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Falsa attestazione a pubblico ufficiale: quando è reato

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per falsa attestazione a pubblico ufficiale. La Corte ha stabilito che fornire generalità incomplete per ostacolare l’identificazione integra il reato e che la presenza di precedenti condotte simili esclude l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

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Pubblicato il 23 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa attestazione a pubblico ufficiale: la Cassazione conferma la condanna

Il reato di falsa attestazione a pubblico ufficiale, previsto dall’articolo 495 del codice penale, è una questione delicata che tocca il rapporto di fiducia tra cittadino e istituzioni. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui limiti di tale condotta e sull’impossibilità di invocarne la lieve entità in presenza di comportamenti recidivanti. Analizziamo insieme la vicenda e le conclusioni dei giudici.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dal ricorso presentato da un uomo condannato dalla Corte di Appello di Napoli per il reato di falsa attestazione. L’imputato, durante un controllo, aveva fornito le proprie generalità in modo volutamente incompleto. Questa azione aveva costretto gli agenti operanti a svolgere ulteriori accertamenti, consultando la banca dati della Motorizzazione per confrontare la foto della patente con il volto del soggetto e risalire così alla sua esatta identità.

Contro la sentenza di condanna, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. In particolare, contestava l’affermazione della sua responsabilità penale e la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’articolo 131-bis del codice penale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la decisione dei giudici di merito. I giudici di legittimità hanno ribadito che il loro compito non è quello di riesaminare i fatti e le prove, ma di verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata. Tentare di ottenere una “rilettura” degli elementi di fatto, come ha fatto il ricorrente, è un’attività preclusa in sede di legittimità.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ritenuto il motivo di ricorso manifestamente infondato sotto un duplice profilo. In primo luogo, riguardo alla configurabilità del reato, i giudici hanno confermato che la condotta dell’imputato, consistita nel fornire generalità incomplete per ostacolare la propria identificazione, integra pienamente il delitto di falsa attestazione a pubblico ufficiale. Il comportamento ha reso necessario un intervento aggiuntivo da parte degli agenti, dimostrando l’intento elusivo dell’imputato.

In secondo luogo, e con particolare rilevanza, la Corte ha affrontato la questione della non punibilità per particolare tenuità del fatto. I giudici hanno sottolineato come la Corte territoriale avesse correttamente escluso questa possibilità. La motivazione risiede nel fatto che l’imputato aveva già posto in essere la medesima condotta mendace in ben due occasioni precedenti. Tale reiterazione dimostra una “totale assenza di resipiscenza” e una tendenza a delinquere che è del tutto incompatibile con il carattere di particolare tenuità richiesto dalla norma. La condotta, quindi, non poteva essere considerata un episodio isolato e di scarso rilievo.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in esame ribadisce due principi fondamentali. Il primo è che anche una dichiarazione incompleta, se finalizzata a ingannare il pubblico ufficiale sulla propria identità, costituisce reato. Non è necessario fornire generalità completamente false, ma è sufficiente un comportamento reticente e ostruzionistico.

Il secondo principio, ancora più importante, riguarda l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non è un beneficio automatico. La sua concessione dipende da una valutazione complessiva della condotta e della personalità dell’autore del reato. Come chiarito dalla Cassazione, una storia di comportamenti analoghi è un elemento ostativo decisivo, in quanto indice di una consapevole e ripetuta violazione della legge che non merita di essere considerata di lieve entità. Questa decisione serve da monito: la lealtà e la correttezza nei confronti dei pubblici ufficiali sono un dovere, e le condotte elusive, specialmente se reiterate, vengono sanzionate con rigore.

Fornire generalità incomplete a un pubblico ufficiale costituisce reato?
Sì, secondo questa ordinanza, fornire deliberatamente generalità incomplete per ostacolare la propria identificazione integra il reato di falsa attestazione a un pubblico ufficiale previsto dall’art. 495 del codice penale.

Quando non si applica la non punibilità per particolare tenuità del fatto?
La non punibilità per particolare tenuità del fatto non si applica quando la condotta non è episodica. Nel caso specifico, l’imputato aveva già commesso lo stesso reato in due occasioni precedenti, dimostrando un’assenza di pentimento (resipiscenza) che rende la sua condotta non meritevole del beneficio.

La Corte di Cassazione può riesaminare le prove di un processo?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che il suo ruolo non è quello di effettuare una nuova valutazione dei fatti o delle prove (‘rilettura’), ma solo di controllare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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