pretesto per rimettere in discussione l’accertamento dei fatti compiuto nei gradi di merito. Quando la motivazione di una sentenza è logica, coerente e giuridicamente corretta, le censure basate su una diversa interpretazione delle prove sono destinate all’inammissibilità. Questo caso di falsa attestazione dimostra che la prova della volontà colpevole può essere desunta logicamente dalle circostanze, come il tentativo di sottrarsi alle conseguenze di un’altra violazione di legge.

Perché il ricorso per falsa attestazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non contestava vizi di legge o illogicità della motivazione, ma si limitava a proporre una diversa valutazione dei fatti. Questo tipo di riesame è precluso alla Corte di Cassazione, che è un giudice di legittimità e non di merito.

È possibile giustificare una falsa attestazione come un semplice errore?
Secondo la Corte, non è possibile quando le circostanze dimostrano una precisa volontà dell’imputato. Nel caso specifico, l’imputato ha fornito false generalità per nascondere la violazione di una misura cautelare, un comportamento che la Corte ha ritenuto incompatibile con un mero errore e indicativo di una condotta volontaria.

Qual è il ruolo della Corte di Cassazione nella valutazione delle prove?
La Corte di Cassazione non ha il potere di riesaminare le prove o di sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito. Il suo compito è verificare che la decisione impugnata sia basata su una motivazione logica, non contraddittoria e conforme alla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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