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Falsa attestazione presenza: la Cassazione decide

Un tenente colonnello della Guardia di Finanza, accusato di falsa attestazione presenza per oltre 300 ore, ha impugnato il sequestro preventivo dei suoi beni. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che, anche se la falsificazione del foglio presenze non costituisce falso in atto pubblico, il sequestro è legittimo per il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato. La Corte ha inoltre confermato la piena utilizzabilità dei tabulati telefonici per accertare la posizione dell’indagato, in quanto la loro acquisizione è regolata da norme meno restrittive rispetto a quelle previste per le intercettazioni.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa Attestazione Presenza: Sequestro Legittimo anche senza Falso in Atto Pubblico

La falsa attestazione presenza sul luogo di lavoro da parte di un dipendente pubblico è una condotta che lede gravemente il rapporto di fiducia con l’amministrazione e costituisce un danno per l’intera collettività. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il caso di un ufficiale della Guardia di Finanza, confermando la legittimità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca, anche quando non si configura il reato di falso ideologico in atto pubblico. La decisione chiarisce importanti aspetti procedurali, in particolare riguardo l’uso dei tabulati telefonici nelle indagini.

I Fatti del Caso: Un Ufficiale Accusato di Assenteismo

Il caso ha riguardato un tenente colonnello della Guardia di Finanza, comandante di un centro di addestramento, accusato di aver falsamente attestato la propria presenza in servizio per un totale di 309 ore tra il luglio 2021 e il marzo 2023. Questa condotta gli avrebbe permesso di percepire indebitamente una retribuzione di circa 14.300 euro.

Sulla base delle indagini, che si sono avvalse di videoriprese, dati di localizzazione cellulare e analisi dei fogli di presenza, il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto un sequestro preventivo per un valore equivalente al profitto illecito. La misura era stata confermata anche dal Tribunale del riesame, contro cui l’indagato ha proposto ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’ufficiale ha basato il ricorso su quattro argomenti principali:

1. Carenza di gravi indizi di colpevolezza (fumus commissi delicti): Sosteneva che le prove video fossero incomplete e che la sua presenza in caserma, anche in periodi di assenza autorizzata, smentisse le accuse.
2. Errata qualificazione giuridica: Argomentava che i fogli di presenza sono documenti interni e non atti pubblici. Di conseguenza, la loro falsificazione non integrerebbe il reato di falso ideologico (art. 479 c.p.), ma sarebbe solo un artificio del reato di truffa.
3. Insussistenza del pericolo di dispersione dei beni (periculum in mora): Affermava di possedere garanzie economiche sufficienti a coprire il presunto danno, rendendo il sequestro una misura sproporzionata.
4. Inutilizzabilità dei tabulati telefonici: Sosteneva che l’acquisizione dei dati di localizzazione fosse illegittima, in quanto disposta per un reato (truffa) che non rientra tra quelli per cui la legge consente l’uso di tali strumenti investigativi.

La Decisione della Corte: la Falsa Attestazione Presenza come Truffa Aggravata

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo in parte inammissibile e in parte infondato. Il punto centrale della decisione è che, anche a voler escludere il reato di falso ideologico, il sequestro rimane pienamente legittimo sulla base della sola accusa di truffa aggravata ai danni dello Stato.

Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato: i fogli di presenza e i cartellini marcatempo non hanno natura di atto pubblico, ma costituiscono una mera attestazione del dipendente. Tuttavia, hanno chiarito che tale questione è irrilevante ai fini della validità della misura cautelare reale. Il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, infatti, è previsto per la truffa aggravata ai danni dello Stato, reato che in questo caso era chiaramente delineato dagli elementi raccolti.

L’Utilizzo dei Tabulati Telefonici nelle Indagini

Di particolare interesse è la statuizione della Corte sull’uso dei tabulati telefonici. La difesa lamentava una violazione delle norme sulle intercettazioni, ma i giudici hanno smontato questa tesi. L’acquisizione dei dati esterni del traffico telefonico e di localizzazione cellulare non è un’intercettazione (che riguarda il contenuto della comunicazione), ma è disciplinata dall’art. 132 del Codice della Privacy (D.Lgs. 196/2003).

Questa normativa consente l’acquisizione dei tabulati per l’accertamento di una vasta gamma di reati, inclusa la truffa aggravata. Pertanto, i dati di geolocalizzazione che provavano l’assenza dell’ufficiale dal luogo di lavoro sono stati ritenuti una prova legittimamente acquisita e pienamente utilizzabile.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha motivato il rigetto del ricorso specificando che i primi tre motivi erano inammissibili perché chiedevano alla Cassazione una nuova valutazione dei fatti, compito che spetta ai giudici di merito. Il Tribunale del riesame aveva fornito una motivazione logica e coerente sulla sussistenza sia degli indizi di colpevolezza sia del pericolo di dispersione del profitto del reato.

Il quarto motivo, relativo ai tabulati, è stato giudicato manifestamente infondato. La confusione tra la disciplina delle intercettazioni (art. 266 c.p.p.) e quella dei dati di traffico (art. 132 D.Lgs. 196/2003) è un errore di diritto. La seconda, meno restrittiva, era quella correttamente applicata nel caso di specie, rendendo le prove raccolte pienamente valide per dimostrare la sussistenza della truffa.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce alcuni principi fondamentali per i reati contro la Pubblica Amministrazione. In primo luogo, la falsa attestazione presenza viene perseguita principalmente come truffa aggravata, un reato per cui è possibile disporre il sequestro preventivo del profitto illecito. In secondo luogo, la distinzione tra intercettazioni e tabulati telefonici è cruciale: i dati di localizzazione sono uno strumento investigativo potente e legittimo per provare l’assenteismo, con regole di acquisizione meno stringenti rispetto all’ascolto delle conversazioni. La decisione conferma quindi la solidità degli strumenti a disposizione degli inquirenti per contrastare i fenomeni di indebita percezione di retribuzioni pubbliche.

Falsificare il foglio presenze è reato di falso in atto pubblico?
No, la Cassazione conferma un orientamento consolidato secondo cui i fogli di presenza o i cartellini marcatempo non sono atti pubblici. La loro falsificazione, quindi, non integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico (art. 479 c.p.), ma può costituire l’artificio o il raggiro del reato di truffa.

È possibile disporre un sequestro preventivo solo per il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato?
Sì. La sentenza chiarisce che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato è una misura pienamente legittima per la truffa aggravata ai danni dello Stato, anche qualora il concorrente reato di falso ideologico non fosse configurabile.

L’acquisizione dei tabulati telefonici per provare la posizione di una persona è legittima in un’indagine per truffa?
Sì. La Corte ha stabilito che l’acquisizione dei tabulati contenenti i dati di localizzazione (le cosiddette ‘celle’ telefoniche) è legittima per provare la sussistenza della truffa. La normativa di riferimento non è quella, più restrittiva, delle intercettazioni telefoniche, ma quella prevista dal Codice della Privacy (D.Lgs. 196/2003), che ne consente l’uso per l’accertamento di tali reati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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