Evasione Arresti Domiciliari: Quando il Cortile Non è Considerato Casa
Il concetto di evasione arresti domiciliari è spesso al centro di dibattiti legali che riguardano i confini esatti del luogo di detenzione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento su questo tema, stabilendo che trovarsi al di fuori del cortile di ingresso, e non al suo interno, costituisce reato. Analizziamo questa decisione per comprendere meglio i limiti della detenzione domiciliare e le conseguenze del loro superamento.
I Fatti di Causa
Il caso riguarda un individuo sottoposto alla misura della detenzione domiciliare. Durante un controllo, le forze dell’ordine lo hanno trovato all’esterno del cortile di ingresso dell’edificio in cui doveva scontare la pena. La Corte d’Appello lo aveva condannato per il reato di evasione, previsto dall’articolo 385 del Codice Penale.
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo una versione differente dei fatti. A suo dire, egli si trovava all’interno del cortile, uno spazio da considerarsi come stretta pertinenza dell’abitazione e, di conseguenza, ancora all’interno dei confini del luogo di detenzione. Questa discrepanza sulla sua esatta posizione geografica al momento del controllo è diventata il fulcro del suo appello.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. I giudici hanno ritenuto che il motivo presentato fosse manifestamente infondato. La decisione si basa sulla valutazione che la Corte territoriale aveva già fornito una motivazione logica, coerente e puntuale sulla responsabilità penale dell’imputato.
In sostanza, la Cassazione ha confermato la ricostruzione dei fatti operata nel giudizio di merito, secondo cui l’individuo era stato effettivamente sorpreso fuori dall’area consentita. Il tentativo di ridefinire i fatti in sede di legittimità è stato quindi respinto.
Le Motivazioni Dietro la Decisione sul Tema dell’Evasione Arresti Domiciliari
La chiave della decisione risiede nella manifesta infondatezza del motivo di ricorso. La Cassazione non ha il compito di riesaminare i fatti del processo, ma di controllare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata.
Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva chiaramente stabilito, sulla base delle prove raccolte (come la testimonianza dei Carabinieri), che l’imputato si trovava all’esterno del cortile. Il ricorso in Cassazione, invece, proponeva una censura basata su una diversa interpretazione fattuale, senza evidenziare vizi logici o giuridici nella decisione precedente. Per questo motivo, il ricorso non superava il vaglio di ammissibilità. La Corte ha quindi ribadito che l’allontanamento, anche se di poco, dal perimetro esatto del luogo di detenzione domiciliare integra il reato di evasione.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale in materia di misure cautelari: i confini della detenzione domiciliare sono rigidi e devono essere rispettati scrupolosamente. Non è possibile interpretarli in modo estensivo, includendo aree esterne anche se adiacenti all’abitazione, a meno che non siano esplicitamente autorizzate dal giudice.
La decisione sottolinea inoltre che un ricorso per cassazione non può limitarsi a proporre una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella accertata nei gradi di merito. Per avere successo, deve individuare specifici errori di diritto o vizi di motivazione. In assenza di tali elementi, il ricorso è destinato a essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Cosa si intende per evasione dagli arresti domiciliari secondo questa ordinanza?
Si intende l’allontanamento dal luogo di detenzione, anche se di breve distanza. In questo caso, trovarsi all’esterno del cortile antistante l’abitazione, e non al suo interno, è stato considerato sufficiente per configurare il reato.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché basato su una censura manifestamente infondata. La difesa ha tentato di proporre una diversa ricostruzione dei fatti (sostenendo che l’imputato fosse dentro il cortile), ma la Corte d’Appello aveva già motivato in modo logico e coerente il perché si trovasse all’esterno, rendendo l’appello privo di fondamento giuridico.
Quali sono le conseguenze per chi presenta un ricorso inammissibile in Cassazione?
In caso di inammissibilità del ricorso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende. Nel caso specifico, la somma stabilita è stata di tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13430 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13430 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a TORRE ANNUNZIATA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/04/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
Ritenuto che il motivo dedotto con il ricorso in relazione alla sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 385 cod. pen. è inammissibile perché avente ad oggetto una censura manifestamente infondata;
Considerato, invero, che la Corte territoriale ha motivato in maniera logica, coerente e puntuale con riferimento alla penale responsabilità ed, in particolare, alla circostanza che il ricorrente era stato rinvenuto dai Carabinieri all’esterno del cortile di ingresso antistante al lugo di detenzione domiciliare e non – come invece asserito nel ricorso – all’interno del cortile quale stretta pertinenz dell’abitazione (cfr. pagg. 1 e 2 della sentenza impugnata);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso 1’8 marzo 2024