Evasione dagli Arresti Domiciliari: Anche Uscire Fuori Orario è Reato
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di evasione arresti domiciliari. Allontanarsi dalla propria abitazione in orari e giorni diversi da quelli specificamente autorizzati dal giudice non è una semplice trasgressione, ma integra a tutti gli effetti il grave reato di evasione previsto dall’articolo 385 del codice penale. Analizziamo insieme questa importante decisione per capire le sue implicazioni pratiche.
Il caso in esame
Il caso riguarda una persona condannata in primo e secondo grado per il reato di evasione. La persona, sottoposta alla misura cautelare degli arresti domiciliari, si era allontanata dal proprio domicilio in momenti non coperti dall’autorizzazione del giudice. Contro la sentenza della Corte d’Appello, l’imputata ha proposto ricorso per Cassazione, sollevando due questioni principali: un vizio procedurale relativo alla presunta incompatibilità di un giudice e una contestazione sulla qualificazione giuridica del fatto, sostenendo che si trattasse di una mera violazione delle prescrizioni e non di evasione.
I motivi del ricorso e l’evasione arresti domiciliari
Il ricorso si fondava essenzialmente su due argomentazioni.
La presunta incompatibilità del giudice
La difesa sosteneva un vizio nella sentenza d’appello a causa di una presunta causa di incompatibilità, ai sensi dell’art. 34 del codice di procedura penale. Secondo la ricorrente, ciò avrebbe dovuto portare alla nullità della sentenza.
La qualificazione del fatto
Il punto centrale del ricorso riguardava la natura della condotta. La difesa argomentava che l’allontanamento temporaneo in orari non consentiti non configurasse il delitto di evasione arresti domiciliari, ma piuttosto una trasgressione alle prescrizioni imposte, sanzionabile in modo meno grave secondo l’art. 276 del codice di procedura penale.
La decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le argomentazioni della difesa e confermando la condanna.
Per quanto riguarda il primo motivo, la Corte ha chiarito che l’eventuale incompatibilità di un giudice deve essere fatta valere attraverso lo strumento specifico della ricusazione. Se non viene tempestivamente sollevata con tale istanza, non può essere dedotta successivamente come causa di nullità della sentenza, in quanto non incide sulla capacità del giudice di decidere.
Sul punto cruciale, la Corte ha stabilito con fermezza che l’allontanamento dal luogo di detenzione domiciliare in un arco temporale inconciliabile con la fascia oraria autorizzata integra pienamente il reato di evasione (art. 385 c.p.). Non si tratta di una semplice inosservanza di una prescrizione, ma di un vero e proprio venir meno al vincolo custodiale imposto dal giudice.
Le motivazioni della decisione
La motivazione della Corte si basa su un consolidato orientamento giurisprudenziale. La misura degli arresti domiciliari impone un obbligo continuo di permanenza nel luogo indicato. Le autorizzazioni ad assentarsi per specifiche esigenze (lavoro, salute, etc.) costituiscono delle eccezioni a questa regola generale. Allontanarsi al di fuori di queste finestre temporali autorizzate significa eludere la misura cautelare, ovvero evadere. La condotta è quindi correttamente qualificata come reato ai sensi dell’art. 385 c.p. perché interrompe il controllo dell’autorità giudiziaria sulla persona sottoposta a misura. Differente è il caso della violazione di altre prescrizioni, come ad esempio il divieto di comunicare con determinate persone, che pur essendo una violazione, non integra il reato di evasione ma può portare a un aggravamento della misura cautelare.
Conclusioni e implicazioni pratiche
Questa ordinanza della Cassazione serve come un monito importante per chi è sottoposto agli arresti domiciliari. La decisione chiarisce senza ombra di dubbio che la libertà di movimento è strettamente limitata alle sole fasce orarie autorizzate. Qualsiasi deviazione, anche se di breve durata, è considerata evasione arresti domiciliari, un reato autonomo che comporta conseguenze penali significative, inclusa una nuova condanna e il probabile aggravamento della misura in corso con la detenzione in carcere. Inoltre, la sentenza ribadisce l’importanza di utilizzare gli strumenti processuali corretti, come la ricusazione, per contestare eventuali irregolarità procedurali, che non possono essere recuperate in sede di impugnazione della sentenza.
Uscire di casa durante gli arresti domiciliari in un orario non autorizzato è reato di evasione?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che l’allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari in un arco temporale inconciliabile con la fascia oraria autorizzata costituisce a tutti gli effetti il reato di evasione previsto dall’art. 385 del codice penale.
Qual è la differenza tra evasione e semplice trasgressione alle prescrizioni degli arresti domiciliari?
L’evasione consiste nell’allontanarsi fisicamente dal luogo di detenzione senza autorizzazione, eludendo la custodia. Una trasgressione, invece, riguarda la violazione di altre prescrizioni (es. comunicare con persone non autorizzate) che non implicano l’allontanamento e sono sanzionabili ai sensi dell’art. 276 c.p.p., solitamente con un aggravamento della misura.
Come si deve contestare la presunta incompatibilità di un giudice in un processo penale?
Secondo la Corte, una presunta causa di incompatibilità di un giudice deve essere tempestivamente dedotta attraverso l’istituto della ricusazione. Se non si presenta questa specifica istanza nei tempi previsti, non si può successivamente eccepire la nullità della sentenza per tale motivo.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6175 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6175 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a CATANIA il 25/06/1981
avverso la sentenza del 08/04/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; dato avviso alle parti; esaminati i motivi del ricorso di COGNOME NOME;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che il ricorso – con il quale si eccepisce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla conferma della condanna in appello per il delitto di evasione dagli arresti domiciliari – deve essere dichiarato inammissibile in quanto i motivi dedotti, reiterativi delle doglianze formulate in appello, risultano manifestamente infondati. Invero, l’eventuale esistenza di cause di incompatibilità ex art. 34 cod. proc. pen. (peraltro nella specie inesistenti, atteso che il giudice persona fisica che ha emesso la sentenza di primo grado non fa parte del Collegio che si è pronunciato sull’appello), allorché non rilevata dal giudice con dichiarazione di astensione, né tempestivamente dedotta con istanza di ricusazione, non incide sulla capacità dello stesso e, conseguentemente, non è causa di nullità ai sensi dell’art. 178, comma primo, lett. a), cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 12550 del 01/03/2016, K., Rv. 267419 – 01).
Rilevato altresì che la sentenza impugnata ha ritenuto la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto contestato, correttamente rilevando come l’allontanamento dal luogo della restrizione domiciliare in orari e giorni diversi da quanto autorizzato costituisce condotta rientrante nel reato di cui all’art. 385 cod. pen. Infatti, integra il reato di evasione e non una trasgressione alle prescrizioni imposte, sanzionabile ex art. 276 cod. proc. pen., la condotta di chi, essendo sottoposto alla misura degli arresti domiciliari con autorizzazione ad assentarsi nel corso della giornata, si allontani dal luogo di detenzione in un arco temporale inconciliabile con la fascia oraria prefissata dall’autorità giudiziaria ne provvedimento cautelare (Sez. 6, n. 35681 del 30/05/2019, COGNOME, Rv. 276694 – 01).
Considerato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma – giudicata congrua – di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10/01/2025