Falsa attestazione a pubblico ufficiale: la Cassazione conferma la condanna
Il reato di falsa attestazione a pubblico ufficiale, previsto dall’articolo 495 del codice penale, è una questione delicata che tocca il rapporto di fiducia tra cittadino e istituzioni. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui limiti di tale condotta e sull’impossibilità di invocarne la lieve entità in presenza di comportamenti recidivanti. Analizziamo insieme la vicenda e le conclusioni dei giudici.
I Fatti di Causa
Il caso ha origine dal ricorso presentato da un uomo condannato dalla Corte di Appello di Napoli per il reato di falsa attestazione. L’imputato, durante un controllo, aveva fornito le proprie generalità in modo volutamente incompleto. Questa azione aveva costretto gli agenti operanti a svolgere ulteriori accertamenti, consultando la banca dati della Motorizzazione per confrontare la foto della patente con il volto del soggetto e risalire così alla sua esatta identità.
Contro la sentenza di condanna, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. In particolare, contestava l’affermazione della sua responsabilità penale e la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’articolo 131-bis del codice penale.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la decisione dei giudici di merito. I giudici di legittimità hanno ribadito che il loro compito non è quello di riesaminare i fatti e le prove, ma di verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata. Tentare di ottenere una “rilettura” degli elementi di fatto, come ha fatto il ricorrente, è un’attività preclusa in sede di legittimità.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha ritenuto il motivo di ricorso manifestamente infondato sotto un duplice profilo. In primo luogo, riguardo alla configurabilità del reato, i giudici hanno confermato che la condotta dell’imputato, consistita nel fornire generalità incomplete per ostacolare la propria identificazione, integra pienamente il delitto di falsa attestazione a pubblico ufficiale. Il comportamento ha reso necessario un intervento aggiuntivo da parte degli agenti, dimostrando l’intento elusivo dell’imputato.
In secondo luogo, e con particolare rilevanza, la Corte ha affrontato la questione della non punibilità per particolare tenuità del fatto. I giudici hanno sottolineato come la Corte territoriale avesse correttamente escluso questa possibilità. La motivazione risiede nel fatto che l’imputato aveva già posto in essere la medesima condotta mendace in ben due occasioni precedenti. Tale reiterazione dimostra una “totale assenza di resipiscenza” e una tendenza a delinquere che è del tutto incompatibile con il carattere di particolare tenuità richiesto dalla norma. La condotta, quindi, non poteva essere considerata un episodio isolato e di scarso rilievo.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame ribadisce due principi fondamentali. Il primo è che anche una dichiarazione incompleta, se finalizzata a ingannare il pubblico ufficiale sulla propria identità, costituisce reato. Non è necessario fornire generalità completamente false, ma è sufficiente un comportamento reticente e ostruzionistico.
Il secondo principio, ancora più importante, riguarda l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non è un beneficio automatico. La sua concessione dipende da una valutazione complessiva della condotta e della personalità dell’autore del reato. Come chiarito dalla Cassazione, una storia di comportamenti analoghi è un elemento ostativo decisivo, in quanto indice di una consapevole e ripetuta violazione della legge che non merita di essere considerata di lieve entità. Questa decisione serve da monito: la lealtà e la correttezza nei confronti dei pubblici ufficiali sono un dovere, e le condotte elusive, specialmente se reiterate, vengono sanzionate con rigore.
Fornire generalità incomplete a un pubblico ufficiale costituisce reato?
Sì, secondo questa ordinanza, fornire deliberatamente generalità incomplete per ostacolare la propria identificazione integra il reato di falsa attestazione a un pubblico ufficiale previsto dall’art. 495 del codice penale.
Quando non si applica la non punibilità per particolare tenuità del fatto?
La non punibilità per particolare tenuità del fatto non si applica quando la condotta non è episodica. Nel caso specifico, l’imputato aveva già commesso lo stesso reato in due occasioni precedenti, dimostrando un’assenza di pentimento (resipiscenza) che rende la sua condotta non meritevole del beneficio.
La Corte di Cassazione può riesaminare le prove di un processo?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che il suo ruolo non è quello di effettuare una nuova valutazione dei fatti o delle prove (‘rilettura’), ma solo di controllare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36724 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36724 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/01/2025 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che NOME COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli che ha confermato la condanna dell’imputato per il reato di falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri di cui all’art. 495 cod. pen.;
Considerato che il primo ed unico motivo di ricorso, che denunzia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione della penale responsabilità del ricorrente e alla mancata applicazione dell’art. 131 bis cod. pen., non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché tende ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito. Esula, infatti, dai po della Corte di cassazione quello di una ‘rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (pe tutte: Sez. U, n. 6402, del 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944);
Ritenuto che il suddetto motivo è, altresì, manifestamente infondato in quanto prospetta enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità. In particolare, in riferimento alla prima censura, la Corte territoriale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha affermato la penale responsabilità dell’imputato, avendo quest’ultimo fornito le sue generalità in modo incompleto al fine di ostacolare la propria identificazione, costringendo gli operanti a consultare la sezione RAGIONE_SOCIALE per un raffronto visivo del prevenuto con la foto ritratta sulla patente per risalire alla sua effettiva identità. Quanto all’invocata ca di non punibilità, il giudice ha sottolineato l’impossibilità di ritenere la condotta ricorrente connotata da particolare tenuità alla luce del fatto che lo stesso aveva posto in essere la suddetta condotta mendace in già ben due occasioni precedenti, dimostrando, pertanto, una totale assenza di resipiscenza;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 8 ottobre 2025
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