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Evasione domiciliare: ogni allontanamento è reato

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10774/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato per il reato di evasione domiciliare. La Corte ha ribadito che, nel caso di esecuzione della pena presso il domicilio ai sensi della L. 199/2010, qualsiasi allontanamento, indipendentemente dalla sua durata, configura il reato. Non trova applicazione la norma che esclude la punibilità per assenze inferiori alle dodici ore.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Evasione domiciliare: anche l’assenza breve è reato

L’evasione domiciliare rappresenta una questione delicata nel panorama del diritto penale, con implicazioni significative per chi sconta una pena al di fuori del carcere. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 10774 del 2024, ha fornito un chiarimento cruciale su quando un allontanamento dall’abitazione si trasforma in reato, confermando un orientamento giuridico consolidato e severo. La Suprema Corte ha stabilito che, per una specifica forma di esecuzione della pena a casa, qualsiasi violazione delle prescrizioni, a prescindere dalla durata, integra il delitto di evasione.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato dalla Corte riguarda un individuo condannato per il reato di evasione. La persona si trovava in regime di esecuzione domiciliare della pena, una misura prevista dalla legge n. 199 del 2010. Dopo essere stato condannato anche dalla Corte d’Appello di Bologna, l’imputato ha presentato ricorso per Cassazione, basandolo su due motivi principali. In primo luogo, sosteneva che il suo breve allontanamento non avrebbe dovuto essere considerato reato, invocando una norma (l’art. 47-sexies della legge sull’ordinamento penitenziario) che limita la punibilità ai soli allontanamenti che superano le dodici ore. In secondo luogo, lamentava la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’articolo 131-bis del codice penale.

La Decisione della Corte sull’evasione domiciliare

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La decisione si è articolata nell’analisi separata dei due motivi proposti dal ricorrente, giungendo a conclusioni nette per entrambi.

Il Primo Motivo: Durata dell’Allontanamento e Reato di Evasione

La Corte ha definito il primo motivo ‘manifestamente infondato’. Ha chiarito che l’orientamento giurisprudenziale è solido nel considerare reato qualsiasi allontanamento non autorizzato dall’abitazione per chi è sottoposto alla misura dell’esecuzione domiciliare della pena detentiva ai sensi della legge n. 199/2010. La norma invocata dalla difesa, che introduce una soglia di dodici ore, si applica a una diversa misura (la detenzione domiciliare prevista dalla legge sull’ordinamento penitenziario) e non a quella specifica in questione. Pertanto, la durata dell’assenza è irrilevante: anche un allontanamento di pochi minuti è sufficiente per configurare il reato di evasione domiciliare.

Il Secondo Motivo: La Particolare Tenuità del Fatto

Per quanto riguarda la richiesta di applicare l’art. 131-bis c.p., la Corte ha dichiarato il motivo ‘inammissibile’. La ragione è puramente processuale: la questione della particolare tenuità del fatto non era stata sollevata nel precedente grado di giudizio, ossia davanti alla Corte d’Appello. È un principio fondamentale del nostro sistema giudiziario che non si possano introdurre per la prima volta in Cassazione questioni che non sono state precedentemente sottoposte al giudice del merito.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della Corte si fonda su una distinzione netta tra le diverse forme di detenzione presso il domicilio previste dall’ordinamento. La misura applicata al ricorrente (ex L. 199/2010) ha natura e finalità diverse da quella regolata dall’art. 47-sexies L. 354/1975. Di conseguenza, le relative discipline non sono intercambiabili. Per la prima, il legislatore ha previsto un regime più rigoroso, dove il legame con il luogo di detenzione è assoluto e ogni violazione è sanzionata penalmente. La logica è quella di assicurare che la pena, sebbene scontata fuori dal carcere, mantenga la sua effettiva funzione restrittiva.
La decisione sull’inammissibilità del secondo motivo, invece, riafferma un principio cardine del processo penale: il divieto di ‘nova’ in Cassazione. La Suprema Corte è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge da parte dei giudici dei gradi inferiori, sulla base delle questioni che sono state loro devolute. Introdurre un nuovo tema in sede di legittimità significherebbe alterare la natura stessa del giudizio.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un importante principio in materia di evasione domiciliare. Chi beneficia dell’esecuzione della pena presso il proprio domicilio deve essere consapevole che qualsiasi allontanamento non autorizzato, anche di minima durata, costituisce reato. Non è possibile invocare la soglia di non punibilità delle dodici ore prevista per altre misure. Inoltre, la pronuncia sottolinea l’importanza di una corretta strategia processuale: tutte le questioni, inclusa l’eventuale tenuità del fatto, devono essere sollevate tempestivamente nei gradi di merito, pena l’impossibilità di farle valere davanti alla Corte di Cassazione.

Chi è in esecuzione domiciliare della pena commette reato di evasione se si allontana per pochi minuti?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, per la specifica misura dell’esecuzione domiciliare prevista dalla legge n. 199/2010, qualsiasi allontanamento dall’abitazione, a prescindere dalla sua durata, integra il reato di evasione.

La regola che punisce l’allontanamento solo se superiore a dodici ore si applica sempre alla detenzione domiciliare?
No. La sentenza chiarisce che la previsione dell’art. 47-sexies, comma 2, della legge n. 354/1975, che limita la punibilità ai soli allontanamenti superiori alle dodici ore, non si applica all’esecuzione domiciliare della pena detentiva regolata dalla legge n. 199/2010.

È possibile chiedere per la prima volta in Cassazione l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.)?
No. La Corte ha dichiarato inammissibile tale richiesta perché la questione non era stata sollevata nel precedente grado di giudizio (appello). È un principio processuale che non si possano presentare motivi di ricorso ‘nuovi’ in Cassazione, i quali non siano stati oggetto del precedente dibattito processuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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