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Falsa attestazione a pubblico ufficiale: la Cassazione

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un individuo condannato per falsa attestazione a pubblico ufficiale. L’imputato aveva insistentemente dichiarato false generalità alla polizia. La Corte ha ritenuto provati sia la condotta che il dolo, data la sua ostinazione e il comportamento processuale.

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Pubblicato il 23 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa Attestazione a Pubblico Ufficiale: la Perseveranza nell’Errore Costa Caro

Mentire sulla propria identità a un agente di polizia è un reato. Ma cosa succede se si insiste nella menzogna anche di fronte all’evidenza? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come la perseveranza nella falsa attestazione a pubblico ufficiale sia sufficiente a dimostrare non solo la condotta illecita, ma anche l’intenzione di commetterla (dolo), rendendo la condanna inevitabile. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Durante un controllo di polizia, un individuo veniva fermato e richiesto di fornire le proprie generalità. L’uomo esibiva un documento, ma gli agenti notavano immediatamente una palese discordanza tra la fotografia e i suoi tratti somatici. Nonostante gli venisse contestata questa incongruenza, l’uomo insisteva nel dichiarare il nome falso riportato sul documento. A seguito di ciò, veniva processato e condannato sia in primo grado che in appello per il delitto di falsa attestazione a pubblico ufficiale, previsto dall’art. 495 del codice penale.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato decideva di ricorrere alla Corte di Cassazione, basando la sua difesa su tre motivi principali:

1. Insussistenza del fatto: Sosteneva che la sua condotta non rientrasse tra quelle previste dalla norma, ovvero il ‘dichiarare’ o ‘attestare’ falsamente.
2. Mancanza di dolo: Affermava l’assenza dell’elemento soggettivo, cioè la volontà cosciente di mentire al pubblico ufficiale.
3. Mancata concessione delle attenuanti generiche: Lamentava il fatto che i giudici di merito non gli avessero riconosciuto le circostanze che avrebbero potuto portare a una riduzione della pena.

L’Analisi della Corte sulla Falsa Attestazione

La Corte di Cassazione ha respinto con forza i primi due motivi di ricorso, ritenendoli manifestamente infondati. I giudici hanno sottolineato come la condotta dell’imputato fosse stata chiara e inequivocabile. L’insistenza nel dichiarare un nome falso, anche dopo essere stato messo di fronte alla non corrispondenza della foto, costituiva una prova lampante sia dell’azione materiale del reato sia della piena volontà di compierlo. La ricostruzione dei giudici di merito è stata definita ‘chiara ed esaustiva’.

La Questione delle Attenuanti Generiche

Anche il terzo motivo è stato dichiarato inammissibile. La Cassazione ha ricordato che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma di controllare la corretta applicazione della legge (giudizio di legittimità). La Corte d’Appello aveva fornito una motivazione logica e conforme ai principi di legge (artt. 132 e 133 c.p.) per negare le attenuanti. Pertanto, una semplice deduzione contraria da parte del ricorrente, senza un confronto reale con le motivazioni della sentenza impugnata, non è sufficiente per ottenere una revisione in sede di legittimità.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione centrale della Suprema Corte risiede nella valorizzazione del comportamento dell’imputato. L’insistenza nella falsa dichiarazione, unita alla sua ‘mancata resipiscenza’ (cioè la mancanza di pentimento) e al suo comportamento processuale, sono stati considerati elementi sufficienti per confermare senza ombra di dubbio la sussistenza del reato e del dolo. La Corte ha ribadito che, una volta che la decisione dei giudici di merito è adeguatamente motivata e logicamente coerente, non vi è spazio per una rivalutazione nel giudizio di Cassazione, specialmente per quanto riguarda le circostanze attenuanti.

Conclusioni

Questa ordinanza offre due importanti spunti di riflessione. In primo luogo, consolida il principio secondo cui la falsa attestazione a pubblico ufficiale è un reato che si perfeziona con la semplice dichiarazione mendace e ostinata, che di per sé dimostra la volontà colpevole del soggetto. In secondo luogo, ribadisce i limiti stringenti del ricorso in Cassazione: non è una terza istanza di giudizio sui fatti, ma un controllo di legalità. Le valutazioni discrezionali del giudice di merito, come la concessione delle attenuanti, se correttamente motivate, sono insindacabili.

Quando si configura il reato di falsa attestazione a un pubblico ufficiale?
Secondo questa ordinanza, il reato si configura quando una persona dichiara o attesta falsamente la propria identità a un pubblico ufficiale. L’insistenza nel mantenere la dichiarazione falsa, anche dopo essere stati contestati dagli agenti, è una prova sufficiente sia della condotta materiale che dell’intenzione colpevole (dolo).

La mancanza di pentimento (resipiscenza) ha valore nel processo penale?
Sì. Nel caso specifico, la Corte ha considerato la mancata resipiscenza e il comportamento processuale dell’imputato come elementi che confermavano la sua volontà di commettere il reato, rafforzando quindi la valutazione sulla sussistenza del dolo.

È possibile contestare in Cassazione la mancata concessione delle attenuanti generiche?
Generalmente no, se il motivo del ricorso si basa su una semplice riconsiderazione dei fatti. La Corte di Cassazione può intervenire solo se la motivazione del giudice di merito è manifestamente illogica, contraddittoria o viola una specifica norma di legge, non perché l’imputato non condivide la valutazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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