Falsa Attestazione a Pubblico Ufficiale: Quando la Confusione Diventa Reato
Il reato di falsa attestazione a un pubblico ufficiale sulla propria identità è un tema di grande attualità e rilevanza pratica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti su questo delitto, stabilendo che la condotta di chi fornisce molteplici e diverse generalità integra il reato, anche se non è possibile accertare la vera identità del dichiarante. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo contro la sentenza della Corte d’Appello che aveva confermato la sua condanna per il reato di falsa attestazione a pubblico ufficiale riguardo alla propria identità e qualità personali. L’imputato, nel corso di diverse occasioni, aveva fornito generalità differenti alle autorità. La difesa sosteneva che il compendio probatorio non fosse sufficiente a dimostrare la sua colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio, contestando l’idoneità delle prove a fondare un verdetto di condanna.
La Decisione della Corte di Cassazione sulla falsa attestazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici di legittimità hanno ritenuto che la Corte territoriale avesse applicato correttamente un principio di diritto consolidato. La condotta di chi fornisce a un pubblico ufficiale molteplici dichiarazioni, tutte diverse tra loro, riguardo alle proprie generalità, integra pienamente il reato di falsa attestazione.
Le Motivazioni della Sentenza
La Corte ha basato la sua decisione su un solido orientamento giurisprudenziale (in particolare la sentenza n. 29874 del 2017). Secondo questo principio, per configurare il reato, non è necessario che il pubblico ufficiale riesca ad accertare le vere generalità del dichiarante. Anzi, è del tutto irrilevante che, in una delle tante occasioni, l’imputato possa aver detto la verità. Il cuore del reato risiede proprio nel creare confusione e nell’ostacolare la corretta identificazione da parte dell’autorità, fornendo dati personali tra loro contraddittori.
Inoltre, la Corte ha sottolineato come l’imputato non si fosse confrontato adeguatamente con la motivazione della sentenza d’appello. Un elemento che ha aggravato la sua posizione è stato il fatto che la stessa difesa avesse prodotto in giudizio un passaporto dal quale risultavano generalità ancora diverse da quelle oggetto della contestazione, confermando così un quadro di incertezza identitaria volontariamente creato.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza riafferma con forza un principio fondamentale: mentire sulla propria identità a un pubblico ufficiale è un reato che si perfeziona con la semplice dichiarazione mendace o contraddittoria. Non ci sono scappatoie: il tentativo di confondere le autorità fornendo dati personali diversi è di per sé sufficiente per una condanna. La decisione serve da monito sulla serietà con cui l’ordinamento giuridico tutela la certezza e l’affidabilità delle dichiarazioni rese a chi esercita una funzione pubblica. Per i cittadini, il messaggio è chiaro: la trasparenza e la veridicità nelle comunicazioni con le autorità sono obblighi imprescindibili, la cui violazione comporta conseguenze penali severe, inclusa la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Fornire più dichiarazioni diverse sulla propria identità a un pubblico ufficiale costituisce reato?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, la condotta di chi rende molteplici dichiarazioni, tutte diverse tra loro, in ordine alle proprie generalità, integra il reato di falsa attestazione a un pubblico ufficiale.
È necessario che venga accertata la vera identità del dichiarante per configurare il reato?
No, non è rilevante che non sia stato possibile accertare le vere generalità del dichiarante. Il reato si configura con il solo atto di fornire dichiarazioni false o contraddittorie.
Se una delle molteplici dichiarazioni fornite fosse quella vera, il reato sussisterebbe comunque?
Sì, la Corte ha specificato che è irrilevante se, in una sola delle molteplici occasioni, il soggetto possa eventualmente aver detto il vero. L’atto di fornire dichiarazioni diverse è di per sé sufficiente a integrare il reato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3678 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3678 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 24/07/1979
avverso la sentenza del 18/04/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza con cui la Corte d’appello di Bologna ne ha confermato la condanna pronunciata a seguito di giudizio abbreviato per il reato di falsa attestazione a pubblico ufficiale d’identità e delle proprie qualità personali.
Ritenuto che i motivi di ricorso, con i quali il ricorrente deduce violazione di legge e vizi di motivazione in merito alla idoneità del compendio probatorio di comprovare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la condotta dell’imputato, è manifestamente infondato in quanto la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del consolidato insegnamento di legittimità per cui integra il reato di falsa attestazione o dichiarazione a un P.U. sulla identità o su qualità personali proprie o di altri la condotta di colui che rende molteplici dichiarazioni, tutte fra loro diverse, in ordine alle proprie generalità, non rilevando, a tal fine, il fatto ch non sia stato possibile accertare le vere generalità del dichiarante e che questi, in una sola delle molteplici occasioni, possa, eventualmente, avere detto il vero (Sez. 5, n. 29874 del 09/05/2017, COGNOME, Rv. 270876). Inoltre il ricorrente non si confronta compiutamente con la motivazione della sentenza che ha dato atto di come la difesa abbia prodotto il passaporto dell’imputato dal quale risultano generalità ben diverse da quelle oggetto della contestazione.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 0/12/2024