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Facoltà di astensione: quando non si applica ai parenti

Un uomo, condannato per falsa testimonianza, ha contestato l’uso delle dichiarazioni della moglie e della figlia, sostenendo che non fossero state avvisate della facoltà di astensione. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che tale diritto non sussiste se, al momento della testimonianza, il congiunto è parte lesa (vittima) in quel procedimento e non ha ancora assunto la qualità di indagato. La testimonianza della moglie, resa prima che sorgessero sospetti a carico del marito, è stata ritenuta decisiva e pienamente utilizzabile.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Facoltà di astensione dei parenti: una tutela con precisi limiti

La facoltà di astensione dal testimoniare è una delle garanzie fondamentali del nostro ordinamento processuale, volta a proteggere i legami familiari da conflitti insanabili. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e dipende strettamente dalla posizione processuale assunta dal congiunto. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 36053/2025) offre un chiarimento cruciale su questo punto, analizzando un caso di falsa testimonianza in cui le dichiarazioni dei familiari sono state decisive.

I fatti del caso

Un uomo veniva condannato per il reato di falsa testimonianza (art. 372 c.p.) sulla base delle dichiarazioni rese dalla moglie e dalla figlia. L’uomo proponeva ricorso per cassazione, sostenendo una violazione dell’art. 199 del codice di procedura penale. A suo dire, le sue familiari avrebbero dovuto essere avvisate della facoltà di astenersi dal deporre, in quanto egli aveva già acquisito la qualità sostanziale di indagato nel momento in cui esse furono sentite come testimoni. Il ricorso mirava a far dichiarare inutilizzabili tali testimonianze, pilastri dell’accusa contro di lui.

La questione giuridica: quando scatta la facoltà di astensione?

Il cuore della controversia legale ruota attorno a una domanda precisa: quando nasce il diritto di un parente di non testimoniare? La difesa sosteneva che tale diritto sorgesse nel momento in cui emergevano i primi sospetti, anche prima di una formale iscrizione nel registro degli indagati. La Procura, invece, riteneva le testimonianze valide, sottolineando che, al momento della deposizione, l’uomo non era indagato ma, al contrario, era la persona offesa in un diverso procedimento per estorsione, nel quale le sue familiari erano state chiamate a testimoniare.

Le motivazioni della Corte di Cassazione sulla facoltà di astensione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, fornendo una motivazione chiara e lineare. I giudici hanno ribadito un principio cardine: la facoltà di astensione è riconosciuta dall’art. 199 c.p.p. esclusivamente ai prossimi congiunti di una persona che riveste formalmente la qualità di ‘imputato’ o ‘indagato’.

Nel caso specifico, la Corte ha evidenziato due punti cruciali:

1. Lo status processuale al momento della testimonianza: Al momento in cui la moglie e la figlia hanno reso le loro dichiarazioni, il ricorrente non era né indagato né imputato per il reato di falsa testimonianza. Anzi, in quel procedimento egli figurava come vittima di un reato di estorsione. Pertanto, i suoi familiari non avevano alcun diritto di astenersi, ma erano obbligati a deporre come qualsiasi altro testimone.

2. La sequenza temporale: La Corte ha sottolineato che, in particolare, la testimonianza della moglie era stata resa prima ancora che il ricorrente stesso fosse sentito. In quella fase, non esisteva alcun elemento indiziario a suo carico che potesse configurare uno status di ‘indagato di fatto’. La richiesta del Pubblico Ministero di procedere nei suoi confronti per falsa testimonianza è arrivata solo in un momento successivo.

Inoltre, i giudici hanno ritenuto che le sole dichiarazioni della moglie fossero già di per sé sufficienti a fondare il giudizio di colpevolezza, rendendo irrilevante ogni ulteriore discussione sulla testimonianza della figlia.

Conclusioni

La sentenza riafferma con forza che la tutela offerta dalla facoltà di astensione è ancorata a uno status processuale formale e non a meri sospetti o a situazioni di fatto. Per poter beneficiare di tale diritto, è necessario che il congiunto sia già formalmente indagato o imputato nel momento in cui il familiare viene chiamato a testimoniare. Questa pronuncia è di fondamentale importanza perché delimita con precisione l’ambito di applicazione di una garanzia processuale, impedendone un’interpretazione estensiva che potrebbe ostacolare l’accertamento della verità.

I parenti di una persona hanno sempre il diritto di non testimoniare?
No. La facoltà di astensione, prevista dall’art. 199 c.p.p., spetta solo ai prossimi congiunti di una persona che ha già la qualità formale di imputato o indagato. Se al momento della deposizione il congiunto è semplicemente testimone o persona offesa, i suoi parenti sono obbligati a testimoniare.

Perché in questo caso le testimonianze della moglie e della figlia sono state ritenute valide?
Perché al momento in cui hanno testimoniato, il loro congiunto non era indagato per falsa testimonianza, ma era la vittima in un procedimento per estorsione. Di conseguenza, non sussisteva il presupposto legale per applicare la facoltà di astensione.

Cosa ha stabilito la Corte riguardo al momento in cui una persona diventa ‘indagato’?
La Corte ha chiarito che lo status di indagato non deriva da un mero sospetto, ma da un atto formale dell’autorità giudiziaria. Nel caso di specie, la qualità di indagato è sorta solo dopo la testimonianza dei familiari, a seguito della richiesta del Pubblico Ministero di procedere nei suoi confronti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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