Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 1534 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 1534 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Indirli NOME COGNOME nato a Novoli il 05/03/1953 avverso la sentenza del 12/02/2024 della Corte di appello di Lecce visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione del Presidente NOME COGNOME;
Letta la requisitoria del Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Letta la memoria e le conclusioni scritte presentate dall’avv. NOME COGNOME per la parte civile ASL di Lecce, con le quali ha chiesto la conferma della :3 3ntenza impugnata;
Letta la memoria presentata dall’avv. NOME COGNOME nell’interesse del ricorrente.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME COGNOME ricorre per la cassazione della sentenza Inc izat epigrafe con la quale, in data 12 febbraio 2024, la Corte di appello di L ecce ha parzialmente riformato quella emessa, in data 3 giugno 2020, dal giudi dell’udienza preliminare del Tribunale della stessa città, escludendo le circ : aggravanti contestate e rideterminando la pena in quella di mesi sei e gioi rii di reclusione ed euro 200,00 di multa, confermando nel resto l’im )ugn sentenza.
1.1. Al ricorrente era stato contestato il reato di cui agli articoli 81 pen. e 55-quinques d.lgs. del 30 marzo 2001 n. 165, perché in più occasic ni ed i esecuzione di un medesimo disegno criminoso in qualità di lavoratore dip mdente della pubblica amministrazione – direttore medico di struttura complessa dEll’u operativa di Radiodiagnostica del presidio Territoriale del Distretto Socio :5 a n ita rio di Campi Salentina – attestava falsamente la propria presenza sul posto cl la allontanandosi dallo stesso senza utilizzare gli appositi sistemi di rilc (tessera magnetica) per segnalare l’interruzione del proprio servizio, p ritornare dopo molte ore presso la struttura a timbrare la fine del seni prestato: fatto commesso in Campi Salentina, da ottobre a novembre 20] .7 .
1.2. I giudici di merito hanno accertato che l’imputato, dopo aver timorat badge (tessera magnetica) in entrata all’inizio della giornata lavorz t allontanava dal luogo di lavoro senza fare uso, uscendo dall’ospedale, dell’í 13p sistema di rilevamento della presenza. Successivamente, dopo essersi alle ntan dal luogo di lavoro per diverse ore consecutive, rientrava in ufficio, timt r badge in uscita al termine della giornata di lavoro.
In tal modo, il ricorrente, secondo il conforme e non contestato (i -fatto) r/laccertamento compiuto dai giudici di merito, faceva falsamente figurar? la presenza in servizio presso l’ospedale di Campi Salentina per reca allontanandosi arbitrariamente dal luogo di lavoro, presso la propria abit, z in spiaggia, protraendosi l’assenza dal servizio, ogni volta, per un lasso ci considerevole, di cinque-sei ore, pari alla quasi totalità della giornata la media.
Il ricorso è affidato a due complessi e articolati motivi di seguito ei,u ai sensi dell’articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di pro penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’inosservanza e I err applicazione dell’art. 55-quinques d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 530, cc rnma 2,
cod. proc. pen. nonché illogicità della motivazione (art. 606, comma 1, letlere b), c) ed e), cod. proc. pen.).
Sostiene che la Corte d’appello avrebbe fondato il proprio convincimer to sulla base di un’erronea interpretazione dell’art. 55-quinques d.lgs. n. 165 dsI 2001, avendo ritenuto che, ai fini della configurazione del reato de quo, fosse sufficiente la mera falsa attestazione da parte del dipendente pubblico della presenza in servizio, mediante un’alterazione dei sistemi di rilevamento delle presenze, e precisando che l’offensività di tale condotta andasse rapportAta non al danno patrimoniale arrecato ma alla capacità decettiva della falsa attesi Eizione, in termini di offesa alla pubblica fede.
Osserva come, in tal modo, la Corte territoriale abbia erroneamente i itenuto che il bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice in questione osse la “fede pubblica”, opzione interpretativa non percorribile, perché altrirr enti la previsione normativa si rivolverebbe in una inutile duplicazione dei reati :i falso previsti dal codice penale.
Di contro, sarebbe pacifico, ad avviso del ricorrente, che la ratio dellE norma incriminatrice vada individuata nell’esigenza di prevenire e/o coni: astare, nell’interesse della funzionalità dell’ufficio pubblico, le condotte assente istiche nonché di garantire l’osservanza scrupolosa dell’orario di lavoro da pz rte dei lavoratori alle dipendenze dell’amministrazione pubblica.
Da ciò il ricorrente trae argomento per affermare che alcuna offensivitz possa essere attribuita alla condotta contestatagli, ove vi sia la prova, nella s.pacie, suo dire, sussistente, che egli abbia comunque provveduto all’espletamento del proprio incarico, garantendo la propria presenza per il numero di ore pre , Isto da contratto e ancor più ove si consideri che l’attestazione della propria p esenza per un numero di ore superiore a quelle previste non avrebbe conunque comportato un danno patrimoniale per il datore di lavoro pubblico.
In altri termini, secondo l’assunto del ricorrente, affinché la falsa attes:azione della presenza possa ritenersi penalmente rilevante, in termini di lesione d El bene giuridico tutelato dalla norma, sarebbe necessario verificare – laddove, cc me nel caso di specie, il dipendente pubblico rivesta la qualifica di “dirigente” e, quindi di dipendente non tenuto all’osservanza di un rigido orario di lavoro – se lo stesso abbia comunque espletato il proprio incarico, garantendo la propria pi esenza presso il luogo di lavoro per le ore previste dal proprio contratto.
Sennonché la Corte di merito avrebbe completamente oblitei ato la circostanza che il ricorrente, quale dirigente medico, avesse un orario ci lavoro flessibile, e che, per contratto, dovesse svolgere una media di 38 ore setti lianali, da ripartirsi in cinque giorni, con le modalità ritenute più opporturi , ! senza godere di alcun “trattamento” economico per gli straordinari, omettendo, ziltresì,
di considerare che GLYPH le ore, assunte come sottratte, fossero GLYPH où che compensate dalle ulteriori ore svolte nei giorni lavorativi anche delle successive settimane, come agevolmente riscontrabile dai fogli presenza attestanti i monte ore di lavoro svolto dal ricorrente nei mesi di ottobre, novembre e dicemt re, per ciascuna settimana di riferimento.
Da ciò deriverebbe, ad avviso del ricorrente, l’illogicità della motivazion E della sentenza gravata, sul rilievo che la penale responsabilità – e, dur que, il convincimento circa il fatto che la condotta dell’imputato avesse determini:o una lesione del bene giuridico tutelato dalla norma e prodotto una comprorr issione della funzionalità dell’ufficio – sarebbe stata affermata prescindendo dal necessario accertamento circa il corretto adempimento della prestazione cui lo ste: ‘;o era tenuto.
Infatti, la Corte d’appello avrebbe erroneamente e immotivatamente ?scluso che l’inoffensività della condotta del ricorrente potesse derivare dalla prosettata prestazione di ore di lavoro rese a compensazione di quelle nelle qua i, pur risultando in servizio, si era accertato che il dipendente pubblico si trovasse Eltrove senza svolgere alcuna attività lavorativa ed incorrendo perciò nel n zio di motivazione denunciato dal momento che, in tali casi, alcuna comprorr issione della funzionalità dell’ufficio può ritenersi determinata dalla falsa attestazici e del presenza sul luogo di lavoro, laddove, come in ispecie, vi sia provz della circostanza che l’imputato abbia comunque assolto la prestazione cui era ‘:enuto ex contractu.
Sulla base di ciò, il ricorrente afferma che la Corte distrettuale, in spi egio al principio di offensività, ha ritenuto integrato il reato di cui all’art. 55-qu .47quies d.lgs. n. 165 del 2001, malgrado la condotta posta in essere dall’imputato, seppur astrattamente sussumibile nella fattispecie legale, fosse inidonea a ledere il bene giuridico tutelato dalla norma, e, dunque, a compromettere la funz onalità dell’ufficio, incorrendo, anche sotto tale aspetto, nel vizio di violazione di legge denunciato.
Sotto altro e concorrente profilo, il ricorrente afferma che non sarebbelo state integrate le note di tipicità dell’illecito contestato, non avendo egli compiuto alcuna alterazione del sistema di rilevamento delle presenze e neppure utilizzatc mezzi fraudolenti, richiedendo questi ultimi una condotta del reo che si caratteri:ozi per l’esistenza di un quid pluris, realmente percepibile sul piano fattuale, ! i spetto all’attività materiale di base inserita nella costruzione della fattispecie, ovvi !-o c il soggetto agente impronti la propria azione ad astuzia e scaltrezza, dinne ad eludere le cautele e frustrare gli accorgimenti predisposti a garanzia de beneinteresse tutelato.
Nel caso di specie, nonostante il diverso avviso espresso dalla Corte territoriale, tale quid pluris non sarebbe rinvenibile nella condotta del ric wrente, laddove si consideri che egli non ha alterato i dispositivi di rilevazior e del presenze, né ha adoperato altre modalità fraudolente, ma si è limitatc. a non timbrare in occasione delle asserite “uscite” oggetto di contestazione, in naniera manifesta e riscontabile da chiunque, anche nell’immediatezza della consut -azione della condotta.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al punto concernente la mancata applicazione :ell’art. 131-bis cod. pen. (art. 606, comma 1, lettere b) ed e), cod. proc. pen.).
Sostiene che, senza adeguata e logica motivazione, la Corte territc -iale ha ritenuto infondato il motivo di appello concernente l’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dalla -:. 13 bis cod. pen., sul rilievo della ritenuta abitualità della violazione.
Dopo aver esposto la ratio dell’istituto ex art. 131-bis cod. pen. ed el ancato i requisiti che la sorreggono, il ricorrente assume che la Corte distrettuale wrebbe ritenuto ostativo, alla declaratoria di non punibilità per la particolare ter uità fatto, il vincolo della continuazione, stabilendo un’improponibile equaz Dne tra continuazione nel reato ed abitualità, espressamente esclusa dalla giurisp .udenza di legittimità ed incorrendo pertanto nel vizio di violazione di legge denun
Ricorda che l’istituto della continuazione non può essere considera o come sinonimo di “abitualità”, tant’è che le Sezioni Unite hanno precisato che, in presenza di più reati unificati dal vincolo della continuazione, la causa di es : usione della punibilità per particolare tenuità del fatto può essere riconosciuta dal giudice all’esito di una valutazione complessiva della vicenda concreta, che, alve le condizioni ostative previste dall’art. 131-bis cod. pen., tenga conto di u la serie di indicatori rappresentati, in particolare, dalla natura e dalla gravità dec li ill in continuazione, dalla tipologia dei beni giuridici protetti, dall’entita d disposizioni di legge violate, dalle finalità e dalle modalità esecuti n e delle condotte, dalle loro motivazioni e dalle conseguenze che ne sono deriv3te, dal periodo di tempo e dal contesto in cui le diverse violazioni si cc Vocano, dall’intensità del dolo e dalla rilevanza attribuibile ai comportamenti succ assivi ai fatti (Cassazione, Sez. Un. 27/01/2022, n. 18891).
Ciò posto, il ricorrente osserva come le modalità di commissione d al reato (assenza di poche ore in una serie ravvicinata di giorni lavorativi) fossero rivelatric di una unitaria e circoscritta delibazione criminosa, incompatibile con l’a )itualli presa in considerazione in negativo dall’art. 131-bis cod. pen., atteso che le condotte per cui è stata pronunciata la condanna sarebbero sostanziate cl i azioni
commesse nelle medesime circostanze di tempo e di luogo nonché nei c mfronti della stessa persona offesa, la ASL di Lecce.
Stigmatizzando la motivazione della Corte di merito che, per escludere l’applicabilità della causa di esclusione delle punibilità rivendicata, ha fa to lev sulla qualità soggettiva di dirigente medico dell’imputato e, conseguentenmsnte, ai suoi connessi doveri d’ufficio in quanto direttore di una unità cferativa dell’ospedale nonché sul fatto che gli allontanamenti sarebbero avvenui i senza autorizzazione e giustificazione alcuna, il ricorrente lamenta che la Corte s ilentina abbia del tutto obliterato le emergenze probatorie rappresentative del fi I:to che l’asserita offesa fosse di particolare tenuità e il comportamento dell’imputi to non abituale.
Quanto poi alla tenuità dell’offesa, il ricorrente precisa che ogc etto di contestazione e condanna sarebbero soltanto cinque giorni lavorativi nell’ trco dei mesi di ottobre e novembre del 2017, per un limitatissimo numero di ci e e per come emerso dalle risultanze probatorie in atti, e segnatamente dalle dichi 3razioni del teste NOME COGNOME COGNOME secondo le quali, per contratto, il rimrrente avrebbe dovuto prestare, in media, 38 ore lavorative a settimana, con orario flessibile, non essendo vincolato a nessun orario di ingresso, potendo pr !stare il proprio servizio in qualsiasi fascia oraria nell’arco delle 12 ore lavorative’ senza i riconoscimento di straordinari.
Parimenti priva di pregio sarebbe, ad avviso del ricorrente, la mol: ‘ . azione della Corte di merito secondo la quale egli avrebbe agito per esclusive rqioni di piacere e diletto personali, recandosi a casa, senza che l’allontanamE rito dal servizio fosse giustificato da necessità personali o familiari, ovvero in spia; gia.
Sul punto, il ricorrente obietta che l’art. 131-bis cod. pen. esclude la p Jnibilli quando – per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del :ericolo valutate ai sensi dell’art.133, primo comma, anche in considerazior e della condotta susseguente al reato – l’offesa sia di particolare tenui :à e i comportamento risulti non abituale ed annota che, stando al dettato lettei – ie della norma, alcuna rilevanza sarebbe possibile attribuire ai motivi a delinquerE , stante il chiaro rinvio al solo primo comma dell’art. 133 cod. pen.
Infine, la Corte territoriale avrebbe completamente omesso di con pderare l’esiguità del danno, anche sotto profilo economico, “virtualmente” procu ato alla persona offesa dal reato – pari ad appena 1000,00 euro circa – ed avrE bbe del tutto trascurato che l’imputato lo ha integralmente risarcito; circostanzi . di non poco momento, atteso che a seguito delle modifiche apportate all’art :.31-bis cod. pen., ad opera dell’art. dall’art.1, comma 1, lett. c), n. 1, d.lgs. 10 )tto 2022, n. 150, anche la condotta dell’imputato successiva alla commiss one del reato assume valore ai fini della valutazione della gravità dell’offesa, incor .endo la
sentenza impugnata, per tutte queste ragioni, nei vizi di violazione di legge e di motivazione denunciati.
Il Procuratore generale – sulla base della corretta motivazione a iottata dalla Corte di merito nella sentenza impugnata, stimata conforrr e agli insegnamenti impartiti dalla giurisprudenza di legittimità e citati nella regi isitor – ha chiesto il rigetto dell’impugnazione.
La parte civile ha presentato memoria con la quale, contrastando i motivi di ricorso dell’imputato, ha chiesto il rigetto del gravame e la rifusione delli! spes di costituzione, come da nota depositata, ripercorrendo i passaggi argor lentavi espressi nella sentenza, impugnata, ritenuta corretta e immune dai vizi den rnciati.
Il ricorrente ha presentato memoria a sostegno dei motivi di impugnazione, replicando alle argomentazioni espresse dal Procuratore generale nella regi isitoria al quale rimprovera di aver del tutto obliterato, quanto al primo motivo di icorso, la fondamentale circostanza secondo la quale la condotta dell’imputato s. Eirebbe del tutto inidonea ad offendere il bene giuridico protetto dall’incriminazAme e, quanto al secondo motivo, di essersi adagiato acriticamente sulla motiazione della sentenza impugnata, motivazione ampiamente censurata con il rru tivo di ricorso, richiamato per relationem.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Quanto al primo motivo – che contiene una pluralità di rilievi per vizi di violazione di legge e di motivazione incorporati in un’unica, complessa, do :l’arma – la Corte osserva come tutte le censure sollevate siano prive di g uridico fondamento.
2.1. Innanzitutto, è infondata la doglianza concernente l’asserita inoffE nsività della condotta contestata al ricorrente.
Sul punto, la Corte di merito – con logica e adeguata motivazione privz di vizi di manifesta illogicità e, pertanto, insuscettibile di essere sindacata in ede di giudizio di legittimità – ha correttamente considerato che l’imputato, attra n .erso la fraudolenta uscita dal luogo di lavoro senza “timbrare” il badge, aveva in sc stanza attestato, contrariamente al vero, la sua presenza in servizio, pur se asse -te dal luogo di svolgimento dello stesso.
Da ciò la Corte territoriale ha tratto logico argomento per riten( re che l’inoffensività di tale condotta non potesse certo derivare dalla circostan2E che secondo la difesa dell’imputato – fosse agevolmente verificabile la sua asse nza dal posto di lavoro, poiché la possibilità di un accertamento, volto ad acce tare la falsità, non poteva assolutamente privare la falsa attestazione di ogni vale iza. Né l’inoffensività poteva derivare dalla prospettata assenza di un danno patri rioniale per l’amministrazione, in ragione della flessibilità dell’orario di lavoro del d rigen medico e della prestazione di ore di lavoro che avrebbero potuto compensare quelle nelle quali, pur risultando in servizio, si era accertato che il dipen«mte s trovasse altrove senza svolgere alcuna attività lavorativa.
Escluso, sulla base delle ragioni che saranno più chiare in seguito, GLYPH per l’integrazione del fatto di reato fosse necessario procurare un danno patri r oniale alla pubblica amministrazione, la Corte distrettuale ha correttamente allErmato che l’offensività della condotta va rapportata, nel caso in esame, non al danno patrimoniale arrecato ma alla capacità decettiva della falsa attestazione, o5s;ia alla sua offensività diretta a compromettere il bene giuridico della pubblica fed e.
2.3. Per comprendere appieno la correttezza del ragionamento g uridico esposto nel testo del provvedimento impugnato in relazione al conten ito del motivo di ricorso sviluppato dal ricorrente in parte qua, va precisato che – con il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, di attuazione della delega coi Lenuta nella legge 4 marzo 2009, n. 15 – sono state introdotte misure finali: ate a contrastare efficacemente il fenomeno dell’assenteismo nelle pubbliche amministrazioni e a rafforzare, in termini di effettività, la corretta funziona lità d settore pubblico, la cui efficienza costituisce requisito essenziale per la concretizzazione del canone costituzionale del buon andamento della p bblica amministrazione, enunciato nell’art. 97 Cost.
Rientrano, tra queste misure, anche le fattispecie, aventi natura speciale, intese a tipizzare casi di responsabilità disciplinare e penale.
L’art. 55-quinquies d.lgs. n. 165 del 2001 costituisce, sul versante per í listico, una fattispecie diretta a sanzionare i fenomeni più gravi di assenteism: nelle pubbliche amministrazioni, tipizzando le condotte penalmente rilevanti e :on le quali il pubblico dipendente elude, alterandoli o usando altre modalità fraud i sistemi approntati dal datore di lavoro pubblico per il rilevamento della pr asenza in ufficio del lavoratore, che in tal modo attesta falsamente, mudiante l’aggiramento della funzione certificativa che tali sistemi possiedono, la )ropria presenza in servizio oppure giustifica, colludendo o meno con un medico, l’Essenza dal servizio mediante una certificazione sanitaria falsa o falsamente attesta’ r:e uno stato di malattia.
Si tratta, dunque, di una fattispecie incriminatrice speciale che, facendo salvo quanto previsto dal codice penale, non richiede la produzione di ur danno patrimoniale per la pubblica amministrazione, con la conseguenza che il danno, non rientrando nell’obiettività giuridica criminosa, non costituisce un e emento costitutivo del fatto tipico e perciò il reato sussiste anche a prescinde -e dalla produzione di un danno patrimoniale che, se cagionato, consente alla fall i specie, proprio in virtù della clausola di riserva contenuta nella disposizione, di cor correre materialmente con il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato o di al ro ente pubblico (Sez. 3, n. 47043 del 27/10/2015, Mozzillo, Rv. 265223 – 01).
Si tratta poi di un reato proprio (soggetto attivo del delitto può essere esclusivamente il pubblico dipendente), composto da due titoli di reato, c ei quali uno di esso è costruito come norma a più fattispecie e perciò a consur -azione alternativa, potendo essere integrato sia con una condotta consistente (a) nell’attestare falsamente la presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o (b) mediante altre modalità fraudolenti?. (primo titolo di reato) ovvero (c) nel giustificare l’assenza dal servizio media ‘te un certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia ( econdo titolo di reato).
Il fatto di reato descritto nella fattispecie incriminatrice corrisponde p( i anche alla fattispecie di illecito disciplinare regolata dall’art. 55-quater del clecreto legislativo n. 165 del 2001, anch’esso introdotto dall’art. 69 del decreto le( islativ n. 165 del 2001 che, al comma 1 del citato art. 55-quater, prevede, per tali ipotesi, la sanzione disciplinare (non automatica) del licenziamento senza preavvi!;o.
Il bene giuridico protetto dall’incriminazione risiede, quindi, nella finzione certificativa assegnata a determinati atti (certificati medici) e ai SiS:e.mi rilevazione della presenza ossia, con specifico riferimento a tale ultima ipotesi, nell’attestazione, affidata allo stesso pubblico dipendente, della sua presenza in ufficio dal momento della “timbratura” in entrata a quello della “timbra tira” in uscita, così da assicurare valore probatorio ai segni rappresentativi (1 ?l fatto giuridico (esecuzione e durata della prestazione di lavoro) che il sistcma di rilevamento è destinato, di regola, a riprodurre in un documento informat c:o.
Infatti, siccome ad ogni dipendente viene assegnato un badge IDE rsonale (tessera magnetica) che è associato ad un elaboratore dei dati registrati a seguito della “timbratura”, il lavoratore – ogni qualvolta entra o esce dall’ufficio e, quind anche nei casi di uscite e di rientri intermedi – è tenuto ad av ficinar personalmente il badge al lettore il quale, a sua volta, riconoscendo il bí.(ige, lo associa all’identità del suo possessore, registrando e, quindi, documentan lo l’ora di entrata o di uscita, anche intermedia se del caso, del singolo dipendenti
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Ne consegue che se il soggetto attivo, mediante una condotta ar.tiva o omissiva, altera il sistema di rilevamento della presenza oppure usa altre rr odalità fraudolente stravolge la funzione certificativa assegnata al sistema stesso e compie una falsa attestazione circa la sua presenza sul luogo di lavoro e tale falsa attestazione, integrando il modello legale di reato, si risolve nel privare di rilevanza probatoria la registrazione della presenza e vulnera, mediante la immutal i) veri, il rapporto sinallagmatico che lega il dipendente al datore di lavoro pt compromettendo l’efficiente e regolare funzionamento del servizio.
Il reato de quo è dunque correttamente inquadrato nella categoria dei reati di falso ed è posto a tutela della pubblica fede intesa, secondo quanto affermato da un’autorevole dottrina lontana nel tempo ma sempre presente nell’insegne mento, non come un’entità a sé stante, ma come predicato di relazione di detei minate cose materiali con la generalità dei cittadini, sicché l’oggetto giuridico di tu t i i r di falso è costituito dalla violazione dell’apparenza come manifestazione il una situazione rilevante nell’ambito dei rapporti giuridici.
Il legislatore, incriminando il falso, tutela il vero e, principalmente, l’interes connesso alla finalità probatoria e conoscitiva assegnata ad alcuni segn , atti o documenti composti con modalità predeterminate e tale finalità viene, nel caso di specie, del tutto compromessa dalla falsa attestazione della preser del dipendente in ufficio, compiuta mediante alterazione del sistema di rilevar( unto o mediante altre modalità fraudolente, posto che, in tal modo, si cor iprova, contrariamente al vero, e si rappresenta l’esistenza di un fatto in realtà ines stenite, vulnerando la funzione certificativa propria del sistema di rilevazione delle presenze e ledendo il bene giuridico come in precedenza delineato.
Il delitto in questione rientra pertanto nella categoria dei reati contro a fede pubblica e l’interesse penalmente tutelato ruota intorno ad un nucleo co mine a tutti i reati di falso, che è costituito dall’affidamento o dalla fiducia che la ge neralità dei consociati ripone in determinati segni, atti o documenti e al valore prc batorio ad essi attribuito, che si traduce nella garanzia di veridicità degli atti stess. i,
Ricostruito così il bene giuridico protetto dalla norma penale ex z rt. 55quinquies d.lgs. n. 165 del 2001, è di tutta evidenza come il delitto de qui) debba essere sussunto nella categoria dei reati di pericolo, non rientrando. come anticipato, il danno nell’obbiettività giuridica criminosa.
E’ inoltre un reato di pura condotta, che si consuma con la falsa atte5tazione della presenza, risultando pertanto ininfluente che il pubblico dipendente, a prescindere dalla qualifica posseduta, non sia vincolato a un preciso cario di servizio, abbia comunque garantito la propria presenza per il numerc di ore previsto da contratto, anche in ipotesi compensando le ore in precedenza non
lavorate, e non abbia arrecato alcun danno patrimoniale al datore di lavoro pubblico.
Per l’integrazione della fattispecie incriminatrice non è richiesto il dolo specifico, essendo sufficiente la coscienza e la volontà della “immutatio ieri” e, quindi, non occorre che l’agente possegga l’ “animus nocendi vel decipú ndi” (il dolo è infatti generico); il reato sussiste anche quando la falsa attesta2:i :ne sia stata commessa con la certezza di non produrre alcun danno, essendo sul ficiente che la falsità sia stata compiuta consapevolmente e volontariamente, in quanto l’oggettività giuridica del reato consiste nella messa in pericolo dell’intere ;se al genuinità e alla veridicità della richiesta attestazione, i cui segni, attra n erso la timbratura, restano impressi su un documento, proteggendosi, con l tutela penale, il valore probatorio della certificazione della presenza per con rastare efficacemente gli episodi di assenteismo produttivi dell’inefficienza e dell’irregolare funzionamento delle pubbliche amministrazioni.
Va poi chiarito che la valutazione in ordine all’offesa del bene giuridico protetto, ossia la questione concernente la realizzazione di un fatto (di reati i) tipic ma inoffensivo (art. 49 cod. pen.) deve essere eseguita in relazione al m:mento di attuazione della condotta punibile secondo un giudizio prognostico che va effettuato “ex ante” (cd. criterio della prognosi postuma), vale a dire su la base delle circostanze di fatto conosciute dall’agente al momento in cui la c:ndotta viene posta in essere, indipendentemente dai risultati, e non ex post, ;sendo perciò irrilevante la mancanza, successivamente e per qualsiasi motivo risci otrata, di qualsivoglia lesione.
Tutto ciò dimostra l’infondatezza delle doglianze con le quali il ricorrente rivendica, sulla base di fatti susseguenti rispetto al momento consuma : vo del reato e sprovvisti peraltro di prova, l’inoffensività della condotta contestai E gli.
Infatti, va nuovamente sottolineato che la falsa attestazione della pre enza in ufficio, operata mediante l’alterazione o altre modalità fraudolente del sis:erna di rilevamento delle presenze, è pienamente idonea ad ingannare il datore :i lavoro pubblico. Sulla base della funzione (auto)certificativa dell’attestazione, il 3istema di rilevamento costituisce, infatti, lo strumento legale diretto ad acce – :are la presenza in servizio del lavoratore al fine di attribuire piena efficacia probii:oria fatto giuridicamente rilevante dell’esatta, e pertanto funzionale ed ef iciente, esecuzione giornaliera della prestazione lavorativa nello spazio temporale compreso tra la “timbratura” in entrata (che attesta l’inizio, o la ripresa nel cas di uscita temporanea, del servizio connesso al rapporto di lavoro) e la “tirr I vatura” in uscita” (che attesta la fine, o l’interruzione, della prestazione la’ , Drativa quotidiana), e tanto sia con riferimento alla presenza in ufficio del dipi rident pubblico e sia con riferimento al computo esatto delle ore lavorate, msicc.hé
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qualsiasi condotta manipolativa delle risultanze dell’attestazione è, di )er sé, idonea a trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente pubblico presta servizio in relazione alle circostanze di fatto che quella attestazione ì intesa a dimostrare, ossia la presenza o meno del dipendente sul luogo di lavoro.
Le precedenti considerazioni consentono di ritenere privo di fondi’ mento anche l’ulteriore rilievo che il ricorrente muove alla sentenza impugnati con il primo motivo di ricorso.
Egli cioè sostiene che il reato non sarebbe configurabile per la rr ancata integrazione del modello legale, in quanto l’omessa “timbratura” interni idia in uscita, in assenza di un quid pluris, non concretizzerebbe il requisito del e altre modalità fraudolente, requisito che è richiesto, in alternativa all’alterazione del sistema di rilevamento della presenza, per l’integrazione del fatto tipico.
L’assunto non è corretto: è falsa attestazione non solo la alterazione o la manomissione del sistema automatico di rilevazione delle presenze, ma a iche la condotta con la quale non sono registrate le uscite interruttive del seni Irio, in quanto attraverso la mancata segnalazione dell’uscita nel sistema di rilen ‘azione della presenza – da effettuarsi, come per l’entrata, attraverso la “timbratu -a” con badge (tessera magnetica) – viene, come nel caso di specie, attestata falsa -lente, e con l’elusione del sistema di rilevamento, una circostanza non vera e cioè la presenza in servizio, traendo perciò in inganno il datore di lavoro pubblico.
Il sintagma, “modalità fraudolente”, enunciato nella norma penale ex z rt. 55quinquies, d.lgs. n. 165 del 2001, al pari dell’espressione, “mezzi fraudolen: “, che compare in diverse fattispecie incriminatrici del codice penale in rubrica zii nelle note descrittive dei rispettivi illeciti (ad es. artt. 353, 353-bis, 366, 428, 5: .3, cod. pen.), non implica che l’agente, affinché il requisito della fraudolenzí possa ritenersi integrato, faccia necessariamente ricorso a mezzi ingannatori qu 3iifiCati – quali, ad esempio, gli artifici o i raggiri o inganni sofisticati – ma è suff cie senza la necessità che ricorra alcun quid pluris, una qualsiasi modaliti della condotta, anche simulata o dissimulata, purché idonea a porre un sogget o, non necessariamente coincidente con quello passivo, in una situazione di e rore o anche di semplice ignoranza.
Anzi, in talune fattispecie, come nel delitto di insolvenza fraudol( nta, è addirittura escluso il ricorso all’uso di mezzi fraudolenti qualificati, in prese lza d quali è configurabile, a condizioni esatte, il reato di truffa.
Nel delitto in questione, poi, il soggetto attivo del reato, omettendo la “timbratura” in uscita e facendo così falsamente apparire la sua presenza nE I luogo di lavoro, nasconde tale importante fatto giuridico, incidente sul cor tenuto
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prestazione lavorativa, al datore di lavoro pubblico, che perciò ignora l’ar Atrario allontanamento dal servizio del dipendente, restando vittima dell’inganno
Ne consegue che le “altre modalità fraudolente”, richiamate nel p -ecetto dell’art. 55-quinquies d.lgs. n. 165 del 2001, sono costituite da ogni attività ingannevole, qualificata o non qualificata, compreso il mancato azionanne -to del sistema di rilevazione della presenza nel caso di allontanamento del dipendente dall’ufficio dopo che ne sia stata certificata la presenza, essencc) tale comportamento equiparabile al silenzio maliziosamente serbato e alla e( mplice menzogna.
E’ infondato anche il secondo motivo di ricorso con il quale il ric )rrente rivendica l’applicazione della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen. rimproverando alla Corte d’appello di averla negata in violazione di leggu e con motivazione illogica, sul rilievo della ritenuta abitualità della condotti, del qualità soggettiva di dirigente medico dell’imputato e dei motivi a delinquere che, enunciati nel secondo comma dell’art. 133 cod. pen., non potevano esse! e presi in considerazione e obliterando peraltro che il comportamento dell’in Dutato successivo al reato avesse reso evidente la tenuità dell’offesa in presenza di un danno lieve (circa 1000 euro), che era stato anche risarcito.
4.1. Osserva il Collegio che, come lo stesso ricorrente annota nell etto di gravame, le Sezioni Unite della Corte, nel ritenere la compatibilità, a detel minate condizioni, del reato continuato con la causa di non punibilità per la par icolare tenuità del fatto hanno chiarito che detta causa di esclusione della punibi i:à può essere riconosciuta dal giudice all’esito di una valutazione complessi ,/ a della fattispecie concreta, che – salve le condizioni ostative tassativamente r reviste dall’art. 131-bis cod. pen. per escludere la particolare tenuità dell’offesil o pe qualificare il comportamento come abituale – tenga conto di una serie di in licatori rappresentati, in particolare, dalla natura e dalla gravità degli ill·!cit continuazione, dalla tipologia dei beni giuridici protetti, dall’entità delle disr»sizi di legge violate, dalle finalità e dalle modalità esecutive delle condotte, di lie lo motivazioni e dalle conseguenze che ne sono derivate, dal periodo di tem r o e dal contesto in cui le diverse violazioni si collocano, dall’intensità del dolo e dall rilevanza attribuibile ai comportamenti successivi ai fatti (Sez. U, n. 1891 del 27/01/2022, COGNOME, Rv. 283064 – 01).
Ne consegue che il giudice di merito, in presenza di reati unificati dal vincolo della continuazione, è tenuto ad eseguire una valutazione complessi ,/3 della fattispecie concreta sulla base di una serie di indicatori che possono conse -tire di ritenere integrata o meno la causa di esclusione della punibilità ex art. .31-bis cod. pen., con i conseguenti oneri motivazionali che ne derivano, soltanto se non
sussistono fattori che, in partenza, ne precludono l’applicabilità avuto rigua .do ade condizioni ostative tassativamente previste dall’art. 131-bis cod. pe . 7. per escludere la particolare tenuità dell’offesa o per qualificare il comportament come abituale.
4.2. Ciò posto, la Corte di merito, dopo aver dato ampiamente co ito dei principi espressi dalle Sezioni Unite COGNOME e COGNOME, ha affermato che, ne’ :aso in esame, l’applicazione della causa di non punibilità dovesse ritenersi p – eclusa dall’abitualità della violazione, essendosi accertato che il ricorrente aveva realizzato le condotte di falsa attestazione della sua presenza in sei oci asioni, nell’arco temporale di meno di un mese, e dunque in modo reiterato e sista natie), sicché il dato obiettivo della pluralità delle violazioni doveva essere inter )retat come espressivo di un carattere di serialità dei comportamenti e, dunque, di una abitualità.
4.3. Nonostante tale ratio decidendi fosse, come sarà più chiaro ins E guito, autosufficiente per negare la rivendicata causa di esclusione della puniI3 lità, la Corte salentina ha aggiunto come, nel caso in esame, la condotta posta in essere dall’imputato non potesse ritenersi di particolare tenuità, sul rilievo che l valutazione complessiva della vicenda andasse parannetrata alla concreta :ravità dei fatti desunta, nella specie, dalla circostanza che ciascuna condotta, :sta in essere dal ricorrente, aveva comportato il suo allontanamento dal luogo cl lavoro senza alcuna autorizzazione, in assenza di alcuna giustificazione, per recar; a casa o in spiaggia e dunque per attività di personale piacere e diletto, non corrI ovate da alcuna necessità personale o familiare; inoltre, l’assenza dal lavoro si era protratta, ogni volta, per un lasso di tempo considerevole, di cinque-sei ore ed afferente alla quasi totalità di una giornata lavorativa media. Non si era assolutamente trattato perciò di un allontanamento di pochi minuti o altro stacco di breve durata, poiché l’imputato aveva fatto risultare la sua presenza, pur se assente dal luogo di lavoro, per molte ore ininterrottamente, con la conseguenza che tutto ciò denotava un rilevante grado di colpevolezza, non essa rido la violazione minimamente correlabile ad una necessità occasionale e nnomeli:anea, né ad indispensabili esigenze di vita, ma era dimostrativa di una consistente offensività, comportando, ogni violazione, una prolungata assenza dall’os )edale, che rimaneva sguarnito della figura professionale di riferimento ossia del cl rettore dell’Unità operativa di radiodiagnostica che si assentava arbitrariamente pe – molte ore consecutive e per più giorni, con un danno rilevante per i pazienti e per lo stesso personale dell’unità operativa, che non poteva fare affidannent) sula presenza e sull’apporto del proprio direttore, e con un inevitabile nonch serio pregiudizio per la stessa affidabilità del sistema di rilevazione delle pr( senze, venendo così vulnerata in modo consistente la funzione certificativa del s istema Corte di Cassazione – copia non ufficiale
stesso, per più volte nello stesso arco temporale, e procurando anche un non trascurabile danno all’immagine per l’azienda ospedaliera, tenuto conto della gravità della condotta in considerazione che fosse proprio il direttore di U113 unità operativa, che avrebbe dovuto essere di esempio e di modello di comporti mento per i dipendenti, a reiterare false attestazioni di presenza in servizio, 1:0 -ite di pericoloso stimolo ad analoghe condotte da parte degli altri dipendenti dell’ospedale e di incentivo al mal costume dell’assenteismo.
4.4. Nel pervenire a tali conclusioni, la Corte di merito ha correttz mente applicato le indicazioni ermeneutiche fornite dalle Sezioni Unite e non è i rzorsa, contrariamente a quanto annota il ricorrente, in alcun vizio motivazionale
4.4.1. Quanto al primo aspetto, concernente l’integrazione di una con:Azione ostativa all’applicazione della causa di esclusione della punibilità ex art. 31-bis cod. pen. in presenza di un’abitualità del comportamento, la sentenza non merita le cesure che le vengono mosse.
La Corte territoriale non ha affatto affermato che la declaratoria di non punibilità per la particolare tenuità del fatto fosse preclusa dalla connmiss brie di più reati unificati dal vincolo della continuazione, stabilendo un’impror onible equazione tra continuazione nel reato ed abitualità.
Nel richiamare la lezione interpretativa impartita dalle Sezioni Unite con le sentenze COGNOME e COGNOME la Corte di merito ha ricordato come la noz one di abitualità si riferisca ad una qualità che progressivamente si delinea e cc-solida nel tempo in conseguenza della realizzazione di plurime condotte onnc genee, intesa come «disposizione acquisita con il costante e periodico ripel ersi di determinati atti», e non può essere pertanto sovrapposta ad una sitn azione connotata dalla mera reiterazione di azioni, con la conseguenza che l’appli :azione della causa di esclusione della punibilità deve ritenersi preclusa nelle sole ,potesi in cui il dato obiettivo della pluralità delle violazioni possa essere interpretat: com espressivo di un carattere di serialità dei comportamenti.
Le Sezioni Unite hanno, infatti, chiarito che, nella sua dinamica funzioale, la continuazione assume fisionomie tra loro sensibilmente diverse, potendo ‘ariare, di volta in volta, la tipologia del bene giuridico protetto, il numero dei reati avvi dal medesimo disegno criminoso, lo spazio temporale che distanzia i singoli episodi illeciti, l’omogeneità o la eterogeneità delle violazioni, la loro gravità in asti att forme e modalità di realizzazione dei diversi segmenti storico-fattuali in cui si articola, nel tempo, il disegno criminoso, con la conseguenza che, in relaznne alla disciplina del reato continuato, l’eventuale connotazione di “abituali a” del comportamento deve essere necessariamente valutata in concreto, in rr – odo da evitare automatismi preclusivi che irragionevolmente ostino al riconoscimento della causa di esclusione della punibilità nei confronti di persone per le qt ali non
sia effettivamente individuabile alcuna esigenza special-preventiva e, a tal proposito, il giudice è tenuto a motivare in maniera adeguata sulle ferme di estrinsecazione del comportamento incriminato, al fine di valutarne la 5:ravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il bisogno cl pena.
E’ stato, inoltre, precisato che, nell’esaminare la natura dei nati in continuazione e del bene giuridico leso, potrebbe venire in rilievo una siti azione caratterizzata dalla presenza di una pluralità di reati della stessa indole, con la conseguente necessità di verificarne il dato numerico, in applicazione del p – ncipio al riguardo affermato dalle Sezioni Unite Tushaj, secondo cui la serialità o:;:ativa, come tale idonea ad integrare l’abitualità del comportamento, si realizza «luando l’autore faccia seguire a due reati della stessa indole un’ulteriore, analoga c:undotta illecita», il che significa che i reati della stessa indole devono essere almer o tre.
Cosicché, applicando tale principio di diritto al reato continuato, derivz che la causa di non punibilità dovrà ritenersi preclusa nel momento in cui risultino il carico dell’autore almeno tre reati della stessa indole, pur se avvinti fra loro da nesso della continuazione.
Siccome nella nozione di reati della stessa indole rientrano non soltant : quelli che, pur previsti da testi normativi diversi, presentano, nei casi concreti, cratter fondamentali comuni per la natura dei fatti che li costituiscono o dei moti i che li hanno determinati, ma soprattutto vi rientrano quei reati che violavo una medesima disposizione di legge (art. 101 cod. pen.), tale nozione risulterì per lo più sovrapponibile, nei casi concreti, all’ipotesi in cui venga in rilievo la forn a del cd. “continuazione omogenea”, caratterizzata appunto, come nel caso di specie, dalla plurima violazione della stessa disposizione di legge.
Va ricordato, infatti, che, a norma dell’art. 131-bis cod. p a n., il comportamento è abituale quando l’autore (a) sia stato dichiarato delir quente abituale, professionale o per tendenza, (b) abbia commesso più reati della stessa indole, anche se gli stessi isolatamente considerati siano di particolare tent. ità, (c) abbia commesso reati aventi ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterE te, con la conseguenza che quando, in presenza di reato continuato e in costanza di continuazione omogenea, ricorrono, anche alternativamen :e, le condizioni sub b) e c) il comportamento deve ritenersi abituale e, dunque, p – aclusa l’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per la particolare ten lità fatto.
Ciò posto, la sentenza impugnata non si è discostata da tali insegnarrmiti ma ha ritenuto sussistente l’abitualità del comportamento in considerazicne del carattere seriale dell’attività criminosa e dell’abitudine del soggetto a vk lare l legge, argomentando perciò sulla maggiore pericolosità del soggetto nel :aso in esame. In particolare, ha ritenuto ostativo alla declaratoria di non punibi ità per
particolare tenuità del fatto non il riconoscimento del vincolo della confini azione in sé e per sé, ma in quanto indicativo, nel caso concreto, del carattere seriale delle condotte, tutte omogenee, della medesima indole e reiteratamente p Dste in essere dall’imputato – in almeno sei occasioni – lungo il rilevante arco temporale di circa un mese.
4.4.2. Quanto al secondo aspetto, è sufficiente ricordare come la SE ntenza impugnata abbia correttamente valutato il profilo inerente alla mancar a del requisito della particolare tenuità dell’offesa, escludendone la configurabilità all’esito di una valutazione complessiva della vicenda, svolta sulla base di ur ·3 serie di indicatori coerentemente ritenuti ostativi alla declaratoria dell’invocata i:3usa d esclusione della punibilità, avuto riguardo alla natura, al numero e alle spe:ifiche modalità di realizzazione delle condotte in continuazione (v. sub 4.3.).
A tale riguardo e come già anticipato, va considerato che, ai fir i della valutazione complessiva della fattispecie concreta, il giudice – pur dovendo :enere conto di una serie di indicatori (rappresentati, in particolare, dalla natura e dall gravità degli illeciti in continuazione, dalla tipologia dei beni giuridici p rot dall’entità delle disposizioni di legge violate, dalle finalità e dalle modalità es lcut delle condotte, dalle loro motivazioni e dalle conseguenze che ne sono clir -ivate, dal periodo di tempo e dal contesto in cui le diverse violazioni si col cano, dall’intensità del dolo e dalla rilevanza attribuibile ai comportamenti SUCCE 53sivi ai fatti) – non è necessario che esamini espressamente ogni indicatore e sp r3ghi la ragione della prevalenza degli uni rispetto agli altri, onde ritenere o es:ludere l’applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fa ::o, rn è sufficiente che egli, con adeguata motivazione priva di vizi di manifesta ill:gicil.à indichi quelli stimati rilevanti e, conseguentemente, prevalenti per ritener E o per escludere l’applicazione della causa di esclusione della punibilità (Sez. 7, n 10481 del 19/01/2022, Deplano, Rv. 283044 – 01).
Nel caso in esame, la Corte di merito ha adeguatamente ar notato, scrutinando funditus la fattispecie storica nei suoi aspetti essenziali, c.: ,me la natura, il numero e le specifiche modalità di realizzazione delle c mdotte escludessero l’applicazione della causa di non punibilità reclamata.
Al rigetto del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. pen., la cc – danna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché la condar na alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, Asl di Lecce, liquidate in complessivi euro 3.696, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 154-ter disp. att. cod. proc. pen., trattandosi di sentenza penale emessa nei confronti di un lavoratore dipendente di un’amministrazione
pubblica, il dispositivo va trasmesso all’amministrazione di appartenenza (Asl di Lecce) a cura della cancelleria.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese proc(!-;suali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresent3nza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in comp essivi euro 3.696, oltre accessori di legge.
Dispone la trasmissione del dispositivo a cura della cancelleria alla Asl dl
Così deciso il 26/11/2024