Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 43099 Anno 2024
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COGNOME
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Penale Sent. Sez. 5 Num. 43099 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CERVICATI il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 05/03/2024 del TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME, tenente colonnello RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e comandante del relativo centro di addestramento a Catanzaro, con ricorso a questa Corte proposto dal suo difensore, ha impugnato la conferma (da parte del Tribunale del riesame di Catanzaro, in data 5/3/2024) del sequestro preventivo finalizzato alla confisca a suo carico, ex art. 321, comma 2, cod. proc. pen., di cui all’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, per il reato di cui agli artt. 81 cpv., 479 e 61 n. 2 cod. pen. e 234, commi 1 e 2, n. 1 e 47, comma 1, n. 2 cod. pen. mil . pace (falso ideologico del pubblico ufficiale in atto pubblico e truffa).
Secondo l’accusa, il COGNOME, dal luglio 2021 al marzo 2023, ha indotto in
errore la propria amministrazione di appartenenza (il RAGIONE_SOCIALE), attestando falsamente la propria presenza in servizio per complessive 309 ore e 8 minuti, così procurando a sé stesso un ingiusto profitto, con pari danno per lo Stato, pari ad euro 14.317,87 1 5,n-1~ pen.–e`o-PPtorileo, 4e-ciu-e)trakck .
2.1. Col primo motivo si sostiene la violazione degli articoli 321 cod. proc. pen. e 640 e 479 cod. pen., deducendosi la carenza di fumus di colpevolezza.
Dopo un’ampia premessa in diritto (volta a chiarire come il sequestro preventivo dovesse essere giustificato dalla presenza di detto fumus), si assume col ricorso l’insussistenza dei gravi indizi all’uopo necessari, atteso che:
i video che riprendevano il Colonnello uscire senza fare rientro in Caserma sarebbero stati incompleti, esistendo un altro ingresso di cui non erano state fornite le relative registrazioni;
l’indagato era stato regolarmente presente in Caserma anche quando era stato autorizzato ad essere assente per motivi familiari (il che deponeva in senso contrario alle accuse mosse);
il NOME era svincolato, quale Comandante, dall’onere di chiedere autorizzazioni.
2.2. Col secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 479 cod. pen.
Il ricorrente contesta che la falsa indicazione RAGIONE_SOCIALE sua presenza sul posto di lavoro costituisca falso ideologico, trattandosi, al più, di un artificio funzionale alla truffa, non essendo i fogli di presenza atti pubblici, bensì interni.
2.3. Col terzo motivo parte ricorrente lamenta violazione ed erronea applicazione dell’art. 321 cod. proc. pen. per insussistenza del periculum in mora.
Si sottolinea come il COGNOME disponga di sufficienti garanzie economiche (incluso il TFR), tali da escludere il rischio di depauperamento del patrimonio e quindi da rendere il sequestro ingiustificato.
2.4. Col quarto motivo lamenta la violazione di legge, ai sensi dell’art. 270 cod. proc. pen., essendo il decreto di acquisizione dei tabulati telefonici stato emesso non per il delitto di falso ideologico, ma esclusivamente per l’accusa di truffa aggravata, che non rientrava tra i reati previsti dall’art. 266 cod. proc. pen., per cui ciò avrebbe potuto esser consentito.
Si assume, in particolare:
che fossero stati “legittimamente acquisiti i tabulati telefonici, e ciò in applicazione di quanto prevede l’art. 132. D.Igs. 196/2003”;
che tale acquisizione non sarebbe “soggetta alle regole fissate dagli artt. 270 e segg. cpp, trattandosi di prova documentale dimostrativa dell’esistenza di contatti in ragione di una potenziale utilità per le indagini in corso”;
che, però, quando le geolocalizzazioni sono effettuate sui cellulari sequestrati in un diverso procedimento, l’acquisizione del medesimo cellulare andrebbe effettuata a fronte di un provvedimento ex art. 270 cod. proc. pen., finalizzato a verificare la sussistenza dei gravi indizi di uno tra i reati previsti dall’art. 266 cod. proc. pen.;
che, nel caso in esame, l’iscrizione sul registro degli indagati e i provvedimenti emessi inerivano solo il delitto di truffa aggravata, reato contro il patrimonio punito da uno a cinque anni di reclusione, inidoneo a fondare un qualsiasi decreto intercettativo.
Tanto comporterebbe, secondo parte ricorrente, l’inutilizzabilità del dato, non considerabile alla stregua di un semplice documento ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va rigettato.
2.1. Il primo motivo è inammissibile.
È pacifico che, in tema di sequestro preventivo o probatorio, il giudizio di legittimità (ammesso solo per violazione di legge dall’art. 325 cod. proc. pen.) sia circoscritto, quanto ai vizi di motivazione, a quelli così radicali da renderla del tutto mancante o irragionevole, di modo da impedire la comprensione dell’itinerario logico seguito dal giudice, integranti errores in iudicando o in procedendo tali da rendere la motivazione non rispettosa delle norme che la disciplinano (Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, Rv. 285608-01; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Rv. 245093-01; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656-01).
Nulla di tutto ciò, nel caso di specie, emerge dalla lettura del provvedimento impugnato, e anzi risulta lamentato in ricorso, quanto al primo motivo di doglianza, con cui parte ricorrente chiede, semplicemente, di sovrapporre una diversa valutazione del materiale probatorio a quella (del tutto chiara e logica) sottesa al medesimo provvedimento (con cui si è rimarcato che dal raffronto tra le riprese delle uscite dell’indagato ed i dati di localizzazione tramite i suoi numeri di cellulare, da un lato, e le risultanze del foglio presenze, dall’altro, emergessero gravi indizi di colpevolezza per i fatti contestati).
Né è dato sapere, poi, da quale elemento parte ricorrente tragga la convinzione che il COGNOME potesse, in sostanza, fare ciò che volesse, senza chiedere permesso o dar conto ad alcuno: laddove, per giunta, proprio il registro delle presenze da lui firmato indica, in modo chiaro, che egli dovesse, invece, attestare all’amministrazione di appartenenza le sue entrate ed uscite dal lavoro (anche, banalmente, per il calcolo delle ore ordinarie e straordinarie lavorate).
2.2. Il secondo motivo, pur teoricamente condivisibile, va disatteso, in quanto del tutto irrilevante ai fini RAGIONE_SOCIALE decisione in esame.
Invero, è nota la giurisprudenza consolidatasi al riguardo, secondo cui:
«Non integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico la falsa attestazione del pubblico dipendente circa la sua presenza in ufficio riportata nei cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, in quanto documenti che non hanno natura di atto pubblico, ma di mera attestazione del dipendente inerente al rapporto di lavoro, soggetto a disciplina privatistica, documenti che, peraltro, non contengono manifestazioni dichiarative o di volontà riferibili alla P.A. (Fattispecie in cui gli imputati, pubblici dipendenti, si erano allontanati dal luogo di lavoro senza far risultare tale allontanamento, non dovuto a ragioni di servizio, attraverso la prescritta marcatura del cartellino)» (Sez. U, Sentenza n. 15983 del 11/04/2006, Rv. 233423-01; confronta, negli stessi termini, Sez. 6, n.31921 del 11/06/2024, non massimata).
Tuttavia, a prescindere dalla possibile qualifica del falso contestato ai sensi dell’art. 55-quinquies, comma 1, d.lgs. 165/2001 (dato che il delitto previsto da tale disposizione «si consuma con la realizzazione da parte dei pubblici dipendenti di un comportamento fraudolento consistente nell’irregolare utilizzo dei sistemi di rilevazione delle presenze»: Sez. 2, n. 45106 del 12/09/2019, Rv. 277774-01; confronta, negli stessi termini: Sez. 3, n. 47043 del 27/10/2015, Rv. 265223-01), delitto che, secondo la detta giurisprudenza, concorre con quello di truffa (si veda anche Sez. 3, n. 29674 del 03/06/2021, Rv. 281719, in motivazione), la misura risulta, in ogni caso, correttamente disposta anche solo per la truffa aggravata, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 640-quater e 322-ter cod. pen., potendo avere ad oggetto beni per un valore equivalente non solo al prezzo, ma anche al profitto del reato (Sez. U, n. 41936 del 25/10/2005, Rv. 232164-01; Sez. 2, n. 26792 del 03/03/2011, Rv. 250757).
2.3. Anche per le contestazioni del periculum in mora, di cui al terzo motivo
di ricorso, vale quanto detto relativamente al primo.
La motivazione (che fa perno: sulla agevole possibilità di dispersione del denaro e sull’insussistenza di elementi che indichino con certezza che lo stesso sarà acquisito e detenuto allorché dovesse intervenire il provvedimento di confisca; sulla disagevole e, dunque, dubbia possibilità di realizzo mediante esproprio degli immobili, indicati per giunta – inammissibilmente – in modo del tutto generico, senza che sia specificato, in questa sede, perché vi sarebbe stata la carenza motivazionale addotta, ovvero in che modo al giudice del riesame sia stato almeno prospettato quali fossero la loro entità e il loro valore, così da inferirne la – si assume agevole, da parte ricorrente – possibilità di realizzo) non è affatto illogica, men che meno mancante o apparente: sicché nuovamente parte ricorrente sollecita, semplicemente, una diversa valutazione di merito sul punto.
2.4. Manifestamente infondato è il quarto motivo di ricorso.
Come si evidenzia in esso, l’acquisizione dei tabulati (da cui si sono desunte le geolocalizzazioni dei numeri di cellulare in uso al COGNOME) è disciplinata non certo dalla normativa sulle intercettazioni telefoniche, bensì dall’art. 132, comma 3, del d.lgs. 196/2003: sicché in modo del tutto illogico parte ricorrente assume che essi non avrebbero potuto essere utilizzati per il solo delitto (a suo dire nella specie sussistente) di truffa aggravata. Anche condividendo il collegio la non configurabilità del delitto di falso contestato (per quanto detto), resta il fatto che i tabulati e le correlate geolocalizzazioni ben potevano essere acquisiti per provare la sussistenza RAGIONE_SOCIALE truffa ai danni dello Stato (per alcune applicazioni in tal senso si vedano Sez. 4, n. 50102 del 05/12/2023, Rv. 285469-01 e Sez. 6, n. 15836 del 11/01/2023, Rv. 284590-01).
Ex art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di rigetto segue la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 30/9/2024
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