Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 7797 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 7797 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 09/06/1956
avverso la sentenza del 29/10/2024 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale COGNOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato; uditi gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME difensori di COGNOME NicolaCOGNOME che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Napoli ha dichiarato l’esistenza delle condizioni per raccoglimento della domanda di estradizione presentata dal Principato di Monaco nei confronti di NOME COGNOME in relazione al mandato di arresto emesso il 09/05/2023 dal Tribunale di prima istanza di Monaco, che lo ha condannato alla pena di anni uno di reclusione per
partecipazione ad una associazione finalizzata alla commissione di delitti di riciclaggio e reimpiego di denaro, provento di delitti tributari.
Rilevava la Corte distrettuale come sussistessero tutte le condizioni previste dalla disciplina codicistica e da quella della Convenzione europea di estradizione del 1957 per accogliere la richiesta di estradizione passiva, in presenza di elementi di prova evocativi della esistenza dei delitti contestati al ricorrente, puniti anche nell’ordinamento italiano dagli artt. 416, 648-bis e 648-ter cod. pen.
Avverso tale sentenza hanno presentato ricorso i difensori di NOME COGNOME deducendo i motivi di annullamento di seguito sintetizzati.
2.1. Con il primo motivo si deduce il vizio di violazione legge in riferimento all’art. 702 cod. proc. pen., in quanto, in assenza di accordi bilaterali tra l’Italia il Principato di Monaco, quest’ultimo non rispetta il principio di reciprocità in materia di estradizione. L’art. 7 I. n. 1222 dell’ordinamento monegasco prevede, infatti, che il Principato non consente l’estradizione dei propri cittadini, per cui l Corte di appello avrebbe dovuto escludere l’estradizione del cittadino italiano verso il Principato; in ogni caso, anche laddove fosse possibile l’estradizione a condizione di reciprocità, nel caso di specie essa avrebbe dovuto essere negata in quanto l’art. 5 della medesima legge introduce il divieto di bis in idem.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 10 della Convenzione europea di estradizione del 1957 e all’art. 649 cod. proc. pen.
Il Principato di Monaco non risulta firmatario del Quarto protocollo addizionale della Convenzione europea di estradizione, adottato a Vienna nel 2012. Pertanto, in materia di prescrizione, avrebbe dovuto essere applicata la formulazione originaria della norma convenzionale, che vieta l’estradizione se è maturata la prescrizione del reato o della pena secondo la legislazione dello Stato richiedente o dello Stato richiesto. Nel caso di specie i reati contestati al ricorrente, secondo la legge italiana, sono prescritti fin dall’anno 2021.
Sotto altro profilo la difesa deduce l’identità del fatto contestato nel Principato di Monaco rispetto a quello oggetto di altro procedimento, già pendente innanzi alla Corte di appello di Milano e concluso con sentenza di non luogo a procedere.
2.3 Con il terzo motivo di ricorso si deduce il vizio di violazione di legge in relazione all’articolo 705, comma 2 lett. b), cod. proc. pen., che non consente l’estradizione se la sentenza per la cui esecuzione è stata domandata contiene disposizioni contrarie a principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato. Premesso che la sentenza pronunciata dal Tribunale di Monaco non è definitiva, essendo oggetto di impugnazione, la difesa rileva che l’ordinamento del Principato di Monaco non prevede istituti omologhi alla sospensione
condizionale della pena né misure alternative alla detenzione cui, nell’ordinamento italiano, il ricorrente avrebbe potuto accedere tenuto conto dello stato di incensuratezza e della misura della pena irrogata (anni uno di reclusione). Tale normativa, quindi, non consente che la pena abbia funzione rieducativa, come imposto dall’art. 27 Cost.
Né vi è certezza che il periodo di detenzione cautelare, che attualmente il ricorrente sta scontando, venga dedotto dalla pena comminata con la sentenza di condanna
In via subordinata, laddove si ritenga che l’articolo 705, comma 2, lett. b), cod. proc. pen. non consenta di ritenere ostative alla estradizione la mancata deduzione del presofferto e l’impossibilità di beneficiare della sospensione condizionale della pena o di misure alternative alla detenzione, le difese chiedono che venga sollevata questione di legittimità costituzionale della norma per contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost. e 7 CEDU.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Il Principato di Monaco, membro del Consiglio d’Europa, ha aderito alla Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 30 gennaio 1963, n. 300. Tale convenzione, all’art. 1, prevede che «le Parti Contraenti si obbligano a estradarsi reciprocamente, secondo le regole e le condizioni stabilite negli articoli seguenti, gli individui perseguiti per un reato o ricercati per l’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza dalle autorità giudiziarie della Parte richiedente».
Il Principato di Monaco ha formulato riserva, ai sensi dell’art. 26, comma 3, della Convenzione, precisando che, ai fini dell’art. 6, par. 1 (secondo cui «ciascuna Parte Contraente avrà la facoltà di rifiutare l’estradizione dei suoi cittadini. Ciascuna Parte Contraente potrà, mediante una dichiarazione fatta al momento della firma del deposito dello strumento di ratificazione o di adesione, definire, per quanto la concerne, il termine «cittadini» nel senso della presente Convenzione»), la condizione di cittadino va determinata sulla base della legge monegasca (The Principality of Monaco declares that the term “national” in the context of Article 6, paragraph 1, of the European Convention on Extradition means any person who is a “Monégasque” under the legislation of Monaco”).
Tale riserva, però, non può essere fatta valere dal ricorrente, che è cittadino italiano, nei cui confronti, pertanto, non vale la condizione di reciprocità evocata nel ricorso, non avendo l’Italia, diversamente di Principato di Monaco, posto riserva
sulla facoltà di rifiuto dei propri cittadini (v. lista delle dichiarazioni di riserv parte degli Stati firmatari della Convenzione europea di estradizione).
Sul punto va, peraltro, ribadito l’orientamento già espresso da questa Corte, secondo cui la facoltà di rifiuto dell’estradizione derivante dalla “clausola di reciprocità” prevista dall’art. 26, par. 3, della Convenzione europea di estradizione, secondo cui «una Parte contraente che abbia formulato una riserva in merito ad una disposizione della Convenzione non potrà pretendere che un’altra parte applichi tale disposizione se non nella misura in cui essa stessa l’abbia accettata», essendo attinente alla dimensione politica della cooperazione tra Stati, può essere esercitata esclusivamente dall’Autorità politica, cioè dal Ministro della Giustizia (Sez. 6, n. 7975 del 22/01/2020, Rv. 278456 – 02; Sez. 6, n. 34870 del 11/06/2007, Rv. 237648 – 01).
Da ciò consegue l’inammissibilità del primo motivo di ricorso.
Il profilo del bis in idem, tratteggiato con il medesimo motivo, sarò esaminato al par. 3.2.
3. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
3.1. L’art. 10 della Convenzione europea di estradizione del 1957, nella sua formulazione originaria, stabiliva che “L’estradizione non sarà consentita se la prescrizione dell’azione o della pena è acquisita secondo la legislazione della Parte richiedente o della Parte richiesta”.
Tale norma è stata modificata dall’art. 1 del Quarto Protocollo addizionale della Convenzione, firmato a Vienna il 20/09/2012, che ha stabilito che, ai fini dell’estradizione, si debba tenere conto esclusivamente della disciplina della prescrizione dell’azione o della pena dello Stato richiedente.
Tale protocollo è stato sottoscritto e reso esecutivo in Italia con la legge 24 luglio 2019, n. 88, mentre non risulta essere stato sottoscritto dal Principato di Monaco.
Dalla richiesta di estradizione emerge che le pene per i reati per cui è intervenuta condanna nel Principato di Monaco si prescrivono in venti anni, per cui la pena pronunciata dal Tribunale di prima istanza in data 09/05/2023 non è prescritta.
Secondo la difesa, poiché il termine di prescrizione del reato è, invece, decorso nell’ordinamento italiano, ove il riciclaggio e il reimpiego sono puniti con pena fino a 12 anni di reclusione, in applicazione dell’art. 10 della Convenzione europea nella formulazione originaria, che regola i rapporti tra Italia e Principato di Monaco in materia, l’estradizione dovrebbe essere rifiutata.
Tale suggestiva prospettazione presuppone che per i due Paesi valga, in materia di prescrizione, la medesima regola, secondo il principio di reciprocità.
Così, però, non è, perché, per il Principato di Monaco, che non ha aderito al Quarto Protocollo addizionale, la regola in materia di prescrizione è quella dell’art. 10 della Convezione di estradizione del 1957, nella sua formulazione originaria, mentre per lo Stato italiano, che ha aderito a tale Protocollo, la norma convenzionale in vigore in tema di prescrizione è quella modificata e resa esecutiva con legge 24 luglio 2019 n. 88. Questa norma, infatti, è sul punto l’unica vigente nel nostro ordinamento.
Da ciò consegue che la verifica del motivo ostativo costituito dalla prescrizione del reato per cui si procede va compiuta dal giudice italiano tenendo conto esclusivamente della disciplina della prescrizione dell’azione o della pena dello Stato richiedente.
Poiché, come detto, nel Principato di Monaco la prescrizione non è maturata, correttamente la sentenza impugnata non ha ritenuto sussistere una causa ostativa all’estradizione.
3.2. Quanto alla violazione del divieto di bis in idem, la sentenza impugnata, con motivazione logica e immune da vizi, ha rilevato che il fatto contestato nel procedimento già pendente innanzi alla Corte di appello di Milano è diverso, nelle sue componenti oggettive, soggettive e spazio-temporali, da quello contestato innanzi al Tribunale di Monaco. In particolare, il procedimento italiano aveva ad oggetto un’associazione operante dal 2004 al 2010 finalizzata alla commissione di più delitti di emissione e di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, dichiarazione infedele, di omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali e di occultamento delle scritture contabili, mentre il procedimento monegasco ha ad oggetto un’associazione operante dal 2006 al 2011, in cui la condotta rilevante a carico del ricorrente è la percezione sul proprio conto corrente della somma di euro 500.000 nel marzo e della medesima somma nel maggio dell’anno 2009, provenienti dalle società RAGIONE_SOCIALE worldwide trading e must import RAGIONE_SOCIALE, condotte di cui non vi è traccia nel procedimento italiano.
Tale motivazione dunque resiste alle generiche censure al riguardo mosse con il ricorso.
Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente rileva che non vi è certezza che il periodo di detenzione cautelare, che attualmente il ricorrente sta scontando, venga dedotto dalla pena irrogata con la sentenza di condanna.
Tale censura è manifestamente infondata in quanto il ricorrente è stato arrestato, ai sensi dell’art. 716 cod. proc. pen., e sottoposto a misura cautelare proprio nell’ambito del procedimento per la sua estradizione nel Principato di Monaco.
Il motivo, poi, è infondato nella parte in cui deduce il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 705, comma 2, lett. b), cod. proc. pen., in quanto l’ordinamento del Principato di Monaco non prevede istituti omologhi alla sospensione condizionale della pena né misure alternative alla detenzione cui, nell’ordinamento italiano, il ricorrente avrebbe potuto accedere, tenuto conto dello stato di incensuratezza e della misura della pena irrogata.
Infatti, è stato ripetutamente affermato da questa Corte che l’assenza, nel regime normativo dello Stato richiedente, di una disciplina che contempli l’operatività di misure alternative alla detenzione non consente di attribuire alla pena una funzione contrastante con le esigenze teleologiche proprie dell’ordinamento dello Stato richiesto, né comporta la violazione dei diritti fondamentali dell’individuo (Sez. 6, n. 1838 del 18/12/2019, COGNOME Rv. 278108 – 02; Sez. 6, n. 5747 del 09/01/2014, Homm, in motivazione).
Da ciò consegue la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata dalla difesa.
Al rigetto del ricorso segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento in favore dell’erario delle spese del presente procedimento. Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti comunicativi di cui all’art. 203 disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 23/01/2025