Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 10492 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 10492 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 25/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME nata il 02/10/1975 a Biella
avverso la sentenza del 19/06/2024 della Corte d’appello di Torino;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di Torino confermava la condanna di NOME COGNOME per evasione (art. 385 cod. pen.), in quanto, essendo sottoposta alla misura degli arresti domiciliari presso l’abitazione del convivente ed essendosene allontanata previa autorizzazione per sottoporsi a terapie, vi faceva ritorno circa quattro ore dopo l’orario del dovuto rientro.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso NOME COGNOME deducendo due motivi.
2.1. Violazione degli artt. 191 e 199, comma 2, cod. proc. pen. con riferimento alle sommarie informazioni testimoniali rese dal convivente dell’imputata.
In appello era stato dedotto come il compagno convivente dell’imputata non fosse stato preventivamente avvisato ex art. 199 cod. proc. pen. della facoltà di astenersi dal rispondere.
D’altronde, prima ancora dell’entrata in vigore della legge 20 maggio 2016, n. 76, la giurisprudenza di legittimità aveva riconosciuto rilievo alle convivenze di fatto (Sez. 6, n. 50993 del 14/03/2019, P., Rv. 277729).
Sul punto la Corte d’appello non ha motivato, limitatandosi a riportare pedissequamente il contenuto della sentenza di primo grado.
2.2. Vizio di motivazione.
Non corrisponde al vero quanto affermato dalla Corte d’appello, e cioè che l’imputata non aveva adempiuto all’onere di allegazione relativo alla sussistenza di una causa di giustificazione.
Infatti, agli atti risulta: che la ricorrente contattò telefonicamente la stazion dei Carabinieri, avvertendo di trovarsi ancora a Torino per completare le incombenze sanitarie e che avrebbe preso il primo treno utile per tornare all’abitazione in cui era ristretta (in Strambino); che la polizia giudiziaria era nel condizioni di verificare se l’imputata effettivamente si trovasse ancora presso l’ospedale e fino a che ora vi si fosse realmente trattenuta; che la difesa produsse in giudizio l’orario ferroviario relativo alla tratta Torino-Strambino percorsa dall’imputata il giorno del presunto fatto di reato.
La ricorrente ha inoltre presentato conclusioni in replica alle osservazioni del Procuratore generale, obiettando che l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal convivente dell’imputata era stata dedotta in appello e precisando che, escluse tali dichiarazioni dal compendio probatorio, viene meno la prova della condotta delittuosa, non risultando a che ora l’imputata fosse uscita dall’ospedale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non è fondato.
Infondato è, in particolare, il primo motivo di ricorso.
2.1. Premesso che l’imputata era stata autorizzata dall’autorità giudiziaria ad allontanarsi dal luogo degli arresti domiciliari in Strambino (presso l’abitazione del
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convivente) per recarsi per visita medica a Torino (visita fissata alle ore 09:15), con l’obbligo di fare ritorno appena la stessa si fosse conclusa, è vero che la sentenza non replica alle deduzioni difensive sul mancato avvertimento al convivente dell’imputata in punto di facoltà di non rispondere.
Ed è anche vero che, nello svolgere un ragionamento attorno ai presunti orari di partenza dell’imputata, fa riferimento alle dichiarazioni del convivente stesso.
Non si condivide, tuttavia, l’affermazione difensiva, esplicitata nelle conclusioni scritte, secondo cui, escludendo l’utilizzabilità di tali dichiarazioni, no risulterebbe raggiunta la prova che l’imputata contravvenne alle prescrizioni imposte dal magistrato competente, e quindi, del delitto di evasione di cui all’art. 385 cod. pen. (ex multis, Sez. 6, n. 35681 del 30/05/2019, Di COGNOME, non mass.).
La pronuncia d’appello, infatti, sin dal suo esordio evoca Sez. U. n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216664, sulla motivazione per relationem, espressamente rinviando all’analitica ricostruzione che del fatto era stato connpiutck in primo grado.
Da questa si desume come COGNOME, autorizzata ad allontanarsi dal luogo degli arresti domiciliari in Strambino (presso l’abitazione del convivente) per recarsi per visita medica a Torino (visita fissata alle ore 09:15), alle 11,47, avesse avvertito telefonicamente il comando dei Carabinieri, riferendo che si trovava ancora a Torino e che avrebbe preso il primo treno utile, in partenza alle 13:00.
Si evince anche come, nel verbale di arresto in flagranza del 26 febbraio 2019, gli operanti della Stazione dei Carabinieri di Strambino avessero riferito: di essersi · recati presso l’abitazione in ra ristretta la ricorrente – senza avervi trovato alcuno – una prima volta, alle ore 15,20 e, una seconda volta, alle 16,20; di aver appreso che Seno aveva contattato telefonicamente il Comando dei Carabinieri riferendo di essere ancora a Torino, in attesa del primo treno utile per il ritorno e che tale treno sarebbe partito alle 13,00; di aver infine visto la donna rientrare in compagnia del compagno soltanto alle 18,15; di aver contattato i due appena risaliti in casa.
La sentenza di primo e, sulla sua scia, quella di secondo grado (che, trattandosi di c.d. doppia conforme, costituiscono un unico corpo motivazionale. Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E. Rv. 277218) si diffondono, poi, sullo iato esistente tra l’orario di effettivo ritorno e i tempi a tal fine necessari.
In particolare, osservano come dalla stessa richiesta di autorizzazione sì, evincesse che l’imputata aveva bisogno di 30 minuti per raggiungere la stazione ferroviaria di Strambino; ricordano che la ricorrente aveva avvisato, alle ore 11,47, il Comando dei Carabinieri di essere ancora a Torino «in attesa del primo treno utile per il ritorno in partenza alle ore 13,00»; valutano i tempi di percorrenza ferroviaria e la distanza tra la stazione Strambino e il luogo degli arresti domiciliari
-, argomentano, quindi, che la donna avrebbe dovuto far rientro ben prima delle 18,15, aggiungendo che, anche a ritenere credibile quanto dichiarato in un secondo momento dal suo compagno, e cioè che l’imputata avesse preso il successivo treno delle 14,00, la stessa sarebbe dovuta arrivare, al più, alle ore 15,30 e precisando – così si esprime, in particolare, la pronuncia impugnata – che Seno non fornì alcuna prova e neanche un principio di prova documentale o dichiarativa delle ragioni del rientro al domicilio oltre l’orario in cui era autorizz ad allontanarvisi.
2.2. Di conseguenza – in mancanza di allegazioni, se non affatto generiche, e come tali insuscettibili di essere considerate in questa sede (nel ricorso si allude ad una ipotetica causa di giustificazione, nemmeno denominandola) -, anche prescindendo dal richiamo compiuto alle dichiarazioni del compagno della ricorrente e sulla base del riferito ragionamento delle sentenze di merito (fondato su dati fattuali e non illogico; pertanto, insindacabile in questa sede), in nessun modo si giustifica il rientro di Seno presso il luogo degli arresti domiciliari al 18,15, vale a dire in un momento molto distante dalla conclusione della visita medica, fissata, la mattina, alle ore 9,15, e comunque dal tempo in cui l’imputata, alle 11,47, si trovava a Torino «in attesa del primo treno utile per il ritorno». Con l’effetto che il giudizio sulla sussistenza del reato deve ritenersi correttamente motivato.
Quanto al secondo motivo di ricorso, e come già rilevato, la sentenza precisa che l’imputata «non fornì alcuna prova, e neppure un principio di prova, delle ragioni del rientro al domicilio oltre l’orario entro il quale avrebbe dovut farvi rientro».
Tale omissione si è protratta nel presente giudizio, dove la ricorrente ha evocato la sussistenza di una causa di giustificazione ma, come anticipato, non ha precisato quale essa sia e, ancor meno, ne ha allegato i presupposti applicativi, sicché le deduzioni difensive appaiono sul punto, oltre che manifestamente infondate, inammissibili in quanto aspecifiche.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ex art. 616 cod. proc. pen.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 25/02/2025