Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13615 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13615 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a FRASCATI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/04/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. si riporta alla requisitoria scritta e conclude per l’inammissibilità ricorso.
udito il difensore
L’avvocato NOME COGNOME si riporta alle conclusioni scritte che deposita unitamente alla nota spese e insiste per la conferma del provvedimento impugNOME. L’avvocato NOME COGNOME insiste per l’accoglimento del ricorso.
IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Roma confermava la sentenza con cui il tribunale di Roma, in data 3.2.2022, aveva condanNOME COGNOME NOME alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile, “RAGIONE_SOCIALE“, in relazione al reato ex art. 481, c.p. in rubrica ascrittole, per avere falsamente attestato, in qualità di professionista incaricata di redigere il “Modello Unico Informatico di Aggiornamento degli Atti Catastali. Accertamento della Proprietà RAGIONE_SOCIALE Urbana” (DOCFA), di essere stata delegata dalla proprietaria “RAGIONE_SOCIALE” a compiere la variazione di due unità immobiliari ubicate in Roma, alla INDIRIZZO (particelle 49 e 26), per fusione e diversa distribuzione degli spazi interni,
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, lamentando, con tre motivi di ricorso: 1) violazione di legge e vizio di motivazione, in punto di carenza di motivazione in ordine al compendio probatorio e di assenza di motivazione sulla produzione documentale e sulla richiesta di rinnovazione dibattimentale.
La ricorrente contesta l’affermazione della corte territoriale c:he ha ravvisato una contraddizione nella sua linea difensiva.
Sul punto la COGNOME ribadisce quanto già sostenuto in appello, vale a dire di avere ricevuto dalla COGNOME NOME, conduttrice RAGIONE_SOCIALE due unità immobiliari in precedenza indicate, di proprietà della società “RAGIONE_SOCIALE“, di cui, all’epoca dei fatti, era legale responsabile NOME, l’incarico di presentare la relativa pratica edilizia, in vista della cessione a terzi dell’attività di affittacamere ivi svolta dalla COGNOME.
In particolare, osserva la ricorrente, dopo avere effettuato un sopralluogo in compagnia della COGNOME, l’imputata si era resa conto dell’esistenza di una difformità tra le planimetrie catastali, che riportavano due unità immobiliari, e lo stato dei luoghi, caratterizzato, invece, da un unico locale già evidentemente unificato da tempo, nonché dell’esigenza di provvedere alla chiusura di un piccolo varco aperto precedentemente, con una parete in cartongesso.
Di conseguenza, dopo avere parlato con la NOME, contattata telefonicamente dalla COGNOME nel corso del suddetto sopralluogo, la
COGNOME, ricevuto oralmente dalla NOME il benestare affinché l’architetto provvedesse, dopo avere presentato la CILA, ad avviare anche la pratica per l’aggiornamento dei dati catastali, una volta ottenuti dalla COGNOME, che apparentemente sembrava avesse fatto da tramite con la NOME, il modulo del DOCFA compilato e firmato dalla parte civile e una copia del documento d’identità della NOME, aveva depositato presso gli uffici competenti la comunicazione di inizio lavori a nome della COGNOME, da cui era stata all’uopo incaricata e retribuita per tale attività, per poi presentare all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE il modello informatico di aggiornamento dei dati catastali per delega della NOME.
Quest’ultima, tuttavia, dopo avere ricevuto un avviso di accertamento da parte dell’RAGIONE_SOCIALE in data 9.11.2017, fondato sull’aumento della rendita catastale determiNOME dal nuovo accatastamento, che aveva determiNOME un aumento della tassazione, aveva sporto denunciaquerela, rappresentando, contrariamente al vero, di non essere a conoscenza dell’intera vicenda.
Secondo l’impostazione difensiva, è lecito presumere che la COGNOME sia stata tratta in inganno dalla COGNOME, la quale, nella fretta di vendere l’azienda ad un prezzo verosimilmente più vantaggioso e in una condizione catastale legittimamente conforme allo stato dei luoghi, senza COGNOME avvisare COGNOME l’effettiva COGNOME proprietaria COGNOME dell’immobile, COGNOME contraria all’operazione ove a causa della cessione fosse stata costretta a sostenere COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME spese, COGNOME ha COGNOME autonomamente COGNOME collazioNOME COGNOME la documentazione consegnata alla COGNOME, sottoscrivendo il modulo del DOCFA a nome della proprietaria, consegnando alla ricorrente la copia del documento d’identità della NOME, di cui aveva la disponibilità probabilmente in ragione del rapporto di locazione instaurato con la “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarando, infine, nella CILA, contrariamente al vero, di essere l’unico soggetto titolato a inoltrare la richiesta.
Tali circostanze, non hanno formato oggetto di adeguata valutazione da parte della corte territoriale, che, con motivazione carente: a) non ha adeguatamente valutato l’attendibilità della parte civile, alla luc:e RAGIONE_SOCIALE circostanze evidenziate dalla difesa dell’imputata; b) non ha provveduto sulla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, volta all’escussione della COGNOME, che, nel frattempo, ha definito la sua posizione in sede di patteggiamento, e allo svolgimento di una perizia
grafica per accertare la paternità della firma apposta in calce al modulo DOCFA; c) ha erroneamente ritenuto, da un lato,, di non poter disporre l’acquisizione del documento DOCFA, sottoscritto dalla parte civile, posto che tale documento è stato sottoposto all’attenzione del giudice di appello, al fine di ottenerne l’acquisizione ai sensi dell’art. 603, c.p.p., non, come erroneamente ritenuto dalla corte territoriale, con motivi nuovi, ma con il secondo dei due atti di impugnazione depositati nei termini di cui all’art. 585, c.p.p., in quanto tale documento solo successivamente alla presentazione del primo atto di appello era stato rinvenuto scansioNOME in formato PDF nel supporto informatica in dotazione della COGNOME; dall’altro che la COGNOME nel modulo informatico in precedenza indicato avrebbe dichiarato di possedere una lettera di incarico, laddove nel documento di aggiornamento dei dati catastali l’imputata ha, invece, semplicemente attestato la conformità del documento inviato on line a quello detenuto dal professionista e sottoscritto dalla parte civile, da lei conservato in originale, ma oggetto di furto unitamente ad altra documentazione contenuta in un faldone, consumato all’interno dell’abitazione, di proprietà della COGNOME, in uso al compagno dell’imputata, che condivideva con quest’ultima una stanza destinata ad archivio; d) ha erroneamente attribuito alla COGNOME la presentazione della CILA, che, invece, sulla base della normativa vigente, compete al conduttore e, infatti, è stata inoltrata dalla COGNOME, essendosi limitata la COGNOME a redigere l’elaborato tecnico a supporto e la relativa relazione tecnica; e) ha omesso di considerare che, come si evince dalle visure storiche degli immobili di cui si discute, l’attività professionale svolta dalla ricorrente non ha determiNOME alcuna variazione della rendita e della categoria catastale, in quanto l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha mutato d’ufficio l’originaria categoria catastale A/2, assegnata a ciascuna RAGIONE_SOCIALE anzidette unità immobiliari, in D/2 all’immobile risultante dall’accorpamento, in quanto l’attività svolta dal conduttore è stata considerata assimilabile ad attività alberghiera, laddove il DOCFA è stato presentato dall’imputata non per cambio di destinazione d’uso, ma solo per variazione e diversa distribuzione degli spazi interni”; 2) violazione di legge e vizio di motivazione, in punto di mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131
bis, c.p. e di mancato riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche.
2.1. Con requisitoria scritta del 16.11.2023, da valere come memoria, essendo stata chiesta, nelle more, la trattazione in forma orale della proposta impugnazione, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, AVV_NOTAIO chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
Con motivi nuovi, pervenuti a mezzo di posta elettronica certificata il 9.11.2023, il difensore di fiducia dell’imputata sostanzialmente reitera le proprie doglianze, insistendo nel denunciare l’inidonea valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze processuali da parte della corte territoriale e la mancata acquisizione della documentazione prodotta.
Con memoria depositata in cancelleria il 9.11.2023 il difensore della costituita parte civile chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile o rigettato, perché sorretto da motivi generici e manifestamente infondati, sottolineando come la ricorrente proponga una non consentita rivalutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze processuali, nonché la mancanza di una formale richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per escutere la COGNOME, del tutto inutile, peraltro, perché quest’ultima avrebbe potuto avvalersi della facoltà di non rispondere, in quanto coimputata, e l’irritualità della richiesta di acquisizione del documento DOCFA.
Con memoria di replica pervenuta a mezzo di posta elettronica certificata il 28.11.2023 il difensore dell’imputata, nel replicare alle osservazioni svolte dal pubblico ministero e dalla parte civile, insiste per l’accoglimento del ricorso, evidenziando la piena legittimità della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per escutere la COGNOME e dei motivi erroneamente qualificati dalla corte di appello come motivi nuovi, l’esistenza di un precedente di questa sezione in tema di art. 131 bis, conforme a quanto sostenuto dalla ricorrente e la carenza motivazionale in punto di mancato riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche.
Con memoria depositata in cancelleria il 29.11.2023 il difensore della costituita parte civile replica, a sua volta, alla memoria di replica dell’imputata, reiterando le proprie doglianze ed evidenziando come il precedente giurisprudenziale citato dal difensore dell’imputata non sia
congruo facendo riferimento ad un vizio di motivazione per essere la motivazione della sentenza impugnata del tutto avulsa dal caso concreto, evenienza non riscontrabile nel caso in esame.
Il ricorso va rigettato, essendo sorretto da motivi in parte inammissibili, in parte infondati, reiterati nei motivi nuovi e nella memoria di replica.
Invero, con particolare riferimento al primo motivo di ricorso, la ricorrente non tiene nel dovuto conto che, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la riletture degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto ai quelli adottati dal giudice del merito (cfr. Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482).
In questa sede di legittimità è precluso il percorso argonnentativo seguito dalla ricorrente, che si risolve in una mera lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di un’operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, persistendo il divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito degli elementi di prova (cfr. ex plurimis, Sez. VI, 22/01/2014, n. 10289; Sez. 3, COGNOME n. COGNOME 18521 COGNOME del 11/01/2018, Rv. 273217; Sez. COGNOME 6, COGNOME n. COGNOME 25255 COGNOME del 14/02/2012, COGNOME Rv. 253099; COGNOME Sez. 5, n. COGNOME 48050 del COGNOME 02/07/2019, COGNOME Rv. 277758; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Rv. 283370).
In altri termini, il dissentire dalla ricostruzione compiuta dai giudici di merito e il voler sostituire ad essa una propria versione dei fatti, costituisce una mera censura di fatto sul profilo specifico dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, anche se celata sotto le vesti di pretesi vizi di motivazione o di violazione di legge penale, in realtà non configurabili nel caso in esame, posto che il giudice di secondo grado ha fondato la propria decisione su di un esaustivo percorso argomentativo, contraddistinto da intrinseca coerenza logica.
Come precisato dalla giurisprudenza di legittimità in un condivisibile arresto, il ricorso per cassazione con cui si lamenta la mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l’omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processual i non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugNOME ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece, a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugNOME (cfr. Cass. Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, Rv. 274816).
Il primo motivo del ricorso della COGNOME risulta carente proprio nella individuazione di un dato probatorio incompatibile con la ricostruzione operata dai giudici di merito, tale non da fondare una versione dei fatti alternativa, ma, come si è detto, di introdurre profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugNOME.
Sotto altro profilo non può non rilevarsi come le censure difensive consistano in gran parte in un’acritica reiterazione RAGIONE_SOCIALE doglianze già prospettate in sede di appello e disattese dal giudice di secondo grado attraverso una puntuale motivazione, con cui, in ultima analisi, la ricorrente non si confronta.
Premesso che la falsificazione contestata alla COGNOME ha per oggetto l’attestazione, contenuta nel modulo DOCFA presentato telematicamente all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di essere stata delegata alla presentazione del suddetto modulo dalla proprietaria “RAGIONE_SOCIALE“, va rilevato che la corte territoriale, con motivazione dotata di intrinseca coerenza logica, ha rilevato un’evidente contraddizione nella difesa dell’appellante, incentrata su due versioni dei fatti tra esse incompatibili.
La COGNOME, infatti, aveva affermato, da un lato, di essere stata autorizzata direttamente dalla NOME, con cui aveva personalmente
interloquito, a presentare il “DOCFA” nel corso di una conversazione telefonica alla quale aveva partecipato anche la COGNOME; dall’atro, che l’intera operazione andava ascritta a un’iniziativa della COGNOME, che era riuscita “a procurarsi il modulo del DOCFA compilato e firmato dalla parte civile”, in uno con il documento d’identità di quest’ultima, consegnando il tutto alla prevenuta, del tutto ignara della mancata approvazione da parte della COGNOME, che aveva appreso quanto accaduto soltanto a cose fatte (cfr. p. 8 della sentenza di appello).
Sul punto, peraltro, la corte di appello, nel confermare il giudizio positivo sull’attendibilità RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni della costituita parte civile già espresso dal giudice di primo grado, in assenza di elementi concreti dai quali poterne desumere l’inattendibilità, dichiarazioni che consentono di affermare che la NOME non conosceva la COGNOME, che nessuna conversazione telefonica si era svolta tra le due donne sul tema di cui si discute e che la parte civile mai autorizzò l’imputata a presentare il DOCFA nell’interesse della “RAGIONE_SOCIALE“, ha reso una motivazione inappuntabile dal punto di vista logico, che non risulta aggredita da doglianze dotate di apprezzabile specificità da parte della ricorrente.
Rileva, infatti, il giudice di secondo grado come sia palesemente illogico ritenere che la NOME abbia autorizzato la COGNOME alla presentazione della DOCFA, per poi sporgere querela una volta ricevuto l’accertamento catastale dell’autorità tributaria, con cui le erano stati comunicati i nuovi dati di classamento e di rendita catastale dell’immobile, conseguenti all’accorpamento e alla nuova classe D/2 (relativa ad “alberghi e pensioni”) acquisita rispetto alla precedente casse A/2 riferita a ciascuna RAGIONE_SOCIALE precedenti unità immobiliari, sostenendo, inoltre, “le spese per la rimessione in pristino della situazione RAGIONE_SOCIALE unità immobiliari e la rimozione dei collegamenti posti tra di esse”, laddove appare, piuttosto, conforme a logica ritenere che la NOME a tanto si sia determinata proprio perché completamente ignara di un’iniziativa, che, una volta conclusa, a differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente, “aveva determiNOME un aumento sensibile della rendita catastale (9.060 euro per classe D/2, a fronte dei 3.563,55 euro frutto della somma RAGIONE_SOCIALE due rendite catastali A/2 RAGIONE_SOCIALE particelle 26 e 49)”, con conseguente ricaduta economica negativa sulla “RAGIONE_SOCIALE“, come si evince dal contenuto del citato avviso di
accertamento, in cui l’intervento dell’RAGIONE_SOCIALE veniva espressamente collegato alla richiesta di variazione presentata dalla COGNOME, determinando la reazione della società, che dopo circa quaranta giorni aveva contestato i fatti alla COGNOME con lettera raccomandata, rimasta senza risposta (cfr. pp. 9-10; 13 e 14 della sentenza di appello).
La corte territoriale, inoltre, pur non esercitando i poteri di integrazione istruttoria previsti dall’art. 603, c.p.p., allo scopo di disattendere la versione dell’appellante incentrata su di un’iniziativa personale della COGNOME, ha di fatto operato un’attenta valutazione del docL mento rappresentato da una copia del DOCFA sottoscritto dalla COGNOME, prodotto in appello, che, secondo la versione della difesa, sarebbe stato rinvenuto dalla COGNOME scansioNOME in formato PDF all’interno del proprio personal computer, mentre era intenta alla ricerca della documentazione relativa alla pratica espletata in favore della “RAGIONE_SOCIALE“, osservando, con argomentazione dotata di intrinseca coerenza logica, come sia poco credibile la scoperta solo nella fase successiva al dibattimento di primo grado di un documento di notevole importanza per la tesi difensiva, senza tacere che non si spiegano le ragioni per cui, se realmente esistente in formato PDF completo della firma della COGNOME, esso non sia stato presentato attraverso la procedura on line in tale forma e sia stato presentato, invece, telematicamente, mediante l’inoltro di una copia non firmata, come sostenuto dalla difesa.
Risulta, pertanto, del tutto irrilevante la doglianza difensiva volta a contestare la mancata acquisizione del documento di cui si discute (che, peraltro, in violazione del principio della cd “autosufficienza” non risulta allegato al ricorso) da parte del giudice di appello, il quale ha reso coerente motivazione anche sulla mancanza della necessaria lel:tera di conferimento dell’incarico di procedere all’indicata presentazione della richiesta di variazione catastale debitamente sottoscritta dalla legale rappresentante della “RAGIONE_SOCIALE“, che sarebbe stato specifico onere della professionista conservare in formato cartaceo, indicando specificamente, al tempo stesso, le ragioni per cui non può ritenersi credibile (risultando comunque indimostrata) la tesi difensiva, peraltro contraddittoria rispetto all’affermazione di avere ricevuto dalla COGNOME
un’autorizzazione meramente telefonica, secondo cui la lettera di conferimento dell’incarico sarebbe stata sottratta, insieme ad altra documentazione, dagli autori di un furto che, come rilevato dalla ricorrente, sarebbe stato consumato all’interno dell’abitazione, di proprietà della COGNOME, in uso al compagno dell’imputata, che condivideva con quest’ultima una stanza destinata ad archivio (cfr. pp. 11-12 della sentenza oggetto di ricorso).
Un altro elemento posto a carico dell’imputata è poi rappresentato dalla Cila (acronimo di comunicazione inizio lavori asseverata), presentata dalla COGNOME a nome della COGNOME in data 3.8.2016, dunque subito prima della DOCFA, presentata il 4.8.2016, che costituisce un atto falso, in quanto in essa si affermava che la COGNOME aveva la titolarità esclusiva all’esecuzione dell’intervento edilizio, laddove, non essendo la proprietaria dell’immobile, sarebbe stato necessario allegare una formale autorizzazione della “RAGIONE_SOCIALE” alla presentazione della Cila, come ammesso dalla stessa ricorrente, senza tacere che il contenuto dell’atto, secondo cui “i lavori avranno inizio in data 4.8.2016”, come rilevato dalla corte territoriale con logico argomentare, smentisce l’affermazione dell’appellante, alla luce della quale all’atto del sopralluogo della RAGIONE_SOCIALE le due unità immobiliari erano già accorpate, per cui la presentazione del DOCFA sarebbe stata destinata esclusivamente a regolarizzare la situazione di fatto dal punto di vista catastale in vista della cessione dell’azienda a terzi (cfr. pp. 8; 12-13 della sentenza di appello).
Sicché il rilievo articolato sul punto dalla difesa, secondo cui di tale atto falso deve essere chiamata a rispondere penalmente solo la COGNOME (come effettivamente accaduto) e non la COGNOME, che si è limitata a redigere l’elaborato tecnico a supporto e la relativa relazione 1:ecnica, non coglie nel segno, apparendo di natura tale da non scalfire iL valore probatorio dell’atto, il cui contenuto in palese contrasto con la realtà, avrebbe dovuto essere immediatamente percepibile dalla COGNOME in ragione RAGIONE_SOCIALE sue specifiche competenze professionali.
Assolutamente puntuale, infine, deve ritenersi la motivazione della corte territoriale nell’individuare un preciso interesse della COGNOME nel condurre in porto l’operazione, potendo contare su di un doppio compenso per le proprie prestazioni, a carico sia dalla ditta cui la RAGIONE_SOCIALE
aveva ceduto l’attività, di cui la COGNOME era tecnico di fiducia, sia dalla stessa COGNOME (cfr. p. 14 della sentenza di appello).
Va, infine, rilevata l’infondatezza alla doglianza relativa alla mancata escussione della COGNOME.
Nel giudizio di appello, infatti, la presunzione di tendenziale completezza del materiale probatorio già raccolto nel contraddittorio di primo grado rende comunque inammissibile la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale che si risolva in una attività “esplorativa” di indagine, come quella prospettata dal ricorrente, finalizzata alla ricerca di prove anche solo eventualmente favorevoli al ricorrente, non sussistendo pertanto, riaspetto ad essa, alcun obbligo di risposta da parte del giudice del gravame (cfr. Sez. 3, n. 47293 del 28/10/2021, Rv. 282633).
Come chiarito dall’orientamento da tempo dominante in sede di legittimità, stante l’eccezionalità dell’istituto processuale contemplato nell’art. 603 c.p.p., il mancato accoglimento della richiesta volta ad ottenere la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale può essere censurato in sede di legittimità solo quando risulti dimostrata l’esistenza, nel tessuto motivazionale che sorregge la decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità ricavabili dal testo del medesimo provvedimento (come previsto dall’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p.) e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate qualora fosse stato provveduto, come richiesto, all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in sede di appello (cfr., ex plurimis, Cass., sez. III, 23/05/2013, n. 45647), lacune e manifeste illogicità che, nel caso in esame non appaiono configurabili, essendo l’affermazione di responsabilità dell’imputata fondata, come si è visto, su di un puntuale esame dei dati acquisiti, ritenuto esaustivo ai fini dell’affermazione di responsabilità e insuscettibile di integrazioni istruttorie, operato dalla corte territoriale.
Infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso.
Al riguardo si osserva che, come affermato da un condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di mancata applicazione della causa di esclusione della non punibilità per particolare tenuità del fatto, la relativa motivazione deve tener conto dei parametri normativi di cui all’art. 131-bis, c.p., inerenti alla gravità del fatto ed al grado di colpevolezza, alla stregua dell’art. 133, c.p. (cfr. Sez. 6, n. 605
del 03/12/2019, Rv. 278095; Sez. 4, n. 27595 del 11/05/2022, Rv. 283420).
Conferente, pertanto, appare il riferimento, operato dalla corte territoriale al fine di contrastare la richiesta difensiva sul punto, alla gravità oggettiva del fatto, che non consente di qualificarlo in termini di particolare tenuità, desunta con logico argomentare dal giudice di appello dai rilevanti danni subìti dalla parte civile, tali da giustificare in suo favore il riconoscimento di una provvisionale pari a 12.000,00 euro.
Tale percorso motivazionale appare del tutto sufficiente a giustificare il mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui si discute, posto che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, con orientamento conforme nel tempo, il giudizio sulla tenuità dell’offesa dev’essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133, comma primo, c.p., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (cfr. Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, Rv. 274647).
I rilievi difensivi sul punto, volti a valorizzare la personalità dell’imputata, incensurata e priva di pendenze giudiziarie, senza peraltro che sia stata dimostrata l’effettiva consistenza dei danni patii:i dalla parte civile, appaiono, peraltro, versati in fatto.
6. Inammissibili, in quanto tali da sollecitare una rivalutazione dell’entità del trattamento sanzioNOMErio non consentita in questa sede di legittimità, devono ritenersi i motivi articolati dalla ricorrente in punto di mancato riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche.
Come è noto, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133, c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549).
In questa prospettiva la giurisprudenza di legittimità, con costante insegnamento, ha chiarito che il diniego del riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche si giustifica anche solo sulla base della gravità della condotta o dei soli precedenti penali dell’imputato (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 4, 28/05/2013, n. 24172; Cass., sez. 3,
23/04/2013, n. 23055, rv. 256172; Cass., Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269).
A tali principi si è uniformata la corte territoriale, che ha correttamente individuato nella gravità dei fatti per cui si procede e nell’intensità del dolo, l’ostacolo al riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche, laddove la ricorrente ha opposto una diversa valutazione di merito, incentrata sulla personalità dell’imputata e sul suo contegno processuale.
7. Al rigetto del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., la condanna dell’imputata al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado dalla parte civile, che si liquidano in complessivi euro 4000,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputata alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 4000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 6.12.2023.