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Falsa attestazione: quando è reato ex art. 495 c.p.

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per aver fornito false generalità ai carabinieri durante un controllo stradale. La Corte ha ribadito che, in assenza di documenti, tale condotta integra il più grave reato di falsa attestazione previsto dall’art. 495 del codice penale, e non la fattispecie meno grave di cui all’art. 496 c.p., poiché la dichiarazione resa al pubblico ufficiale assume valore di attestazione formale.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa Attestazione a Pubblico Ufficiale: la Cassazione fa Chiarezza

Fornire generalità non veritiere durante un controllo delle forze dell’ordine è una condotta che può avere serie conseguenze penali. La recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce la differenza tra due fattispecie di reato simili ma distinte, confermando un orientamento consolidato sul tema della falsa attestazione. Comprendere quando una dichiarazione mendace si trasforma nel reato più grave previsto dall’articolo 495 del codice penale è fondamentale per capire la portata della decisione.

Il Caso: Dichiarazioni False Durante un Controllo Stradale

La vicenda giudiziaria ha origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte di Appello, la quale aveva confermato una condanna di primo grado. L’imputato era stato ritenuto responsabile del delitto di falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla propria identità.

Nello specifico, durante un controllo stradale, l’individuo, privo di documenti di identificazione, aveva fornito ai Carabinieri generalità non corrispondenti al vero. La sua difesa sosteneva che tale comportamento dovesse essere inquadrato nella fattispecie meno grave prevista dall’articolo 496 del codice penale (false dichiarazioni sull’identità) e non in quella, più severa, dell’articolo 495 c.p. (falsa attestazione).

La Distinzione tra Art. 495 e 496 c.p.

Il nucleo della questione legale risiede nella differenza tra due norme del codice penale:

* Art. 496 c.p. (False dichiarazioni sull’identità o su qualità personali proprie o altrui): Punisce chi, interrogato sull’identità o sulle qualità personali, dichiara il falso. È considerata una norma di carattere residuale.
* Art. 495 c.p. (Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sull’identità o su qualità personali proprie o altrui): Punisce più gravemente chi dichiara il falso a un pubblico ufficiale in un atto pubblico o chi commette il fatto con l’intenzione che la dichiarazione venga trasfusa in un atto pubblico. La pena è più alta perché la condotta lede la fede pubblica in modo più incisivo.

Il ricorrente chiedeva una riqualificazione del fatto nella fattispecie meno grave, sostenendo che una semplice dichiarazione orale non potesse configurare il reato di falsa attestazione.

Le Motivazioni della Cassazione sulla Falsa Attestazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. I giudici hanno richiamato la giurisprudenza di legittimità, ormai pacifica da tempo, per spiegare perché la condotta dell’imputato rientri a pieno titolo nell’ipotesi più grave dell’art. 495 c.p.

Il punto cruciale della motivazione risiede nel contesto in cui vengono rese le dichiarazioni. Quando un soggetto, privo di documenti, fornisce le proprie generalità a un pubblico ufficiale (come i carabinieri durante un controllo), queste dichiarazioni non sono mere informazioni, ma assumono il carattere di una vera e propria attestazione. In assenza di altri mezzi di identificazione, la parola del dichiarante è preordinata a garantire al pubblico ufficiale le sue qualità personali e a essere potenzialmente trascritta in atti ufficiali (come un verbale).

Di conseguenza, la dichiarazione mendace integra l’elemento distintivo della falsa attestazione, che consiste proprio nel fornire una garanzia di verità su fatti o qualità personali a un pubblico ufficiale. Tale condotta va oltre la semplice menzogna, ledendo la fiducia che l’ordinamento ripone nelle attestazioni destinate a confluire in atti pubblici.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

La decisione della Suprema Corte conferma un principio di diritto chiaro: mentire sulla propria identità a un agente di polizia durante un controllo, specialmente se non si è in grado di esibire un documento, costituisce il reato di falsa attestazione ai sensi dell’art. 495 c.p. Questa pronuncia ha importanti implicazioni pratiche, poiché sottolinea la gravità di tale comportamento e la tutela rafforzata che la legge accorda alla veridicità delle dichiarazioni rese ai pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende, a riprova della manifesta infondatezza delle sue argomentazioni.

Qual è la differenza tra il reato di falsa attestazione (art. 495 c.p.) e quello di false dichiarazioni (art. 496 c.p.)?
Secondo la Corte, la falsa attestazione (art. 495 c.p.) si configura quando le dichiarazioni false rese a un pubblico ufficiale, in assenza di altri mezzi di identificazione, assumono il carattere di attestazione preordinata a garantire le proprie qualità personali. La fattispecie dell’art. 496 c.p. ha invece carattere residuale.

Perché fornire false generalità ai carabinieri senza documenti è un reato più grave?
Perché, in mancanza di documenti, la dichiarazione orale del soggetto è l’unico strumento a disposizione del pubblico ufficiale per accertarne l’identità. Tale dichiarazione, pertanto, non è una semplice menzogna, ma una vera e propria attestazione destinata a produrre effetti giuridici, ledendo così in modo più significativo la fede pubblica.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, la Corte non esamina il merito della questione. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte con un ricorso privo dei requisiti di legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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