Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 17925 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 17925 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Brescia il 15/10/1963
avverso la sentenza del 23/01/2025 della Corte di appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata; udito il difensore, avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Brescia dichiarava la sussistenza delle condizioni legali per l’estradizione del cittadino italiano NOME COGNOME COGNOME, richiesta dal governo dell’Uruguay per il suo perseguimento penale.
La Corte di appello ha dato atto che la domanda estradizionale nei confronti del COGNOME COGNOME titolare anche di passaporto uruguaiano, si basava su un —(
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mandato di arresto emesso dal Tribunale dell’Uruguay 1 111 ottobre 2024 per il reato di cui all’art. 5 della legge n. 14095 del 1972 di “insolvenza fraudolenta societaria”, punito con la pena della reclusione da dodici mesi fino ad anni dieci.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore della persona richiesta in estradizione, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa (art. 178 cod. proc. pen.) per la omessa considerazione di una memoria difensiva ex art. 703 cod. proc. pen.
La difesa aveva presentato, con la memoria del 30 dicembre 2024, una serie di questioni rilevanti e decisive, che la Corte di appello ha trascurato di vagliare criticamente.
In particolare, si evidenziano i seguenti punti: la inesistenza della condizione della pena minima prevista dal Trattato; il divieto di estradizione del cittadino (previsto dal Trattato del 1879 e applicabile in virtù del principio dell irretroattività sfavorevole in materia penale); la violazione del diritto di difesa non partecipare al processo penale.
Ciò ha determinato una violazione del diritto al contraddittorio e la vanificazione dell’assistenza difensiva nella fase prima dell’udienza, nonché la violazione del doppio grado di giudizio.
2.2. Violazione di legge in relazione all’art. 2, par. 1 del Trattato d estradizione bilaterale del 2017.
Erroneamente la Corte di appello ha applicato l’art. 2 del Trattato che stabilisce la cornice edittale del reato che può dar luogo ad estradizione.
Secondo la difesa, plurime ragioni di ordine letterale e sistematico, fanno ritenere che la norma pattizia (“la richiesta di estradizione è formulata per dare corso ad un procedimento penale e il reato è punibile, ai sensi della legge di entrambe le Parti, con una pena detentiva di almeno due anni”) si riferisca al “minimo” della pena edittale e non al massimo: la pena è quella in astratto prevista dalla legge; il termine “almeno” vuol significare perlomeno, quantomeno; nei casi in cui i trattati hanno voluto far riferimento al massimo della pena edittale lo hanno espresso chiaramente (così la Convenzione europea di estradizione del 1957; il Trattato bilaterale con l’Argentina del 1987, quello con il Brasile del 1989, ecc.), mentre vi sono trattati bilaterali che fanno riferimento alla pena minima (quello con il Perù del 1999), o che utilizzano la stessa formula del Trattato in esame (quello con l’Australia del 1985, quello con Cuba del 1928, quello con il Kossovo del 2013, quello con la Cina del 2010, ecc.)
Poiché la condizione in esame incide sulla libertà personale è doverosa una interpretazione che sia tassativa e non ricorra ad analogia in malam partem.
2.3. Violazione di legge in relazione alla prescrizione del reato secondo la legge italiana.
La Corte di appello ha ritenuto di inquadrare i fatti oggetto della domanda estradizionale nelle fattispecie delittuose di cui agli artt. 646 e 648-ter.1 cod. pen.
Quanto all’appropriazione indebita, la Corte territoriale ha escluso la prescrizione secondo il diritto italiano, travisando dei dati e con motivazione lacunosa.
Ha ritenuto invero che la appropriazione si sarebbe consumata solo a far data dalla definitività delle decisioni civili che nel 2019 avevano accertato l’ammontare del debito della società RAGIONE_SOCIALE verso i creditori. Invece l’appropriazione, oggetto della imputazione, ha avuto ad oggetto i beni della RAGIONE_SOCIALE (e non dei creditori) ed era avvenuta nel 2016 (al fine di non pagare i creditori per le sentenze di condanna civili).
La Corte di appello inoltre non ha considerato le due sentenze di condanna civile del 2016, che già accertavano il debito civile.
Quello che è accaduto successivamente nel 2019 (la nuova iniziativa penale dei creditori e le successive sentenze civili del 2018 e 2019) è ininfluente ai fini dell’inquadramento penale dei fatti secondo l’ordinamento italiano, mentre costituiva condizione procedurale necessaria per la configurabilità del reato secondo il diritto uruguayano.
La domanda estradizionale non indica quando la condanna civile sia passata in giudicato, ma ciò è avvenuto prima della successiva iniziativa dei creditori.
Le sentenze successive al 2016 non hanno accertato alcun comportamento ulteriore del ricorrente, utile a configurare la condotta incriminata, che restava quindi pur sempre quella di aver fatto sparire il ricavato di una vendita dal patrimonio della società e trasferirlo all’estero sul suo conto personale, così svuotando il patrimonio della società.
Va tra l’altro considerato che il procedimento instaurato in Italia con riferimento alle medesime somme trasferite in Italia ha visto l’annullamento del decreto di sequestro probatorio per infondatezza delle ipotesi accusatorie ravvisate (riciclaggio e omessa dichiarazione), facendo riferimento ai fatti commessi in Uruguay nel 2016.
Sulla base del corretto inquadramento temporale del fatto ascritto al ricorrente, il reato di appropriazione indebita, secondo la legge italiana, doveva pertanto ritenersi prescritto.
Né la questione è superabile inquadrando i fatti nella fattispecie dell’autoriciclaggio, in quanto la condotta è pur sempre solo quella del trasferimento del danaro nel conto personale del ricorrente.
Tale ipotesi darebbe comunque luogo a litispendenza per il medesimo fatto.
2.4. Violazione di legge per mancanza della doppia incriminabilità.
Difetta in ogni caso la doppia incriminazione, in quanto lecita era la vendita del bene e lecito era il trasferimento delle somme. Quel che era in contestazione era piuttosto la perdita della garanzia patrimoniale. Il comportamento del ricorrente ha quindi una rilevanza soltanto civilistica (anche in Uruguay, dove ha assunto profili penali solo dopo la denuncia degli ex soci a seguito dell’interruzione delle trattative civili).
Viepiù agli atti della domanda è allegata soltanto la Relazione del Procuratore uruguayano che riassume i fatti e non gli atti rilevanti.
La Corte di appello si è limitata ad una verifica formale della documentazione estradizionale, senza alcun concreto apporto valutativo sulla esistenza del fatto.
2.5. Violazione di legge in ordine al divieto dell’estradizione del cittadino, al momento del fatto.
La difesa aveva sostenuto che andava applicato il Trattato vigente al momento della commissione del fatto, ovvero quello del 1879 che prevedeva il divieto dell’estrazione del cittadino.
La diversa soluzione sostenuta dalla Corte di appello viene a contrastare con la riconducibilità delle norme estradizionali sia alla materia penale sia a quella processuale (tempus regit actum).
Sotto il primo profilo, l’applicazione retroattiva delle norme del nuovo Trattato viene a violare il principio della irretroattività sfavorevole in materia penal operante anche nella disciplina internazionale (si allega il parere del prof. COGNOME sul contrasto con l’art. 28 della Convenzione di Vienna).
Quanto alla regola del tempus regit actum, la giurisprudenza di legittimità ha ancorato la disciplina da applicare in materia estradizionale al momento della commissione del reato.
Il diverso orientamento formatosi successivamente nel 2018 non potrebbe essere comunque rilevante in quanto non prevedibile.
2.6. Violazione del diritto dell’imputato a non partecipare al processo.
Si evince dalla domanda estradizionale che l’Uruguay aveva chiesto alla Svizzera il sequestro della somma trasferita dal ricorrente, annunciando che, se fossero stati così acquisiti 800.000 USD, il caso sarebbe stato archiviato.
L’estradizione è stata dunque utilizzata solo per soddisfare esigenze civilistiche dei denuncianti.
Peraltro, anche a fronte della disponibilità del ricorrente a trasferire la suddetta somma, le autorità uruguayane hanno presentato alla Svizzera la richiesta di trasferire tutti i fondi sequestrati, senza neppure una decisione di confisca.
La richiesta è stata respinta dalla Svizzera in considerazione della mancanza di un accordo in tal senso con il ricorrente. Non vi è stato pertanto un comportamento dilatorio del ricorrente per la chiusura del caso.
La difesa del ricorrente, in vista dell’udienza camerale partecipata, ha presentato una memoria, contenente anche motivi nuovi.
3.1. Si ribadiscono le censure già presentate sul momento consumativo del reato di appropriazione indebita e si chiede l’acquisizione delle sentenze di cui ha dato atto la domanda estradizionale.
3.2. Quanto alla prescrizione del reato di appropriazione indebita, si evidenzia che gli atti interruttivi considerati dalla Corte di appello o sono precedenti all ipotizzata commissione del reato nel 2019 (interrogatorio del 2017) o non sono qualificabili come tali (nel 2020 il ricorrente fu solo sentito per il consenso trasferimento della somma in Uruguay).
3.3. Si deduce che i denuncianti, da quanto emerge dalla stessa domanda estradizionale, avrebbero chiesto l’estradizione del ricorrente con mandato di arresto internazionale e di mantenere, con rogatoria, il pignoramento dei beni in Svizzera.
Non si comprende da quale atto sia stata tratta questa affermazione.
Piuttosto dagli atti si evince che, in presenza di un provvedimento che disponga la restituzione ai beneficiari delle somme di denaro sequestrate in Svizzera, l’autorità elvetica acconsentirà alla consegna di tali somme allo Stato uruguaiano. Il che porterebbe alla fine del procedimento penale uruguaiano, in conformità a quanto dichiarato dalla Procura della Repubblica dell’Uruguay (“in caso di adempimento del trasferimento della somma di USD 800.000 dal conto del sig. NOME COGNOME, si procederà a chiudere il presente procedimento e, di conseguenza, la causa sarà archiviata”).
Tale circostanza rende evidente la strumentalizzazione della richiesta estradizionale a finalità private che è confermata da due recenti sopravvenute iniziative giudiziarie dei creditori in Svizzera di sequestro civile, relative medesimi beni oggetto di sequestro penale e alle medesime sentenze esaminate dalla Corte di appello. In quanto atti successivi alla sentenza impugnata, se ne chiede l’acquisizione (nelle istanze di sequestro il credito è fatto decorrere tra l’altro dal 26 ottobre 2017, data della terza sentenza civile, ma con interessi fino
maturati fino a quella data, così evidenziando che il credito era stato accertato in precedenza).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è complessivamente infondato.
Il primo motivo, con cui si denuncia la omessa considerazione di una memoria difensiva, è generico.
La difesa in definitiva lamenta che la Corte di appello non abbia recepito gli argomenti a sostegno di una decisione contraria all’estradizione del ricorrente, come si evince dalla motivazione della sentenza impugnata sui punti oggetto dei motivi che seguono e che attengono ai profili segnalati nella memoria.
Prima di affrontare i restanti motivi, è opportuno preliminarmente affrontare la tesi sulla quale la difesa ha basato alcune delle censure, ovvero quella della natura “sostanziale” dell’istituto della estradizione.
Si tratta di argomentazione non fondata.
Da tempo questa Corte ha escluso che l’estradizione sia un istituto di natura penale “sostanziale” (cfr. da ultimo, Sez. 6, n. 29951 del 30/06/2022).
Si è invero affermato che, anche là dove i trattati rinviano ad istituti di natura penale come la “doppia incriminabilità” o la prescrizione, lo fanno al solo fine specifico di consentire allo Stato di rifugio del ricercato di poter valutare la “riconoscibilità” e quindi la condivisione della pretesa punitiva dello Stato richiedente, così da garantire al contempo la esigenza di reciprocità.
Tali regole sono poste quindi primariamente a tutela della sovranità degli Stati (che pattiziamente ad esse possono rinunciarvi in funzione del rafforzamento della collaborazione reciproca) e solo mediatamente sono invocabili, in quanto limiti all’estradabilità, dai soggetti interessati al rapporto di collaborazione.
La diversa finalità di detti istituti nei rapporti estradizionali ha determinato la loro applicazione in modo svincolato dai principi che governano sul piano nazionale la punibilità penale, sino al punto dal poter essere (nei trattati di più recente conio) addirittura soppressi.
Si è affermato al riguardo che la procedura estradizionale si inscrive in un contesto decisorio di esclusiva rilevanza processuale formale, avulsa da analisi del merito sostanziale dei fatti reato ascritti all’estradando. Con l’effetto, quindi, che gli istituti di diritto penale richiamati dalla normativa estradizionale no soggiacciono alla disciplina dettata dall’art. 2 cod. pen. valevole per le sole norme penali sostanziali (quelle, cioè, direttamente incidenti sul precetto o sulla,
sanzione), la cui concreta applicazione nei casi di estradizione è demandata alla sola autorità giudiziaria dello Stato richiedente (Sez. 6, n. 11495 10 del 21/10/2013, dep. 2014, Rv. 260878; da ultimo Sez. 6, n. 5497 del 02/02/2021, Rv. 280630).
Affermazione, questa, che come già osservato da questa Corte ha trovato autorevoli conferme nella giurisprudenza della Corte EDU (decisioni 6/06/1976, X c. Paesi Bassi; 6/03/1991, Polley c. Belgio, 18/01/1996, Bakhtiar c. Svizzera) e della Corte U.E. (sentenza Grande Sezione, 3 maggio 2007, C-303/05), là dove hanno affermato che la collaborazione giudiziaria – nella forma dell’estradizione e del mandato di arresto europeo – si pone al di fuori del perimetro del principio di legalità di cui all’art. 7 della CEDU, in quanto l’arresto e la consegna, azioni in cui si traduce l’esecuzione di tali procedure, non hanno carattere “punitivo”.
Espressioni di questo enunciato si rinvengono nella giurisprudenza di legittimità nella ritenuta irrilevanza del principio dell’irretroattività della l penale ai fini della verifica della doppia punibilità (tra tante, Sez. 6, n. 14941 del 26/02/2018, Rv. 272765) o nelle modalità di determinazione della legge penale italiana applicabile in tema di prescrizione del reato, indipendentemente se più favorevole o meno all’estradando (Sez. 6, n. 11495 del 2013, cit.).
Con riferimento alla prescrizione del reato, la Suprema Corte ha più volte affermato, nella applicazione di tale istituto a fini estradizionali rispetto alle rego applicabili ai casi “nazionali”, che la previsione di tale motivo di rifiuto tende a evitare che gli Stati parte della Convenzione siano costretti a consegnare un estradando quando vi sia stata la lesione degli interessi presidiati dall’istituto della prescrizione, e pregiudicati dall’inerzia o dalla lentezza del potere pubblico: la ragionevole durata, l’efficienza del procedimento probatorio, l’attualità del bisogno punitivo, ecc. (Sez. 6, n. 29359 del 10/06/2014, Rv. 261644; Sez. 6, n. 5497 del 2021, cit.).
La esigenza di realizzare una più ampia collaborazione tra gli Stati ha portato in epoca più recente a rendere irrilevante anche nelle tradizionali convenzioni di estradizione – di cui è parte anche l’Italia – la prescrizione secondo la legge dello Stato richiesto (cfr. il Quarto protocollo del 2012 alla Convezione europea di estradizione; la Convenzione relativa all’estradizione tra gli Stati membri dell’Unione Europea; il Trattato di estradizione del 13 ottobre 1983, fra Italia e Stati Uniti d’America) o quanto meno ad escluderne il carattere obbligatorio e cogente come motivo di rifiuto (cfr. il Manuale delle Nazioni Unite sul Modello di trattato di estradizione, adottato in Vienna nel 2004).
Le disposizioni pattizie, nella parte in cui escludono la rilevanza della prescrizione del reato secondo la legge dello Stato richiesto, sono risultate infatti conformi alla Costituzione (Sez. 6, n. 33594, 15/06/2012), posto che «la finalità
principe» di esse è di “impedire che il reo possa sfuggire alla sanzione penale, rifugiandosi nello Stato in cui il reato commesso si prescriva nel termine più breve” e la clausola di esclusione “mantiene piena validità ed efficacia anche in relazione al principio della doppia incriminazione” (Sez. 6, n. 40169 del 09/11/2010, Rv. 248932). In tale linea, si pone già da tempo l’ordinamento italiano che non annovera tra le cause di rifiuto dell’estradizione la prescrizione del reato.
Fatta questa premessa, deve ritenersi infondato il secondo motivo, con cui si deduce la violazione dell’art. 2, par. 1 del Trattato di estradizione bilaterale del 2017.
Tale norma indica i reati “estradabili”, ovvero i reati che possono dar luogo ad estradizione, identificandoli in caso di estradizione processuale con quelli punibili, ai sensi della legge di entrambe le Parti, “con una pena detentiva di almeno due anni”.
Già questa Corte, nel fornire l’interpretazione al Trattato di estradizione con gli Stati Uniti del 1983, contenente una formula analoga nell’individuare il reato che può dar luogo ad estradizione (reato punibile “per un periodo superiore ad un anno o con una pena più severa”) ha ritenuto che il requisito di pena detentiva dovesse intendersi riferito alla pena edittale massima contemplata nelle legislazioni di entrambi i paesi (Sez. 1, n. 2922 del 17/11/1989, Rv. 182890).
Va a ciò aggiunto che nella prassi internazionale (cfr. il Mode! Treaty of extradition elaborato dalle Nazioni Unite) sono presi in considerazione due fattori per selezionare i reati estradabili ed evitare estradizioni per fatti bagatellari: range della pena edittale per le estradizioni processuali e la pena effettivamente inflitta per quelle esecutive.
La durata “minima” della pena edittale presa in considerazione nel primo caso dai trattati è quella “massima” astrattamente possibile (come spiega il Mode! Treaty, il test del “minimum penalty” vuol assicurare l’applicazione del trattato ai soli reati di una certa gravità).
La corretta lettura della disposizione pattizia in esame si evince d’altronde dalla disciplina prevista per la estradizione esecutiva, per la quale è richiesto che la pena da scontare debba essere pari ad almeno “sei mesi”: il che porta ragionevolmente ad escludere che nel primo caso sia richiesta una pena edittale nel minimo di almeno due anni.
Sarebbe infatti irrazionale pretendere per le estradizioni processuali il requisito basato sulla pena minima edittale di almeno due anni, per poi ammettere estradizioni esecutive per pene da scontare di appena sei mesi.
Infondati sono il terzo e quarto motivo con i quali si deduce la prescrizione del reato, secondo la legge italiana, e si contesta la qualificazione giuridica dei fatti, oggetto della domanda di estradizione, anche alla luce delle ulteriori argomentazioni esposte nei motivi nuovi.
Il Collegio, al quale in materia estradizionale competono valutazioni estese anche “al merito”, ritiene corretta la qualificazione giuridica dei fatti, descritti n domanda, sia ai sensi dell’art. 648-ter.1 cod. pen., come operata dalla Corte di appello, sia, ai sensi dell’art. 388, primo comma cod. pen., come desumibile d’ufficio, e rispetto a tali delitti non si è maturata la prescrizione.
5.1. Quanto al reato di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen., la difesa ha contestato soltanto che difetti il reato presupposto, consistendo la condotta autoriclatoria nel medesimo fatto.
Va richiamato al riguardo il principio in tema di autoriciclaggio, secondo cui la lecita vestizione delle somme, dei beni e delle altre utilità provenienti dalla commissione del delitto presupposto, derivando dalla condotta di impiego, sostituzione o trasferimento, costituisce, per effetto dell’avvenuta trasformazione, il risultato dell’attività criminosa, sicché le risorse di origine illecita assum un’autonoma individualità e integrano la provvista economica del nuovo delitto trasformativo (Sez. 2, n. 6024 del 09/01/2024, Rv. 285933).
Nella specie, il reato appropriativo presupposto ai danni della società si è consumato in Uruguay con la disponibilità uti dominus del denaro, oggetto della vendita dei beni sociali, da parte del ricorrente, alla quale è seguita la successiva trasformazione dei beni di origine illecita idonea “ad «ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”, quale è stato ritenuto lo spostamento delle risorse all’estero (in Svizzera), elemento di per sé evocativo della volontà di nascondimento del denaro, con l’impiego del danaro in “fondi di investimento” (così pag. 5 della sentenza impugnata).
Così in quadrato il fatto, il reato al momento in cui è stata presentata la domanda estradizionale (17 dicembre 2024) non era dunque prescritto secondo l’ordinamento italiano, anche a voler seguire le indicazioni della difesa, secondo cui il fatto sarebbe da collocare tra il giugno 2016 e il 18 novembre 2016, tenuto conto anche dei fatti interruttivi di cui ha dato atto la Corte di appello, quale deve ritenersi l’interrogatorio del ricorrente del 2017 (non contestato dalla difesa), e dei fatti sospensivi, desumibili dalla sentenza impugnata (quale la espletata rogatoria all’estero).
Quanto alla litispendenza in Italia per il medesimo fatto, si tratta di doglianza generica, tenuto vie più conto che la condizione ostativa della pendenza di un procedimento penale sussiste quando nei confronti dell’estradando, per lo stesso fatto, è stata esercitata in Italia l’azione penale ovvero è stata emes
un’ordinanza applicativa della custodia cautelare (tra tante, Sez. 6, n. 48097 del 12/09/2018, Rv. 274203).
5.2. Preso atto della natura dissimulatioria della condotta ascritta al ricorrente, il fatto è sussumibile, in ogni caso, anche nella fattispecie delittuosa ex art. 388, primo comma, cod. pen., nella specie anche essa non prescritta (tenuto conto dei fatti sospensivi sopra indicati).
Ed invero, è pacifico nella descrizione della vicenda che, nel corso di un contenzioso giudiziario tra la RAGIONE_SOCIALE e terzi creditori, COGNOME, socio unico della RAGIONE_SOCIALE, ha alienato gli unici beni della società.
E’ anche certo che la condanna della Diwin del 2016 non era ad una somma “liquida”. Di qui la necessità di una successiva procedura giudiziaria (art. 378 codice generale del processo uruguayano) per rendere liquida la condanna e consentire quindi solo il 18 dicembre 2018 ai creditori di presentare una ingiunzione di pagamento con termine di tre giorni.
Il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, di cui all’art. 388, primo comma, cod. pen., è a consumazione istantanea e si perfeziona nel momento in cui il debitore non ottempera alla ingiunzione di adempiere, in quanto il danno del creditore si verifica al momento dell’inottemperanza del debitore e la eventuale permanenza dell’inadempimento rappresenta semplicemente la protrazione degli effetti di un fenomeno che si è già realizzato (Sez. 6, n. 44936 del 03/10/2005, Rv. 233502, In motivazione la Suprema Corte ha precisato che sono differenti i concetti di “ingiunzione di ottemperanza” e di “inottemperanza”, perché mentre il primo si configura come una condizione di punibilità del reato, l’altro rappresenta un comportamento che cade sotto la sfera di volontà del debitore; in senso conforme, Sez. 6, n. 22115 del 2013).
5.3. Le censure del ricorrente volte quindi a ricondurre i fatti in una chiave esclusivamente civilistica non hanno alcun pregio.
In questa prospettiva sono da ritenersi infondate anche le doglianze versate nell’ultimo dei motivi nuovi.
Il sistema penale uruguayano, nel dare rilevanza al soddisfacimento delle pretese dei creditori, non differisce dalla analoga disciplina nel sistema italiano della perseguibilità a querela di alcuni reati che offendono diritti individual (laddove il fatto non sia di particolare gravità e la vittima non versi in condizion di vulnerabilità) “sia in funzione di obiettivi di deflazione processuale, direttamente connesse al principio – di rango costituzionale e convenzionale – della ragionevole durata del processo, sia nell’ottica di favorire soluzioni conciliative e riparatorie, grado di soddisfare il giusto bisogno di tutela della vittima senza dover necessariamente pervenire all’esito della condanna e dell’inflizione della pena” (Corte cost. ord. 106 del 2024).
5.4. Infine deve escludersi che, nella valutazione dei fatti, in assenza di norme pattizie, la Corte di appello fosse tenuta a verificare la effettiva loro consistenza
ovvero valutare autonomamente i gravi indizi di colpevolezza, essendo richiesta dalla pacifica giurisprudenza di legittimità soltanto una sommaria delibazione, che
dia atto che nella domanda estradizionale siano indicate le ragioni per le quali è
stato ritenuto probabile, nella prospettiva del sistema processuale dello Stato richiedente, che l’estradando abbia commesso il reato oggetto dell’estradizione
(per tutte, Sez. 6, n. 25853 del 14/05/2024, Rv. 286795).
Questa verifica si rinviene a pag. 9 della sentenza impugnata, dopo la puntuale esposizione delle dettagliate evidenze offerte dalla domanda
estradizionale.
5.5. Tutto ciò premesso, sono precluse (perché tardive) e comunque irrilevanti (con riferimento alla richiesta dei provvedimenti del febbraio 2025) le
richieste di acquisizione documentale avanzate dalla difesa.
6. Le osservazioni esposte al paragrafo 3 del Considerato in diritto portano a ritenere infondato anche il motivo sul rifiuto della consegna del cittadino.
L’art. 24 del Trattato bilaterale di estradizione dell’Il maggio 201, entrato in vigore tra le parti 1’8 agosto 2020, stabilisce: “Il presente Trattato sì applicherà ad ogni richiesta presentata dopo la sua entrata in vigore, anche se i relativi reati sono stati commessi prima di tale data”.
Alla domanda in esame era applicabile il suddetto trattato con esclusione, pertanto, della rilevanza, ai fini del rifiuto, della cittadinanza della persona chiest in estradizione (art. 5).
Sulla base di quanto premesso, il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese o GLYPH processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti previsti dall’art. 203 disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 10/Q4A2025.