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Falsa attestazione presenza: Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un dipendente pubblico, capitano della Polizia Locale, condannato per truffa e falsa attestazione della presenza. L’imputato timbrava regolarmente il cartellino per poi allontanarsi e recarsi presso un palazzetto dello sport. La Suprema Corte ha stabilito che il ricorso non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio per rivalutare le prove, ma deve limitarsi a censure di legittimità, confermando così la condanna inflitta nei gradi di merito.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa attestazione della presenza: la Cassazione conferma la condanna per il dipendente assenteista

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47605/2024, ha affrontato un caso di falsa attestazione presenza da parte di un dipendente pubblico, ribadendo importanti principi sulla natura del ricorso per cassazione e sulla valutazione delle prove. La pronuncia conferma la condanna per un capitano della Polizia Locale che, dopo aver timbrato il cartellino, si allontanava sistematicamente dal posto di lavoro per dedicarsi ad attività personali. Analizziamo i dettagli della vicenda e le conclusioni della Suprema Corte.

I fatti del caso: la condotta del dipendente pubblico

Il caso riguarda un ufficiale della Polizia Locale accusato dei reati di truffa ai danni dello Stato e di falsa attestazione presenza sul luogo di lavoro. Secondo l’accusa, confermata nei primi due gradi di giudizio, l’imputato era solito timbrare il badge all’inizio del turno per poi recarsi presso un palazzetto dello sport dove seguiva le attività di una squadra di basket di cui era stato dirigente.

Le indagini hanno documentato diversi episodi in cui l’ufficiale, durante l’orario di servizio, si trovava al palazzetto anziché nel suo ufficio. La difesa ha tentato di giustificare tali assenze sostenendo che la sua presenza in quei luoghi fosse legata a motivi di servizio, come la tutela dell’ordine pubblico o accertamenti specifici. Tuttavia, le prove raccolte, incluse osservazioni e rilievi fotografici, hanno smentito questa versione, mostrando come l’imputato si trovasse lì in abiti civili, con auto privata e per scopi non istituzionali.

Il Tribunale prima e la Corte di Appello poi hanno ritenuto l’imputato responsabile, rideterminando la pena in secondo grado escludendo la contestazione relativa alla retribuzione per lavoro straordinario.

L’analisi della Corte sulla falsa attestazione presenza

L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando un difetto di motivazione e un travisamento delle prove da parte dei giudici di merito. In sostanza, ha chiesto alla Suprema Corte di riconsiderare gli elementi probatori e di dare una lettura diversa ai fatti, accogliendo le sue giustificazioni.

Il principio della “doppia conforme”

La Cassazione ha innanzitutto richiamato il consolidato principio della “doppia conforme”. Quando i giudici di primo e secondo grado emettono due sentenze di condanna concordanti sulla responsabilità dell’imputato, le loro motivazioni si fondono in un unico corpo argomentativo. L’imputato che ricorre in Cassazione ha l’onere di contestare specificamente le ragioni di entrambe le decisioni, non potendo limitarsi a riproporre le stesse argomentazioni già respinte.

L’inammissibilità del ricorso e i limiti del giudizio di legittimità

Il punto centrale della sentenza è la netta distinzione tra il giudizio di merito e quello di legittimità. La Corte di Cassazione non è un “terzo grado” di giudizio dove si possono rivalutare i fatti o soppesare nuovamente le prove. Il suo compito è verificare che i giudici precedenti abbiano applicato correttamente la legge e abbiano motivato la loro decisione in modo logico e coerente.

Nel caso di specie, il ricorso è stato giudicato inammissibile proprio perché, invece di evidenziare vizi di legittimità (come un’evidente illogicità della motivazione o un errore di diritto), mirava a ottenere una nuova e diversa ricostruzione dei fatti, un compito che esula completamente dalle funzioni della Suprema Corte.

Le motivazioni della decisione

La Corte ha motivato la sua decisione di inammissibilità su due pilastri fondamentali.

In primo luogo, il ricorso è stato considerato meramente reiterativo delle doglianze già esaminate e respinte dalla Corte di Appello. L’imputato non ha sviluppato una critica puntuale contro la sentenza di secondo grado, ma si è limitato a riproporre le sue tesi difensive, ignorando le argomentazioni con cui erano state confutate.

In secondo luogo, la Cassazione ha ribadito che le censure relative alla valutazione del materiale probatorio e alla ricostruzione del fatto sono precluse in sede di legittimità. I giudici di merito avevano fornito una spiegazione logica e coerente del perché le giustificazioni dell’imputato non fossero credibili, basandosi su elementi oggettivi (orari, abbigliamento, tipo di attività svolta al palazzetto). Tentare di sovrapporre una diversa interpretazione a questa ricostruzione fattuale si traduce in una richiesta di un nuovo giudizio di merito, inammissibile in Cassazione.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce con forza che il reato di falsa attestazione presenza si integra quando un dipendente pubblico, pur avendo timbrato, si allontana dal luogo di lavoro per scopi privati, inducendo in errore l’amministrazione di appartenenza. Sul piano processuale, la decisione sottolinea che il ricorso per cassazione deve concentrarsi su vizi di diritto o di logica manifesta, senza poter mai diventare un’occasione per rimettere in discussione l’accertamento dei fatti compiuto nei gradi di merito, specialmente in presenza di una “doppia conforme” affermazione di responsabilità.

È possibile presentare un ricorso in Cassazione per chiedere una nuova valutazione delle prove?
No, la Corte di Cassazione non è un giudice di merito e non può effettuare una nuova valutazione delle prove. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata, non ricostruire i fatti.

Cosa significa il principio della “doppia conforme” in un processo penale?
Significa che quando la sentenza di primo grado e quella di appello concordano nell’affermare la responsabilità dell’imputato, le loro motivazioni si integrano a vicenda. Per contestarle efficacemente in Cassazione, il ricorrente deve criticare l’intero apparato argomentativo risultante dalla loro fusione.

Quali sono le conseguenze per un dipendente pubblico che attesta falsamente la propria presenza sul luogo di lavoro?
Il dipendente commette i reati di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640 c.p.) e di fraudolenta attestazione della presenza in servizio (art. 55-quinquies D.Lgs. 165/2001), rischiando una condanna penale, oltre alle sanzioni disciplinari che possono arrivare fino al licenziamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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