Falsa attestazione a Pubblico Ufficiale: Tentativo o Reato Consumato? La Cassazione Chiarisce
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sulla natura del reato di falsa attestazione a pubblico ufficiale, disciplinato dall’articolo 495 del codice penale. La decisione analizza la linea di demarcazione tra reato tentato e reato consumato, sottolineando come la semplice dichiarazione mendace sia sufficiente a integrare la fattispecie, indipendentemente dal raggiungimento dello scopo finale dell’autore. Analizziamo insieme i dettagli di questa pronuncia.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Napoli, che aveva confermato la condanna di un individuo per i reati di evasione (art. 385 c.p.) e falsa attestazione (art. 495 c.p.). L’imputato, sottoposto a una misura restrittiva, non solo si era allontanato dal luogo di detenzione, ma aveva anche fornito false generalità alle autorità nel tentativo di sottrarsi alle proprie responsabilità.
I Motivi del Ricorso e la questione sulla falsa attestazione
L’imputato ha basato il suo ricorso alla Corte di Cassazione su due motivi principali:
1. Errata qualificazione giuridica del reato di falsa attestazione: Secondo la difesa, il reato non si era consumato, ma doveva essere considerato solo un tentativo, poiché l’imputato, attraverso le false dichiarazioni, non era riuscito a raggiungere il suo obiettivo finale, ovvero quello di eludere la giustizia.
2. Mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto: Per quanto riguarda il reato di evasione, la difesa sosteneva che la condotta fosse di minima offensività e che, pertanto, dovesse trovare applicazione l’articolo 131-bis del codice penale.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha respinto entrambi i motivi, dichiarando il ricorso inammissibile. Le argomentazioni dei giudici sono state chiare e precise.
Sulla consumazione del reato di falsa attestazione
La Corte ha definito il primo motivo come ‘manifestamente infondato’. I giudici hanno chiarito che, per la configurazione del reato di cui all’art. 495 c.p., non è richiesto un ‘dolo specifico’, cioè l’intenzione di raggiungere un fine ulteriore. È sufficiente il ‘dolo generico’, ovvero la coscienza e la volontà di rendere una dichiarazione falsa a un pubblico ufficiale su qualità personali proprie o altrui. Il reato si perfeziona nel momento stesso in cui la dichiarazione mendace viene resa. Il fine perseguito dall’autore della falsità è irrilevante per la consumazione del delitto. Nel caso di specie, il fatto che l’imputato ‘sperava di potere perpetrare il suo contegno elusivo’ è la prova della volontà cosciente di mentire, integrando così pienamente il reato.
Sul rigetto della ‘tenuità del fatto’
Anche il secondo motivo è stato ritenuto manifestamente infondato. La Cassazione ha confermato la correttezza della decisione della Corte d’Appello, che aveva negato l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. sulla base di argomentazioni logiche e ineccepibili. La condotta dell’imputato presentava infatti ‘profili di allarme’ incompatibili con un giudizio di minima offensività. In particolare, sono stati evidenziati tre elementi:
1. Il brevissimo tempo intercorso tra l’imposizione della misura restrittiva e l’evasione, indice di una particolare insofferenza alle regole.
2. Le specifiche modalità dell’evasione.
3. La circostanza che l’imputato si fosse recato proprio presso la persona da cui, per ordine del giudice, avrebbe dovuto tenersi lontano.
Le Conclusioni
Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione ribadisce due principi fondamentali del diritto penale. In primo luogo, il reato di falsa attestazione è un reato di pura condotta che si consuma istantaneamente con la dichiarazione non veritiera, senza che sia necessario il conseguimento di alcun vantaggio o scopo ulteriore. In secondo luogo, la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non può essere applicata quando il comportamento complessivo del reo, analizzato nel suo contesto, dimostra un’elevata pericolosità sociale e un significativo disprezzo per le norme giuridiche.
Quando si considera consumato il reato di falsa attestazione a un pubblico ufficiale?
Il reato si considera consumato nel momento in cui la falsa dichiarazione viene resa al pubblico ufficiale. Non è necessario che il dichiarante raggiunga lo scopo ulteriore che si era prefissato; è sufficiente la coscienza e la volontà di fornire un’attestazione non veritiera.
Per il reato di falsa attestazione è richiesto il dolo specifico?
No, la Corte di Cassazione ha ribadito che non è richiesto il dolo specifico (cioè il fine di ottenere un particolare risultato), ma è sufficiente il dolo generico, ovvero la consapevolezza e volontà di dichiarare il falso a un pubblico ufficiale.
Perché la Corte ha escluso l’applicazione della particolare tenuità del fatto per il reato di evasione in questo caso?
La Corte ha escluso la tenuità del fatto perché la condotta dell’imputato presentava profili di allarme. In particolare, ha considerato il breve tempo trascorso tra l’imposizione della misura e l’evasione e il fatto che si sia recato proprio dalla persona da cui doveva stare lontano, dimostrando una particolare insofferenza alle regole.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10593 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10593 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 12/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
DI NOME COGNOME nato a CASTELLAMMARE DI STABIA il 06/10/1981
avverso la sentenza del 27/06/2024 della CORTE APPELLO-di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
Rilevato che COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli che ha confermando la pronunzia di condanna del Tribunale di Torre Annunziata per i reati di cui agli artt. 385 e 495 cod. pen.
Considerato che il primo motivo con il quale il ricorrente contesta la correttezza della qualificazione giuridica (reato tentato e non consumato in relazione all’art. 495 cod. pen), è del tutto generico ma anche manifestamente infondato a fronte di una risposta della sentenza impugnata sullo specifico punto che ha chiarito che il reato fosse consumato perché attraverso le dichiarazioni false l’imputato ” sperava di potere perpetrare il suo contegno elusivo e sottrarsi alle sue responsabilità”.
Non si confronta con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui nel delitto di falsa attestazione inerente ad una qualità personale del dichiarante non si richiede il dolo specifico, non essendo rilevante il fine perseguito dall’autore della falsità, ma è sufficiente la coscienza e volontà della condotta delittuosa. (Sez. 5, n. 18476 del 26/02/2016, Rv. 266549).
Rilevato che il secondo e ultimo motivo di ricorso, nel quale si denunzia l’inosservanza della legge penale e difetto di motivazione in relazione all’art. 131 bis e art. 385 cod. pen. è manifestamente infondato atteso che la sentenza impugnata (si veda, in particolare, pag. 3) ha posto a base del rigetto della richiesta di applicazione della tenuità del fatto argomentazioni logiche e ineccepibili (la condotta posta in essere dall’appellante presenta profili di allarme che non consentono di pervenire a un giudizio di minima offensività in rilievo:1) il brevissimo periodo intercorso tra la sottoposizione alla misura violata e la condotta di evasione che rivela una particolare insofferenza per le regole imposte 2) La modalità di evasione e 3)I’essersi recato proprio presso la persona da cui, per ordine del giudice, avrebbe dovuto stare lontano).
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12 febbraio 2025 Il coosciliere esi ore
COGNOMEIl Presidente