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Evasione domiciliare: non rispondere al citofono basta?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26494/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un uomo condannato per evasione domiciliare per non aver risposto al citofono e alla porta durante un controllo di polizia. Secondo la Corte, la mancata risposta a tentativi di contatto ripetuti e insistenti per un tempo prolungato è sufficiente per presumere legittimamente l’allontanamento dal luogo di detenzione, rendendo la giustificazione di non aver sentito il campanello una mera congettura non in grado di far sorgere un ragionevole dubbio.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Evasione Domiciliare: La Cassazione chiarisce quando il silenzio vale come fuga

L’evasione domiciliare è un reato che si configura quando una persona sottoposta agli arresti domiciliari si allontana dal luogo di detenzione senza autorizzazione. Ma cosa succede se la persona è fisicamente in casa ma non risponde ai controlli delle forze dell’ordine? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo punto, stabilendo che la mancata risposta a un controllo insistente può essere sufficiente per una condanna.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo sottoposto alla misura degli arresti domiciliari. Durante un controllo notturno, gli agenti di polizia si sono recati presso la sua abitazione e hanno suonato ripetutamente il campanello per un arco temporale di circa dieci minuti, bussando anche con le mani sulla porta d’ingresso. Non ricevendo alcuna risposta, hanno dedotto che l’uomo non fosse in casa, procedendo quindi a denunciarlo per il reato di evasione.

L’imputato si è difeso sostenendo di essere sempre stato all’interno dell’appartamento ma di non aver sentito né il citofono né i colpi sulla porta. Tale versione, tuttavia, non ha convinto né il tribunale di primo grado né la Corte d’Appello, che hanno confermato la condanna.

La Decisione della Corte sull’evasione domiciliare

L’imputato ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, ma i giudici supremi lo hanno dichiarato inammissibile. La Corte ha ritenuto che i motivi del ricorso fossero generici e semplici riproposizioni di argomenti già correttamente valutati e respinti nei precedenti gradi di giudizio.

La presunzione di assenza e l’onere della prova

Il punto centrale della decisione riguarda la prova dell’allontanamento. La Cassazione ha confermato l’orientamento secondo cui, in tema di evasione domiciliare, l’assenza dell’imputato può essere legittimamente desunta dalla sua mancata risposta a un controllo effettuato con modalità insistenti e per un tempo consistente. In pratica, se la Polizia Giudiziaria cerca di contattare il detenuto in modo così evidente da richiamare l’attenzione (come suonare per dieci minuti e bussare forte), il suo silenzio diventa un forte indizio della sua assenza.

La Recidiva Reiterata

La Corte ha inoltre rigettato il motivo di ricorso relativo alla recidiva. I giudici hanno confermato la valutazione della Corte d’Appello, che aveva ritenuto sussistente l’aggravante della recidiva reiterata e infraquinquennale basandosi sui numerosi precedenti penali a carico dell’imputato, indicativi di una chiara progressione nella sua condotta criminale.

Le Motivazioni della Cassazione

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio giuridico consolidato. I giudici hanno ribadito che il dubbio che può portare a un’assoluzione, secondo l’articolo 533 del codice di procedura penale, deve essere “ragionevole” e non basato su un’ipotesi “del tutto congetturale, seppure plausibile”. La scusa di non aver sentito il campanello, a fronte di un’azione di controllo così prolungata e rumorosa, è stata considerata proprio una mera congettura.

Citando precedenti sentenze (come la n. 1071/2016 e la n. 5602/2021), la Cassazione ha spiegato che la condotta omissiva dell’imputato (il non rispondere) è un elemento sufficiente per provare il dolo, ossia la volontà di sottrarsi al controllo e quindi di violare le prescrizioni della misura cautelare. Non è necessario che le forze dell’ordine abbiano la prova certa e visiva dell’allontanamento; è sufficiente una deduzione logica basata su elementi oggettivi e inequivocabili.

Conclusioni: Cosa Implica questa Ordinanza?

Questa pronuncia rafforza un principio fondamentale per chi è sottoposto agli arresti domiciliari: l’obbligo di essere costantemente reperibile e di rendersi disponibile ai controlli delle autorità. L’ordinanza chiarisce che la semplice presenza fisica all’interno delle mura domestiche non basta per adempiere agli obblighi imposti dalla misura.

Le implicazioni pratiche sono significative:
1. Dovere di diligenza: La persona agli arresti domiciliari ha il dovere di assicurarsi che i sistemi di comunicazione (campanello, citofono) siano funzionanti e di essere in condizione di rispondere prontamente.
2. Valore probatorio del silenzio: Il silenzio di fronte a un controllo insistente non viene interpretato come una semplice disattenzione, ma come un elemento probatorio a carico dell’imputato, idoneo a fondare una condanna per evasione domiciliare.
3. Limite al ragionevole dubbio: La giustificazione di non aver sentito deve essere supportata da elementi concreti per essere credibile e non può basarsi su una mera affermazione, specialmente quando le modalità del controllo la rendono altamente improbabile.

È possibile essere condannati per evasione domiciliare anche se ci si trova in casa?
Sì, secondo la Corte di Cassazione è possibile. Se una persona agli arresti domiciliari non risponde ai ripetuti e insistenti tentativi di contatto da parte delle forze dell’ordine per un lasso di tempo consistente, la sua assenza può essere legittimamente presunta, integrando il reato di evasione.

La scusa di non aver sentito il campanello è valida per evitare una condanna per evasione?
No, in questo caso non è stata ritenuta valida. La Corte ha stabilito che, di fronte a modalità di controllo insistenti (suonare il campanello ripetutamente per dieci minuti e bussare alla porta), la giustificazione di non aver sentito diventa un’ipotesi puramente congetturale e non un dubbio ragionevole in grado di escludere la colpevolezza.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte di Cassazione non esamina il caso nel merito. La condanna precedente diventa definitiva e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, come avvenuto in questo caso con una somma di tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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