Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 8931 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 8931 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME nato a Kevelaer (Germania) il 07/08/1966
avverso la sentenza del 13/11/2024 della Corte di appello di Trento, Sez. dist. di Bolzano visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato; udito il difensore, avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Trento, Sez. dist. di Bolzano, dichiarava la sussistenza delle condizioni per farsi luogo all’estradizione di COGNOME NOME, richiesta dal Governo degli Stati Uniti di America per il suo perseguimento penale limitatamente ai reati indicati nei capi di imputazione nn. 1 e 2 (“mail fraud, aiding and abetting that offence”).
Secondo la descrizione dei fatti contenuta nella domanda di estradizione, la persona ricercata avrebbe gestito un sistema di frode postale, consistito nell’inviare lettere contenenti offerte fraudolente di servizi di chiaroveggenza, avendo di mira persone anziane e vulnerabili.
In particolare, l’offerta era presentata in modo ingannevole sia in ordine alla tipologia di servizio (si offrivano servizi personalizzati da parte di chiaroveggenti di fama mondiale), sia alla lora gratuità.
In realtà le offerte erano confezionate da RAGIONE_SOCIALE, con un software, stampando migliaia di lettere identiche, nelle quali era inserito il nome di battesimo del destinatario o era redatta una parte come scritta a mano da chiaroveggenti (in realtà inesistenti), per dare la falsa impressione della natura personalizzata del servizio (i chiaroveggenti avrebbero avuto “visioni” riguardanti la persona del destinatario).
Coloro che avevano aderito all’offerta, pur non ricevendo i servizi personalizzati promessi o gli oggetti indicati nella proposta (talvolta la vittima riceveva soltanto un opuscolo prodotto in massa o gingilli di poco valore), venivano poi invitati a pagare i servizi, ancorché presentati come gratuiti, con modalità fuorvianti. Erano in particolare inviati a costoro avvisi di fatturazione contenenti affermazioni false: erano indicate penali che avrebbero dovuto pagare le vittime per i ritardi nei pagamenti con la previsione che un’organizzazione di chiaroveggenti avrebbe trasmesso la fattura – in genere tra i 20 e 50 dollari – ad una “agenzia di riscossione”.
Questo sistema di truffa aveva fruttato alla persona ricercata un profitto illecito di oltre 10 milioni di dollari.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’interessato, avv. NOME COGNOME denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione agli artt. 13 cod. pen. e II del Trattato bilaterale di estradizione, art. 714 cod. proc. pen. sulla valutazione errata e carenza sulla ritenuta doppia incriminazione.
La difesa aveva sostenuto davanti alla Corte di appello che i fatti contestati al ricorrente non costituivano reato secondo la legge italiana, non potendo in particolare rientrare nel fuoco del reato di truffa.
Ai destinatari era infatti offerto un servizio di cartomanzia, che in Italia non è vietato, ma è pacificamente ammesso e esercitato legalmente.
Nel caso del ricorrente si trattava di attività di cartomanzia lecita: era lasciata piena libertà ai destinatari delle comunicazioni di aderire o meno ai servizi offerti,
senza minaccia o violenza; i servizi offerti erano presentati per quel che erano (servizi di magia) e non in modo ingannevole (il servizio di chiaroveggenza e i chiaroveggenti per natura non esistono, nel senso dell’effettivo potere divinatorio di chi esercita tale servizio), per speculare o abusare della credibilità di chi li riceve i pagamenti richiesti erano di pochi dollari e non sproporzionati al servizio offerto, che spesso era offerto gratuitamente.
Andava considerato che, a differenza del reato di truffa previsto dall’ordinamento italiano, quello di “mail fraud” statunitense punisce anche solo meri pretesti o promesse non veritiere.
La cartomanzia di per sé offre servizi di natura non verificabile ma non per questo è ritenuta illecita.
Neppure può configurare la truffa il mancato adempimento dei servizi offerti, trattandosi di post factum, ovvero la presentazione dei servizi come personalizzati (che costituisce al più un inadempimento contrattuale di rilevanza civilistica) o gratuiti (trattandosi di condotta successiva di richiesta di somme non dovute); ovvero l’invio delle richieste di pagamento.
Le richieste erano infatti prive di intimidazioni, prospettando soltanto al destinatario il perseguimento di vie legali (di per sé pienamente lecito).
In ogni caso, la Corte di appello ha motivato anche in modo apparente alle doglianze difensive, senza indicare le ragioni che consentivano di sussumere la condotta del ricorrente nel reato di truffa ed escludere una lecita attività di servizi commerciali.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 699, 705, comma 2, lett. a), cod. proc. pen., 6 CEDU e in merito alla violazione del principio di specialità.
Altra doglianza difensiva riguardava il mancato rispetto da parte delle autorità statunitensi del principio di specialità nelle procedure estradizionali.
La garanzia della specialità si applica “sempre” in ogni procedura estradizionale passiva, come recita l’art. 699 cod. proc. pen., e non solo nei limiti dell’art. 696 cod. proc. pen. Unica eccezione è la rinuncia dell’estradando.
La difesa aveva allegato come nel sistema processuale statunitense tale garanzia non abbia applicazione assoluta: è possibile procedere anche per un reato diverso da quello oggetto della consegna; l’estradato non ha un rimedio effettivo per far valere la violazione della specialità; il giudice prende comunque in considerazione altri reati estranei alla consegna per la determinazione della pena (a fondamento della questione sono allegate sentenze delle autorità giudiziarie statunitensi e una sentenza della Corte federale tedesca).
Quindi le autorità statunitensi non potranno mai garantire l’effettivo rispetto del principio di specialità.
La difesa è dell’opinione che la mancanza di effettività “strutturale” della garanzia del principio di specialità costituisca una causa di rifiuto della consegna.
La questione, infatti, rileva con riferimento all’art. 6 CEDU, perché lo Stato richiedente non tutela il diritto ad un rimedio effettivo alla violazione del principio che è posto a garanzia del singolo (solo lo Stato richiesto può infatti farla valere ma senza avere più la giurisdizione sulla persona oramai estradata) e quindi ai fini dell’art. 705, comma 2, lett. a) cod. proc. pen.
Nel caso in esame tale vulnus è quantomai concreto, in quanto l’estradizione è stata esclusa per taluni reati e, comunque, non è da escludere che il reato di mail fraud venga esteso ad altri fatti non previsti dalla domanda.
La risposta della Corte di appello è carente in relazione allo specifico profilo della violazione dell’art. 705, comma 2, lett. a), cod. proc. pen. (non essendo dirimente che la giurisprudenza di legittimità non abbia constatato la violazione dei principi del giusto processo) e alla rilevanza pratica della questione nel caso in esame.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 705, comma 2, lett. c) cod. proc. pen., 3 CEDU e in merito alla valutazione del rischio di trattamenti inumani e degradanti.
La difesa aveva dedotto il rischio di trattamenti inumani e degradanti nelle carceri statunitensi (nella specie dello Stato del New Jersey) e la Corte di appello ha richiesto allo Stato richiedente informazioni circa le modalità del trattamento carcerario riservato al ricorrente.
La difesa aveva poi dedotto la genericità ed insufficienza delle informazioni inviate (relative al carcere di Essex): non era specificato se lo spazio disponibile in cella fosse al netto degli arredi inamovibili” (la espressione “spazio libero” è infatt generica); e si trattava di informazioni comunque provvisorie e reticenti, in quanto relative al solo penitenziario di prima destinazione (per la custodia cautelare).
In ogni caso la difesa aveva allegato documentazione (fonti giornalistiche che rinviavano a fonti ufficiali; comunicazione tratte dal sito istituzionale dello scerif della contea; un report del Dipartimento di giustizia) volta a dimostrare come le condizioni carcerarie nell’Essex fossero ben diverse da quelle presentate dalla nota dello Stato richiedente e presentassero carenze molto allarmanti.
Rispetto a tali allegazioni, la Corte di appello non si è confrontata, limitandosi a sostenere che si trattava di articoli di giornale (solo per questo ritenut inattendibili nonostante si riferissero a fonti istituzionali).
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 705, comma 2, lett. a) cod. proc. pen., 24, 111 Cost., 6 CEDU e in merito alla valutazione della violazione del diritto dell’estradando ad un processo equo pér il mancato rilascio degli atti del procedimento a suo carico.
La difesa aveva sostenuto che il procedimento penale negli Stati uniti non fosse equo in quanto le autorità inquirenti avevano opposto al ricorrente il rifiuto (immotivato) al rilascio di copia del fascicolo processuale, impedendogli pertanto di difendersi effettivamente (tanto più che la domanda estradizionale non prevede l’allegazione delle prove ma soltanto del sommario delle prove “a carico” dell’estradando).
La Corte di appello ha fornito anche su tale punto una risposta carente, basata su argomenti non dirimenti (la circostanza che giurisprudenza di legittimità non abbia constatato la violazione dei principi del giusto processo da parte delle autorità statunitensi; la sentenza n. 11947 del 2019 della Corte di cassazione, relativa alla segretazione della identità dei testimoni), tenuto conto che il procedimento penale statunitense è nella fase del rinvio a giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è complessivamente infondato.
Il primo motivo sulla doppia incriminabilità è ai limiti della ammissibilità.
In primo luogo, è da escludere che la Corte di appello non abbia motivato sulle deduzioni difensive.
La Corte di appello ha infatti rilevato come dalla descrizione del fatto, contenuta nella domanda estradizionale, la condotta del ricorrente fosse configurabile come reato in Italia alla stregua dell’art. 640 cod. pen., in quanto il servizio offerto era presentato ai destinatari con artifici e raggiri che avevano tratto in inganno coloro che vi avevano aderito, cagionando loro un danno economico (il pagamento del servizio) e un illecito vantaggio finanziario al ricorrente.
Gli artifici erano consistiti nel presentare, contrariamente al vero, il servizio d chiaroveggenza offerto come una prestazione fornita da un chiaroveggente di fama mondiale, di tipo individuale e gratuito. In realtà, coloro che aderivano all’offerta ricevevano un servizio in forma massiva, costituita al più dall’invio di una mera brochure ciclostile o di oggetti di scarso valore.
Quindi non veniva in considerazione la prestazione in sé del servizio di chiaroveggenza, come dedotto dal ricorrente, bensì la presentazione artificiosa ed ingannevole della offerta.
Inoltre, come ha spiegato la Corte territoriale, gli artifici erano proseguiti per ottenere l’indebito pagamento, prospettando, in caso di mancato pagamento, il (falso) intervento di una organizzazione di chiaroveggenti e astrologi, che avrebbe richiesto la riscossione ad una non meglio precisata società di recupero crediti.
Le circostanze sopra illustrate venivano quindi a superare tutte le obiezioni difensive, in questa sede riproposte, volte a sostenere la irrilevanza penale del fatto secondo l’ordinamento italiano.
Le censure avanzate dal ricorrente davanti alla Corte di appello erano infatti o fuori fuoco (non venendo in gioco di per sé la liceità o meno del servizio di chiaroveggenza) o dirette a confinare la condotta del ricorrente nell’ambito di un mero inadempimento contrattuale o di un’attività basata sul ricorso a mezzi giuridici leciti.
3. Il secondo motivo è infondato.
3.1. E’ principio già affermato da questa Corte che, nel procedimento di garanzia giurisdizionale previsto dal nostro sistema in tema di estradizione passiva, l’autorità giudiziaria è chiamata a risolvere la questione di diritto concernente la legale possibilità dell’estradizione, esulando dalle sue attribuzioni ogni valutazione di opportunità nonché la possibilità di subordinare la concessione dell’estradizione a condizioni, le quali rientrano nell’esclusiva sfera di competenza del Ministro, come non pleonasticamente ribadita dall’art. 699, comma 3 del codice (Sez. 6, n. 4298 del 04/11/1994, dep. 1995, Rv. 200833).
L’art. 699, comma 4, cod. proc. pen. riserva infatti al solo Ministro della giustizia la “verifica dell’osservanza della condizione di specialità” e di altr condizioni apposte.
Come ha osservato questa Corte (Sez. U, n. 21035 del 26/03/2003, Caridi), l’estradizione è un istituto essenzialmente convenzionale, improntato al principio di reciprocità, nonché a quello di specialità, nel quale il soggetto interessato è sostanzialmente “oggetto” della relativa procedura, la quale postula di regola, a sua volta, un procedimento che ha natura interna, nel corso del quale l’estradando è titolare del potere di interloquire e difendersi in relazione alla proposta richiesta, sulla quale la decisione definitiva è, comunque, mancipio esclusivo dello Stato richiesto. Ne è testimone la valenza del consenso dell’estradando alla sua consegna, che per la legge italiana non assume valore definitivo e cogente nella relativa procedura, nel senso che ad esso non consegue, di per sè, la estradizione.
Seguendo questa linea interpretativa, con riferimento al Trattato di estradizione con gli Stati Uniti, questa Corte ha ribadito che i trattati d collaborazione giudiziaria, in genere, incidendo sulle sovranità degli Stati coinvolti, ne tutelano direttamente gli interessi, tendendo a regolare principalmente i rapporti reciproci sotto tale angolazione, mentre la posizione dei soggetti destinatari della normativa di riferimento è oggetto di una tutela indiretta (Sez. U, n. 11971 del 29/11/2007, dep. 2008, Pazienza).
3.2. Quanto all’effettività della garanzia della specialità con riferimento agli Stati Uniti, va rammentato che il vigente Trattato bilaterale di estradizione tra Italia e Stati Uniti d’America prevede, all’art. XVI, la disciplina del principio specialità, che obbliga lo Stato richiedente – in assenza del consenso dello Stato richiesto o di comportamenti concludenti della persona estradata – a non detenere, giudicare o punire la persona estradata per fatti diversi da quelli per i quali l’estradizione è stata concessa, commessi prima della consegna della persona.
Tale disposizione deve ritenersi vincolante anche per gli Stati Uniti, in quanto l’art. 6 della Costituzione di tale Stato stabilisce che “i trattati formano parte de supremo diritto comune e sono vincolanti per tutti i tribunali degli Stati Uniti… indipendentemente da qualsiasi altra disposizione presente nelle leggi dello Stato” (in tal senso, cfr. la storica sentenza della Suprema Corte degli Stati Uniti nel caso United States v. Rauscher, 119 U.S. 407, 1886, che ha affermato, in relazione a tale regola. che i trattati ai quali gli Stati Uniti sono parte sono una legge dell Stato che vincola tutte le Corti, statali e nazionali, nella misura in cui le relati disposizioni sono suscettibili di applicazione giudiziaria, riconoscendo all’estradato il “diritto” ad essere processato per il solo reato specificato nella richiesta d consegna).
Nei rapporti bilaterali, non risultano inoltre casi in cui gli Stati Uniti n abbiano fatto corretta applicazione del principio sancito dall’art. XVI cit.
In questo quadro, va anche rammentato che la Corte di cassazione ha ritenuto che la norma della Costituzione statunitense venga ad ostacolare “in assoluto” la contestazione di un reato diverso da quello per cui l’estradizione è stata richiesta (Sez. 6, n. 35069 del 19/09/2005, COGNOME, Rv. 232085; in senso conforme, Sez. 6, n. 16288 del 2011; Sez. 6, n. 14941 del 2018). In particolare, la decisione di estradare nel caso COGNOME (nel quale si poneva il problema della applicazione della pena di morte) è stata ritenuta dalla Corte EDU (decisione del 30 marzo 2010, ricorso n. 22142/07, COGNOME c. Italia) conforme alla garanzia che lo Stato di rifugio deve assicurare all’estradando contro trattamenti vietati dalla CEDU, là dove aveva ravvisato la “garanzia assoluta” di non applicazione della pena di morte nel principio di specialità contenuto nel trattato di estradizione – “trattato che era stato integrato nel diritto americano e che era vincolante per tutti i tribunali degl Stati Uniti”.
D’altra parte, questa Corte, a Sezioni Unite, con riferimento proprio al Trattato bilaterale in esame, ha anche affermato che il principio di specialità va collocato tra le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, cui l’ordinamento giuridico italiano è tenuto a conformarsi, pure se il variegato articolarsi delle Convenzioni tende ad accentuare il carattere pattizio della regola, la cui natura consuetudinaria e, quindi, la sua collocazione tra le norme richiamate dall’art. 10
della Costituzione, rappresenta – anche se soltanto nella portata precettiva più esigua, che non ne snaturi, cioè, il significato consuetudinario – un dato difficilmente contesta bile (Sez. U, n. 11971 del 29/11/2007, dep. 2008, Pazienza).
3.3. Rispetto a tale assetto normativo e alla circostanza che non risultano casi di violazione della norma bilaterale pattizia da parte degli Stati Uniti, il ricorrent pone una questione “astratta” di effettività della garanzia della specialità.
Non esistendo quindi un problema “strutturale” nell’ordinamento statunitense in ordine al rispetto del principio di specialità, è ultroneo verificare l’esistenza un rimedio effettivo alla eventuale violazione.
Né il ricorrente ha dedotto, sotto tale profilo, elementi sintomatici tratti da fonti internazionali affidabili ovvero da pregresse violazioni del Trattato bilaterale.
In ogni caso, anche le sentenze citate dal ricorrente non escludono in termini assoluti la rilevanza nelle Corti statunitensi della violazione del principio d specialità, ma rappresentano soltanto l’esistenza di un contrasto interpretativo sulla legittimazione a farla valere in giudizio (se da parte del singolo o da parte dello Stato richiesto). Anche nell’ipotesi in cui sia riconosciuto al solo Stato richiesto la legittimazione ad agire, l’ordinamento italiano prevede una specifica disciplina nel quarto comma dell’art. 699 cod. proc. pen., là dove impone al Ministro della giustizia “la verifica dell’osservanza della condizione di specialità”.
Rimedio, la cui effettività è solo in via ipotetica posta in discussione dal ricorrente.
Va respinto anche il motivo sul pericolo di trattamenti inumani e degradanti.
La Corte di appello ha fatto buon governo dei principi affermati sia da questa Corte (tra tante, Sez. 6, n. 28822 del 28/06/2016, Rv. 268109) che dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione, 06/09/2016, C-182/15) in ordine alla tutela che deve essere accordata all’estradando contro il rischio di trattamenti contrari all’art. 3 CEDU.
Nella specie, la Corte di appello ha svolto un’indagine mirata, attraverso la richiesta di informazioni complementari, al fine di accertare se, nel caso concreto, l’interessato alla consegna sarà sottoposto nello Stato richiedente ad un trattamento inumano o degradante.
La Corte di appello ha descritto le condizioni trattamentali indicate dalle autorità statunitensi sia per la fase cautelare sia per la fase successiva alla condanna, fornendo idonee informazioni per escludere il rischio di detenzione in condizioni di sovraffollamento (ovvero l’area “libera” della cella a disposizione del detenuto; le ore previste per la libertà di movimento per la fase cautelare di 9 ore
e per quella successiva alla condanna pari a 14-16 ore) e indicando le altre modalità del trattamento (assistenza medica, psicologica, attività ricreative e fisiche, ecc.).
Si tratta di informazioni non generiche o equivoche (come ha spiegato la Corte territoriale, era stato chiesto espressamente di indicare l’area a disposizione del detenuto priva di mobilio fisso) e neppure reticenti (quanto all’individuazione del carcere di destinazione post condanna, essendo sufficiente l’indicazione delle modalità del trattamento).
Una volta che lo Stato richiedente ha fornito queste informazioni ufficiali – il cui rispetto non viene in discussione – viene a perdere di rilievo il diverso trattamento riscontrabile nelle strutture carcerarie (che è il presupposto perché si faccia luogo alla richiesta di informazioni supplementari).
5. Infondato è anche l’ultimo motivo.
La circostanza che il ricorrente non abbia avuto accesso al fascicolo processuale statunitense non può costituire motivo ostativo all’estradizione.
Si è più volte affermato che sussiste il divieto di pronuncia favorevole all’estradizione solo qualora venga prospettata l’assenza nell’ordinamento dello Stato richiedente di una normativa a tutela delle garanzie difensive e del diritto al giusto processo (Sez. 6, n. 4974 del 08/09/2015, dep. 2016, Rv. 266263).
Nella specie, il rifiuto può essere dovuto a svariate ragioni, ma non è stato dimostrato che derivi da carenze strutturali dell’ordinamento processuale statunitense.
E’ appena il caso di aggiungere che, come ha rilevato la Corte di appello, la piattaforma indiziaria, sulla quale la difesa nella procedura estradizionale può avanzare le sue eccezioni, non può che riguardare il “summary”, la relazione sommaria, che l’art. X, par. 3, lett. b), del Trattato bilaterale tra Italia e Stati Un richiede quale documento da allegare alla domanda di estradizione e che ha la finalità di fornire allo Stato richiesto gli elementi indiziari per una valutazione merito avente ad oggetto l’esistenza dell’illecito e l’individuazione dell’autore nell’estradando (tra tante, Sez. 6, n. 28825 del 17/05/2002, Rv. 222135).
Sulla base di quanto premesso, il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti previsti dall’art. 203 disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 06/02/2025.