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Falsa attestazione identità: condanna anche se rettificata

Un soggetto viene condannato per resistenza a pubblico ufficiale e per falsa attestazione identità. In Cassazione, lamenta di aver successivamente fornito le generalità corrette. La Corte ha rigettato il ricorso, chiarendo che il reato di falsa attestazione identità si configura anche in caso di dichiarazioni contrastanti, poiché è certo che almeno una sia falsa, a prescindere da una successiva rettifica. La pena è stata ritenuta congrua alla gravità dei fatti.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa Attestazione Identità: Condanna Anche in Caso di Successiva Rettifica

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di reati contro la fede pubblica: il delitto di falsa attestazione identità a un pubblico ufficiale si configura anche quando, dopo aver fornito generalità mendaci, si decide di rettificare e comunicare quelle corrette. Analizziamo insieme la decisione per comprenderne le implicazioni pratiche.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla condanna, confermata in appello, di un individuo per i reati di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) e falsa attestazione sulla propria identità (art. 495 c.p.). L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione basandosi su due motivi principali.

In primo luogo, sosteneva che la condanna per falsa attestazione fosse illegittima, poiché, dopo un’iniziale dichiarazione errata, aveva poi fornito le sue esatte generalità. In secondo luogo, contestava l’entità della pena inflitta per il reato di resistenza, ritenendola sproporzionata rispetto al minimo previsto dalla legge.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto integralmente il ricorso, giudicando il primo motivo infondato e il secondo inammissibile. Confermando la condanna, i giudici hanno fornito importanti chiarimenti su entrambi i punti sollevati dalla difesa.

Le Motivazioni: la Configurazione del Reato di Falsa Attestazione Identità

La Corte ha smontato la tesi difensiva relativa alla falsa attestazione identità. I giudici hanno chiarito che, sulla base della ricostruzione dei fatti, l’imputato aveva inizialmente fornito generalità completamente diverse dalle sue (un nome differente, con data e luogo di nascita in un altro Stato). Solo in un secondo momento le aveva rettificate.

Secondo un orientamento consolidato, che la Corte ha pienamente condiviso, il reato previsto dall’art. 495 c.p. si perfeziona nel momento in cui vengono rese le dichiarazioni mendaci. Il fatto che l’agente renda, nello stesso contesto, molteplici dichiarazioni tra loro diverse e contrastanti, integra di per sé il reato. È infatti logicamente certo che almeno una delle versioni fornite sia falsa. Diventa, quindi, irrilevante stabilire quale sia quella vera o se, alla fine, sia stato possibile accertare la reale identità del soggetto. La successiva rettifica non ha alcun effetto sanante sul reato, che si è già consumato con la prima dichiarazione non veritiera.

Le Motivazioni: la Congruità della Pena

Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, la Cassazione lo ha dichiarato inammissibile per genericità. I giudici di legittimità hanno osservato come la Corte d’appello avesse correttamente esercitato il proprio potere discrezionale nella determinazione della pena, applicando i parametri dell’art. 133 c.p.

La motivazione della sentenza impugnata è stata ritenuta completa e logica. Per giustificare una pena superiore al minimo edittale, i giudici di merito avevano evidenziato la particolare gravità della condotta di resistenza: una fuga in moto ad alta velocità, con il superamento di incroci con semaforo rosso, la guida sul marciapiede e le lesioni provocate all’agente che lo inseguiva. Tali elementi sono stati considerati sufficienti a giustificare la sanzione inflitta, ritenuta tutt’altro che sproporzionata.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce due importanti principi. In primo luogo, il dovere di fornire le proprie esatte generalità ai pubblici ufficiali è assoluto e non ammette “seconde possibilità”: mentire sulla propria identità è un reato che si consuma istantaneamente, e una successiva confessione non cancella l’illecito. In secondo luogo, la determinazione della pena è una valutazione di merito che, se adeguatamente motivata in base alla gravità del fatto e alla personalità del reo, non è sindacabile in sede di legittimità.

È reato dichiarare il falso a un pubblico ufficiale anche se poi si dice la verità?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che il reato di falsa attestazione si consuma nel momento in cui viene fornita la dichiarazione non veritiera. Il fatto di rendere, anche a breve distanza di tempo, dichiarazioni diverse e contrastanti è sufficiente per integrare il reato, poiché è certo che almeno una di esse sia falsa. Una successiva rettifica non elimina il reato già commesso.

Come viene decisa la quantità della pena per il reato di resistenza a pubblico ufficiale?
Il giudice determina l’entità della pena valutando la gravità del fatto secondo i parametri stabiliti dall’art. 133 del codice penale. Nel caso specifico, la pena è stata considerata adeguata a causa della pericolosità della condotta dell’imputato, che includeva una fuga in moto con violazione di numerose norme stradali e lesioni causate all’agente inseguitore.

Cosa succede se una persona fornisce più dichiarazioni diverse sulla propria identità?
Secondo la sentenza, quando vengono fornite dichiarazioni difformi, è irrilevante stabilire quale sia quella vera ai fini della configurazione del reato. La condotta è penalmente rilevante perché è certo che almeno una delle dichiarazioni sia falsa, integrando così la fattispecie di reato prevista dall’art. 495 del codice penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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