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Evasione arresti domiciliari: la prova del reato

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un soggetto condannato per evasione dagli arresti domiciliari. La Corte conferma che il reato può essere provato dalla prolungata e reiterata mancata risposta al citofono e alla porta durante i controlli di polizia, poiché tale comportamento costituisce un solido indizio dell’assenza del detenuto. Viene inoltre respinta la richiesta di applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Evasione arresti domiciliari: la prova del reato

L’evasione dagli arresti domiciliari è un reato che si configura quando la persona sottoposta alla misura si allontana dal luogo di detenzione senza autorizzazione. Ma come si prova l’assenza, specialmente se l’interessato sostiene semplicemente di non aver sentito il citofono? Un’ordinanza della Corte di Cassazione fornisce chiarimenti cruciali, confermando che la mancata risposta reiterata e insistente ai controlli della polizia può costituire una prova sufficiente del reato.

Il caso: mancata risposta al controllo della Polizia

Un individuo sottoposto alla misura degli arresti domiciliari veniva condannato per evasione. La condanna si basava sul fatto che, durante un controllo pomeridiano (ore 19:30), il personale di Polizia Penitenziaria aveva ripetutamente suonato il campanello e bussato alla porta senza ricevere alcuna risposta. L’imputato, nel suo ricorso, sosteneva di non aver sentito i richiami e che, pertanto, non vi fosse prova della sua assenza.

I motivi del ricorso e la questione della prova nell’evasione arresti domiciliari

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due argomenti principali:

1. Insussistenza del delitto: A suo dire, la sola mancata risposta al citofono non poteva costituire prova certa e inconfutabile del suo allontanamento dal domicilio.
2. Particolare tenuità del fatto: In subordine, chiedeva l’applicazione dell’art. 131-bis c.p., sostenendo la scarsa offensività della condotta, presumibilmente legata a sue condizioni di salute.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile.

Le motivazioni

La Corte ha smontato entrambi i motivi di ricorso. Per quanto riguarda la prova dell’evasione dagli arresti domiciliari, i giudici hanno ribadito un principio consolidato in giurisprudenza: l’allontanamento può essere legittimamente desunto dalla mancata risposta al citofono quando i controlli sono effettuati con modalità insistenti (suonate ripetute, bussate alla porta) e per un lasso di tempo significativo. Tali circostanze, specialmente in orario diurno, rendono altamente improbabile che una persona presente in casa non si accorga del controllo. La condotta della Polizia, descritta come una ‘reiterazione ed efficacia del controllo’, è stata quindi ritenuta un elemento più che sufficiente a fondare la presunzione di assenza e, dunque, di evasione.

Sul secondo punto, relativo alla particolare tenuità del fatto, la Corte ha confermato la valutazione del giudice di merito. La Corte d’Appello aveva già escluso la scarsa offensività, sottolineando che l’imputato si era allontanato ‘proprio a causa delle sue condizioni di salute’, un elemento che però non giustificava la violazione delle prescrizioni né ne attenuava la gravità. Non sono emersi, infatti, altri elementi che potessero far propendere per la tenuità del fatto.

Le conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di controlli per chi si trova agli arresti domiciliari: ignorare deliberatamente o non essere in grado di rispondere ai controlli insistenti delle forze dell’ordine è un comportamento che può costare una condanna per evasione. La prova del reato non richiede necessariamente che l’imputato venga colto in flagrante fuori casa; può essere desunta logicamente da un insieme di indizi gravi, precisi e concordanti, come la prolungata e inspiegabile assenza di risposta. La decisione serve da monito sull’importanza di rispettare scrupolosamente le prescrizioni della detenzione domiciliare, evidenziando come le giustificazioni addotte, se non adeguatamente provate e autorizzate, non siano sufficienti a escludere la responsabilità penale.

La mancata risposta al citofono durante i controlli è sufficiente per provare il reato di evasione dagli arresti domiciliari?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, la mancata risposta può costituire prova del reato se il controllo delle forze dell’ordine è stato effettuato con modalità insistenti e ripetute (ad esempio, suonando il campanello e bussando alla porta) per un lasso di tempo rilevante, tali da richiamare l’attenzione di una persona presente nell’abitazione.

Perché la Corte non ha considerato l’allontanamento un fatto di ‘particolare tenuità’ non punibile ai sensi dell’art. 131-bis c.p.?
La Corte ha ritenuto che non vi fossero elementi per qualificare la condotta come di particolare tenuità. La motivazione dell’allontanamento, addotta dall’imputato come legata a ‘condizioni di salute’, non è stata considerata sufficiente a diminuire la gravità della violazione degli obblighi imposti dalla misura cautelare.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, la Corte di Cassazione non entra nel merito della questione. La conseguenza diretta per il ricorrente è la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende. La sentenza impugnata diventa così definitiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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