Evasione dagli Arresti Domiciliari: Non Rispondere al Controllo è Reato
Il tema dell’evasione arresti domiciliari è spesso al centro di dibattiti giuridici, specialmente riguardo a quali comportamenti specifici possano integrare questo reato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: la semplice mancata risposta ai controlli delle forze dell’ordine può essere sufficiente a far scattare una condanna. Analizziamo insieme questa importante decisione per comprendere le sue implicazioni pratiche.
Il caso in esame: Tre mancate risposte al controllo
Un individuo, sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, è stato condannato sia in primo grado che in appello per il reato di evasione. La condanna si basava sul fatto che, in tre distinte occasioni, l’uomo non aveva risposto agli agenti che si erano recati presso la sua abitazione per verificare la sua presenza.
Contro la sentenza della Corte d’Appello, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. A suo dire, la Corte non aveva adeguatamente giustificato la conferma della condanna.
Evasione Arresti Domiciliari: La decisione della Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la decisione dei giudici di merito. Vediamo nel dettaglio i punti salienti del ragionamento seguito.
La genericità del ricorso come motivo di inammissibilità
In primo luogo, la Cassazione ha evidenziato come i motivi del ricorso fossero espressi in modo generico. L’atto non si confrontava in modo specifico con le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata, ma si limitava a una critica non circostanziata. Un ricorso, per essere ammissibile, deve invece presentare una critica ragionata e precisa, permettendo al giudice di legittimità di comprendere esattamente quali aspetti della decisione precedente si contestano.
La prova dell’allontanamento dalla mancata risposta
Il cuore della decisione risiede nella conferma di un orientamento giurisprudenziale consolidato. In tema di evasione arresti domiciliari, l’allontanamento dell’imputato dal luogo di detenzione senza autorizzazione può essere legittimamente desunto dalla sua mancata risposta ai controlli degli operanti. Non è necessario che la polizia trovi la persona fuori casa; il fatto di non rispondere al campanello o al citofono è considerato un indizio grave, preciso e concordante della sua assenza ingiustificata.
La valutazione della sanzione
Anche il motivo di ricorso relativo al trattamento sanzionatorio è stato giudicato aspecifico e infondato. La Corte ha osservato che i giudici di merito avevano esercitato correttamente il loro potere discrezionale, come previsto dagli articoli 132 e 133 del codice penale. La pena base era stata fissata nel minimo legale (un anno di reclusione), diminuita di un terzo per la concessione delle attenuanti generiche (ritenute prevalenti sulla recidiva) e aumentata solo di quindici giorni per ciascuna delle altre due evasioni. Una sanzione, dunque, ritenuta congrua e ben motivata.
Le motivazioni
Le motivazioni della Corte Suprema si fondano su due pilastri. Il primo è di natura processuale: un ricorso per cassazione deve essere specifico e non generico, altrimenti è inammissibile. Il secondo è di natura sostanziale e riafferma un principio chiave: chi è agli arresti domiciliari ha l’onere di essere costantemente reperibile. La mancata risposta ai controlli non è una semplice negligenza, ma un comportamento che, salvo prova contraria, permette al giudice di presumere l’avvenuto allontanamento e, quindi, l’evasione. La Corte territoriale si era correttamente richiamata alla motivazione di primo grado, che aveva accertato le tre mancate risposte, e questo percorso logico è stato ritenuto ineccepibile.
Le conclusioni
Questa ordinanza consolida un’interpretazione rigorosa degli obblighi connessi agli arresti domiciliari. La decisione chiarisce che la responsabilità di essere reperibile grava interamente sulla persona sottoposta alla misura. Chi si trova in questa condizione deve adottare tutte le cautele necessarie per garantire di poter rispondere prontamente ai controlli delle autorità. L’impossibilità di giustificare la mancata risposta fa scattare una presunzione di colpevolezza per il reato di evasione, con tutte le conseguenze penali che ne derivano. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro a favore della Cassa delle ammende.
Se sono agli arresti domiciliari e non rispondo al controllo della polizia, commetto reato?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la mancata risposta agli operatori che effettuano i controlli può essere legittimamente interpretata come una prova dell’allontanamento non autorizzato dal luogo di detenzione, integrando così il reato di evasione.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché i motivi erano generici, non si confrontavano specificamente con le argomentazioni dei giudici di merito e, quindi, non erano idonei a introdurre una critica ragionata alla motivazione della sentenza d’appello.
Come è stata calcolata la pena in questo caso di evasione arresti domiciliari?
La pena base è stata fissata nel minimo (un anno di reclusione), diminuita di un terzo per le attenuanti generiche e poi aumentata di quindici giorni per ciascuna delle altre due evasioni contestate, risultando in un esercizio corretto del potere discrezionale del giudice.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7563 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7563 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a RAGUSA il 23/03/1992
avverso la sentenza del 06/12/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; dato avviso alle parti; esaminati i motivi del ricorso di COGNOME Alessandro; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che il ricorso – con il quale si eccepisce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla conferma in appello della condanna per evasione dagli arresti domiciliari – deve essere dichiarato inammissibile in quanto i motivi dedotti sono espressi in modo generico e senza confrontarsi con le argomentazioni dei Giudici di merito, non risultando dunque il ricorso idoneo a introdurre nel giudizio di legittimità una critica ragionata alla motivazione della Corte di appello e non permettendo al Giudice di legittimità di percepire con esattezza l’oggetto delle censure. Invero, la Corte territoriale si è richiamata alla motivazione di quella di primo grado, nella quale si è dato atto che nelle tre occasioni per le quali è intervenuta condanna COGNOME non rispondeva agli operanti che controllavano la sua presenza all’interno dell’abitazione ove era ristretto domiciliarmente; è orientamento consolidato di questa Corte quello secondo il quale in tema di evasione, l’allontanamento dell’imputato dal luogo degli arresti domiciliari senza autorizzazione può essere legittimamente desunto dalla sua mancata risposta agli operanti (ex multis, Sez. 6, n. 1071 del 08/01/2016, COGNOME, Rv. 267726 01);
Rilevato che anche il motivo relativo al trattamento sanzionatorio è aspecifico, atteso che la pena base per l’episodio ritenuto più grave è stata determinata nel minimo della pena (anni uno di reclusione), diminuita di un terzo per le attenuanti generiche – ritenute prevalenti rispetto alla recidiva – e aumentata di soli quindici giorni per ciascuna delle altre due evasioni, non risultando dunque ipotizzabile alcuna violazione dell’esercizio del potere discrezionale del Giudice ai sensi degli artt. 132 e 133 cod. pen.;
Ritenuto dunque che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma giudicata congrua – di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20/01/2025