Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2108 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2108 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMENOME nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/06/2023 della Corte di appello di Firenze;
letti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; udito il Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore della ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Attraverso il proprio difensore, NOME COGNOME impugna la sentenza della Corte di appello di Firenze che ha dichiarato l’esistenza delle condizioni per la sua estradizione negli Stati Uniti d’America, in esecuzione del mandato di arresto emesso il 13 agosto 2018 dal Tribunale del Distretto meridionale di New York, in relazione al delitto di “conspiracy” finalizzata al riciclaggio di denaro proveniente da traffico di stupefacenti, per il quale è attualmente indagato in quello Stato.
I .
Il ricorso consta di tre motivi.
2.1. Il primo consiste nella violazione degli artt. 13, 110 e 416, cod. pen., e dell’art. 4.1 dell’accordo di estradizione tra la U.E. e gli U.S.A., in quanto il delitt di “conspiracy” non tipizza una fattispecie corrispondente al ‘associazione per delinquere dell’ordinamento italiano, ma piuttosto il semplice accordo per commettere un reato, riconducibile alla fattispecie interna del concorso di persone nel reato. Conseguentemente, essendo stato il COGNOME già giudicato in Italia, con sentenza irrevocabile e già in corso di esecuzione, per gli episodi di riciclaggio oggetto della “conspiracy” a lui addebitata, la sottoposizione ad un ulteriore procedimento penale per lo stesso fatto violerebbe il divieto del bis in idem, operante anche tra decisioni giudiziarie emesse da Stati diversi.
In merito, sollecitando eventualmente l’esercizio dei poteri di accertamento riconosciuti anche alla Corte di cassazione in questa materia, rileva il ricorrente che gli atti posti dagli Stati Uniti a fondamento della richiesta estradizionale sono esattamente gli stessi sui quali si è basato il processo italiano per riciclaggio: ciò è stato anche dall’autorità giudiziaria della Repubblica di Ungheria, che, proprio facendo applicazione del divieto di bis in idem, ha respinto una precedente richiesta di estradizione avanzata dagli Stati Uniti a quello Stato. Peraltro aggiunge – la circostanza per cui l’autorità giudiziaria italiana, sulla base di quegli atti, non abbia avviato alcun procedimento per reato associativo attesta ulteriormente l’inesistenza di quest’ultimo, sussistendo altrimenti l’obbligo di esercitare l’azione penale, ed una tale valutazione è equiparabile ad un giudicato.
2.2. Il secondo motivo consiste nella violazione dell’art. 707, cod. proc. pen., in relazione alla precedente pronuncia irrevocabile di rigetto della domanda estradizionale da parte dell’Ungheria, fondata sugli stessi atti.
L’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. stabilisce il divieto di bis in idem anche in àmbito eurounitario. Inoltre, la U.E. e gli U.S.A. hanno stipulato un accordo in materia di estradizione, per cui tutti gli Stati dell’U.E. debbono applicare le medesime regole, e tale accordo attribuisce alla relativa disciplina la prevalenza rispetto ad eventuali accordi siglati tra gli U.S.A. e singoli Paesi della U.E.. Ne consegue che il giudicato sull’estradizione formatosi all’interno di uno di questi ultimi vincola anche gli altri.
2.3. La terza doglianza riguarda la violazione dell’art. 27, Cost., e dell’art. 3, CEDU, perché la sottoposizione del soggetto ad un ulteriore procedimento nello Stato richiedente determinerebbe l’impossibilità di applicargli uno strumento di mitigazione della pena, qual è quello della continuazione, sicuramente ravvisabile tra l’ipotetico delitto associativo ed i “reati-scopo” di riciclaggio, con conseguenza di sottoporlo ad una pena eccessiva ed in contrasto con i princìpi costituzionali di adeguatezza, proporzionalità e finalità rieducatva della stessa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Nessuno dei motivi di ricorso può essere ammesso.
Essi presentano un comune vizio di genericità, consistendo nella riproposizione delle doalianze già rassegnate alla Corte d’appello, alle quali la sentenza impugnata dà compiuta risposta.
2. In particolare, quanto al primo di essi, è sufficiente rammentare che, ai fini dell’estradizione da o verso gli Stati Uniti d’America, l’art. II, par. 2, del Tratta bilaterale del 13 ottobre 1983, ratificato con legge 26 maggio 1984, n. 225, anche nella versione aggiornata alle modifiche introdotte dall’Accordo di Roma del 3 maggio 2006, ratificato con legge 16 marzo 2009, n. 25, consente l’estradizione per i reati associativi previsti dalle rispettive legislazioni nazionali – associazione per delinquere nell’ordinamento italiano e “conspiracy” in quello statunitense indipendentemente dal requisito della previsione bilaterale del fatto, purché tale ultima condizione sia soddisfatta per i reati fine dell’associazione criminosa (si vedano, tra altre: Sez. 6, n. 28417 del 08/06/2022, Efeturi, Rv. 283327; Sez. 6, n. 15018 del 27/02/2013, Macy, Rv. 255039).
Lo stesso Accordo di estradizione tra l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America, siglato a Washington D.C. il 25 giugno 2003, richiamato dalla difesa ricorrente, coerentemente prevede, all’art. 4, par. 1, che «dà luogo a estradizione anche (…) l’accordo al fine di commettere o il concorso nel commettere uno dei fatti che danno luogo a estradizione».
Nello specifico, la sentenza impugnata afferma che, secondo quanto risulta dalla domanda estradizionale, gli specifici fatti di reato per cui COGNOME è stato giudicato in Italia si collocano all’interno di un più vasto accordo criminale con altre persone, protrattosi per un tempo più ampio, prima e dopo di quelli.
Tale allegazione dell’autorità richiedente non è sindacabile dal giudice italiano, se non nei limiti dell’esistenza di una «base ragionevole per ritenere che la persona richiesta abbia commesso il reato», a norma dell’art. X, comma 3, lett. b), del già ricordato Trattato bilaterale del 1983: tanto significa che non è necessario valutare autonomamente l’esistenza e la consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ma soltanto verificare che la relazione sommaria dei fatti, allegata alla domanda, consenta di ritenere probabile, nella prospettiva del sistema processuale dello Stato richiedente, che l’estradando abbia commesso il reato in questione (Sez. 6, n. 11947 del 15/01/2019, COGNOME, Rv. 275293; Sez. 6, n. 14941 del 26/02/2018, COGNOME, Rv. 272767).
Sul punto, considerando la complessità delle operazioni illegali in cui il COGNOME sicuramente è stato coinvolto, risulta senza dubbio ragionevole l’ipotesi che, a monte delle stesse, vi sia stato un più articolato accorcio illegale con altri soggetti.
3. In ordine al secondo motivo di ricorso, riguardante il divieto di “bis in idem” in tema di estradizione, correttamente la Corte d’appello ha rilevato che tale divieto, in àmbito internazionale, opera solo in presenza di una pronuncia giurisdizionale estera definitiva sulla responsabilità dello stesso individuo per il medesimo fatto di reato per il quale è stata avanzata la domanda estradizionale (Sez. 6, n. 10085 del 14/01/2021, Burca, Rv. 280720): non, dunque, con riferimento ad una pronuncia resa – come nel caso in esame – in un procedimento estradizionale.
In questi termini, perspicuo è il testo dell’art. 50, CDFUE, evocato dallo stesso ricorrente, il quale stabilisce che «nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva».
Non può trovare applicazione, invece, il disposto dell’art. 707, cod. proc. pen., norma di diritto interno che, come tale, riguarda esclusivamente l’ipotesi di una precedente sentenza contraria all’estradizione emessa dall’autorità giudiziaria italiana.
4. La temuta violazione degli artt. 27, terzo comma, Cost., e 3, CEDU, per il pericolo di una pena eccessivamente afflittiva, e perciò contraria al senso di umanità, in ragione dell’esclusione del meccanismo sanzionatorio della “continuazione”, non è ravvisabile.
In linea AVV_NOTAIO, in tema di estradizione per l’estero, occorre verificare in concreto l’afflittività della pena effettivamente irrogata o, in caso di estradizione “processuale”, prevista dalla legislazione dello Stato richiedente, onde verificare se essa possa effettivamente consistere in un trattamento che violi i diritti fondamentali della persona (tra le tante: Sez. 6, n. 28417 del 2022, cit., in motivazione; Sez. 6, n. 8616 del 30/01/2020, COGNOME, Rv. 278459).
In particolare, poi, con riferimento all’estradizione verso gli Stati Uniti d’America, non costituisce circostanza ostativa alla consegna la mera possibilità di irrogazione di una pena detentiva temporanea di durata oltremodo lunga, in assenza dell’allegazione di un reale rischio di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti, contrari all’art. 3, CEDU, essendo previsti nell’ordinamento statunitense istituti che, sia pure sulla base di valutazioni discrezionali di varie autorità pubbliche, consentono comunque la liberazione anticipata, finanche in
caso di condanna a pena perpetua (Sez. 6, n. 11947 del 2019, cit.; Sez. 6, 14941 del 2018, cit.).
In mancanza, dunque, dell’allegazione di elementi che rendano quanto meno prevedibile l’irrogazione al COGNOME di una pena assolutamente sproporzionata per eccesso rispetto al disvalore dei fatti di reato che gli vengono addebitat doglianza difensiva si rivela manifestamente infondata o, quanto meno, del tutt generica.
All’inammissibilità del ricorso consegue obbligatoriamente – ai sens dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente alle spese procedimento ed al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella de:erminazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Dett somma, considerando la manifesta inconsistenza delle doglianze, va fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203, disp. att. c proc. pen..
Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2023.