Evasione Arresti Domiciliari: Tornare a Casa Non Basta per lo Sconto di Pena
L’evasione dagli arresti domiciliari è un reato che solleva questioni interpretative complesse, specialmente riguardo alle circostanze che possono mitigare la pena. Con la recente ordinanza n. 23346/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: il semplice rientro spontaneo nel luogo di detenzione domiciliare non è sufficiente per beneficiare della circostanza attenuante prevista dall’art. 385, comma quarto, del codice penale. Analizziamo questa importante decisione.
I Fatti del Caso
Il caso riguarda un individuo, sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, che si era allontanato senza autorizzazione dalla propria abitazione, commettendo così il reato di evasione. Successivamente, l’individuo aveva fatto rientro spontaneamente presso il medesimo domicilio. Condannato in primo e secondo grado, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo di aver diritto alla circostanza attenuante della cosiddetta “costituzione in carcere”, proprio in virtù del suo ritorno volontario.
La Decisione della Corte sull’Evasione Arresti Domiciliari
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione della Corte d’Appello di Palermo. I giudici supremi hanno ritenuto i motivi del ricorso generici e, soprattutto, infondati nel merito. La Corte ha ribadito la propria giurisprudenza consolidata, secondo cui l’attenuante in questione non può essere applicata in caso di semplice rientro a casa dopo un’evasione dagli arresti domiciliari.
Le Motivazioni
La motivazione della Corte si fonda su un’interpretazione rigorosa dell’art. 385, comma quarto, del codice penale. Questa norma prevede una diminuzione di pena se il colpevole, prima della condanna, “si costituisce in carcere”. Secondo la Cassazione, questa espressione ha un significato preciso e non può essere estesa per analogia a situazioni diverse.
Il legislatore ha inteso premiare un comportamento attivo che dimostri la volontà del soggetto di rimettersi completamente a disposizione dell’autorità giudiziaria, interrompendo lo stato di illegalità. Questo avviene in due modi:
1. Presentandosi spontaneamente presso un istituto carcerario.
2. Consegnandosi a un’autorità (es. Polizia, Carabinieri) che ha l’obbligo di tradurlo in carcere.
Il semplice ritorno al domicilio, sebbene spontaneo, non equivale a nessuna di queste due azioni. La persona, infatti, non si mette a piena disposizione dell’apparato carcerario, ma si limita a ripristinare la situazione precedente all’evasione. La Corte ha sottolineato che è indispensabile un atto che comporti la traduzione fisica del soggetto in un istituto di pena, un passo che il rientro a casa non implica.
Le Conclusioni
Questa pronuncia consolida un principio di diritto di notevole importanza pratica. Chi si trova agli arresti domiciliari deve essere consapevole che, in caso di evasione, il semplice “pentimento” manifestato con il ritorno a casa non è sufficiente per ottenere una riduzione della pena. La legge richiede un gesto più significativo: la consegna formale all’autorità giudiziaria o penitenziaria. La decisione serve a chiarire i confini dell’attenuante, evitando interpretazioni estensive che potrebbero indebolire la portata della misura cautelare e del reato di evasione.
Tornare a casa dopo un’evasione dagli arresti domiciliari dà diritto a uno sconto di pena?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che il semplice rientro nel domicilio dove si sconta la misura non è sufficiente per ottenere la circostanza attenuante prevista dalla legge, in quanto non equivale a costituirsi in carcere.
Cosa deve fare chi evade dagli arresti domiciliari per ottenere l’attenuante speciale?
Per beneficiare della circostanza attenuante, la persona evasa deve presentarsi spontaneamente presso un istituto carcerario oppure consegnarsi a un’autorità (come Polizia o Carabinieri) che abbia l’obbligo di tradurla in carcere.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché i motivi presentati erano generici e riproponevano censure già correttamente esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, la cui decisione si basava su un principio di diritto consolidato e correttamente applicato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23346 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23346 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/09/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; dato avviso alle parti; esaminati i motivi del ricorso di COGNOME NOME;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che i motivi dedotti avverso la sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 385 cod. pen. (evasione dagli arresti domiciliari), perché generici e riproduttivi di censure adeguatamente vagliate e disattese con corretti argomenti giuridici nella sentenza impugnata che, ai fini della non configurabilità della circostanza attenuante prevista dal comma 4 dell’art. 385 cod. pen. (costituzione dell’evaso in carcere) ha evidenziato che essa non risulta applicabile al caso del soggetto evaso dagli arresti domiciliari che faccia rientro al domicilio nel quale è applicata la misura. La Corte territoriale ha fatto quindi buon governo del principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale non è configurabile la circostanza attenuante di cui all’art. 385, comma quarto, cod. pen. nel caso in cui la persona evasa dalla detenzione domiciliare rientri spontaneamente nel luogo di esecuzione della misura da cui si era temporaneamente allontanata, essendo indispensabile che la stessa si presenti presso un istituto carcerario o si consegni ad un’autorità che abbia l’obbligo di tradurla in carcere (da ultimo, Sez. 6, n. 1560 del 27/10/2020 – dep. 2021, Pg. c. Monticciolo, Rv. 280479 – 01).
Considerato che all’inammissibilità dell’impugnazione segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, che si ritiene conforme a giustizia liquidare come in dispositivo.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 31 maggio 2024
Il C nsigliere rel tore
Il Presidente