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Falsa attestazione: assolto chi non sa di mentire

Un cittadino viene assolto dall’accusa di falsa attestazione per aver dichiarato, al momento della richiesta di una nuova carta d’identità, di non avere impedimenti all’espatrio. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, stabilendo che la mancata conoscenza di un ordine di esecuzione penale, non ancora notificato, esclude il dolo necessario per commettere il reato. Il ricorso del Pubblico Ministero è stato dichiarato inammissibile perché generico e non in grado di scalfire la logica motivazione della sentenza di primo grado.

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Pubblicato il 24 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa Attestazione: Assoluzione Garantita se Manca la Consapevolezza

Il reato di falsa attestazione a un pubblico ufficiale, previsto dall’art. 495 del codice penale, richiede non solo che la dichiarazione sia oggettivamente falsa, ma anche che il dichiarante sia consapevole di mentire. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito questo principio fondamentale, confermando l’assoluzione di un cittadino accusato di aver falsamente dichiarato l’assenza di cause ostative all’espatrio. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti del Caso: La Richiesta di una Nuova Carta d’Identità

Un cittadino si recava presso gli uffici del proprio Comune per richiedere il rilascio di una nuova carta d’identità. Durante la procedura, come da prassi, attestava di non avere impedimenti che ostacolassero il suo diritto all’espatrio. Pochi giorni dopo, tuttavia, il Comune riceveva una comunicazione dalla Procura della Repubblica: nei confronti del richiedente era stato emesso un ordine di esecuzione di pena, una condizione che, ai sensi della legge n. 1185/67, costituisce un impedimento al rilascio di un documento valido per l’espatrio. Di conseguenza, l’uomo veniva accusato del reato di falsa attestazione.

La Decisione del Tribunale: Assoluzione per Mancanza di Dolo

Il Tribunale di primo grado ha assolto l’imputato. La motivazione dei giudici si è basata su un elemento cruciale: al momento della richiesta, l’ordine di esecuzione della pena non era stato ancora notificato all’interessato. L’imputato, quindi, non poteva essere a conoscenza della sua nuova condizione giuridica.

Il Tribunale ha inoltre valorizzato altre due circostanze a favore dell’imputato:
1. Era già in possesso di un documento valido per l’espatrio.
2. Tale documento gli era stato rilasciato in passato mentre stava già scontando una pena detentiva, un fatto che poteva averlo indotto in errore sulla rilevanza di eventuali condanne ai fini del rinnovo del documento.

In sostanza, il giudice ha ritenuto che l’imputato fosse in buona fede e che mancasse l’elemento soggettivo del reato, ovvero la coscienza e volontà di dichiarare il falso (il cosiddetto “dolo”).

Il Ricorso del Pubblico Ministero e la questione della falsa attestazione

Il Procuratore Generale ha impugnato la sentenza di assoluzione direttamente in Cassazione, sostenendo che per il reato di falsa attestazione sia sufficiente il “dolo generico”. Secondo l’accusa, non sarebbe rilevante il fine ultimo del dichiarante (ad esempio, fuggire all’estero), ma basterebbe la semplice consapevolezza di fare una dichiarazione non veritiera. Il ricorso, tuttavia, non ha convinto i giudici della Suprema Corte.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in via definitiva l’assoluzione. I giudici hanno sottolineato che, sebbene sia vero che per il reato in questione basti il dolo generico, questo presuppone comunque la “coscienza e volontà” della condotta. Nel caso specifico, il Tribunale aveva accertato in modo logico e ben motivato che l’imputato non era a conoscenza della circostanza che rendeva falsa la sua dichiarazione.

La Suprema Corte ha chiarito che il ricorso del Pubblico Ministero era astratto e generico: si limitava a enunciare un principio di diritto senza confrontarsi con il nucleo della decisione impugnata, ovvero l’accertamento della mancanza di conoscenza fattuale da parte dell’imputato. Per ribaltare l’assoluzione, l’accusa avrebbe dovuto fornire elementi concreti da cui desumere che l’imputato fosse consapevole dell’ordine di esecuzione a suo carico, cosa che non è avvenuta.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio cardine del diritto penale: nullum crimen sine culpa (nessun reato senza colpevolezza). Per essere condannati per falsa attestazione, non è sufficiente che una dichiarazione sia oggettivamente falsa; è indispensabile che la Procura dimostri che il soggetto ha agito con la consapevolezza di mentire. La mancata notifica di un provvedimento restrittivo, come un ordine di esecuzione, è un ostacolo insormontabile per dimostrare la sussistenza del dolo e, di conseguenza, del reato stesso. La decisione offre quindi una tutela importante al cittadino in buona fede che, senza sua colpa, ignora una condizione giuridica a suo carico.

Si può essere condannati per falsa attestazione se non si sa di mentire?
No, secondo la sentenza, per integrare il reato è necessaria la coscienza e volontà della condotta. Se una persona non è a conoscenza della situazione che rende la sua dichiarazione falsa (nel caso specifico, un ordine di esecuzione non ancora notificato), manca l’elemento soggettivo del reato (il dolo) e non può essere condannata.

Per il reato di falsa attestazione è richiesto un fine specifico, come quello di espatriare per fuggire alla giustizia?
No, il reato di cui all’art. 495 c.p. richiede solo il “dolo generico”, cioè la consapevolezza di dichiarare il falso. Non è necessario dimostrare che l’autore avesse uno scopo ulteriore, ma la consapevolezza di mentire rimane un requisito indispensabile.

Perché il ricorso del Pubblico Ministero è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché generico e astratto. Non ha contestato in modo specifico e con elementi concreti il ragionamento del Tribunale, che aveva logicamente escluso la consapevolezza dell’imputato. In pratica, il PM si è limitato a riaffermare un principio di diritto senza confrontarsi con la valutazione dei fatti che aveva escluso il dolo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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