Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 19481 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 19481 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME nato a Zurigo il 15/03/1958
avverso la sentenza del 13/02/2025 della Corte di appello di Torino letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore, Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.11 difensore di NOME NOME COGNOME ha proposto ricorso avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Corte di appello di Torino ha dichiarato sussistenti le condizioni per accogliere la domanda di estradizione presentata dagli Stati Uniti in esecuzione dell’ordine di arresto, emesso 1’11 dicembre 2013 dal Tribunale distrettuale degli Stati Uniti, distretto del Nevada, nei confronti del ricorrente per i reati di associazione per delinquere, frode telematica, frode finanziaria e favoreggiamento, commessi dal 2009 al 2013.
Ne chiede l’annullamento per i motivi di seguito illustrati.
1.1.Con il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 705 cod. proc. pen., 10, 11 e 117 Cost. in relazione agli obblighi assunti dall’Italia in materia di ne bis in idem.
La Corte di appello ha ritenuto pacifico che per i fatti oggetto della richiesta di estradizione è già intervenuta in Svizzera sentenza definitiva di condanna (a pena interamente scontata), come risulta dalla sentenza, emessa il 10 novembre 2020 dal Tribunale distrettuale di Horgen, depositata dalla difesa. A seguito di tale produzione la Corte di appello ha chiesto informazioni integrative agli Stati Uniti, dalle quali è emerso che i fatti per cui è chiesta l’estradizione sono ricompresi in quelli giudicati, ma, ciò nonostante, la Corte di appello ha ritenuto inapplicabile il principio del ne bis in idem, trattandosi di sentenza emessa dall’autorità giudiziaria di uno Stato non appartenente all’Unione Europea.
La valutazione è frutto di erronea interpretazione della giurisprudenza citata, che non limita affatto il principio allo spazio giuridico dell’Unione Europea, bensì allo spazio giuridico di cui al Consiglio d’Europa – art. 4, Protocollo Cedu- e all’accordo Schengen – art. 54-, come riconosciuto in una recente sentenza di questa Corte. Sostiene che il principio del ne bis in idem trova fondamento in una molteplicità di fonti normative quali: l’art. VI del trattato di estradizione tra governo italiano e il governo degli Stati Uniti; V Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti; art. 9 della legge n. 300 del 30 gennaio 1963 di ratifica della Convenzione europea di estradizione, firmata il 13 dicembre 1957 a Parigi, sottoscritta da tutti i Paesi del Consiglio di Europa, di cui la Svizzera è paese membro; art. 14, comma 7, Patto internazionale dei diritti civili e politici ONU del 16 dicembre 1966, ratificato dalla Svizzera il 18 giugno 1992 e dall’Italia con legge n. 881 del 1977; art. 49 della Convenzione europea sulla validità internazionale dei giudizi repressivi, adottata a L’Aia il 28 maggio 1970 dal Consiglio d’Europa di cui la Svizzera è paese membro e ratificata dall’Italia con legge 16 maggio 1977 n. 305; art. 54 dell’accordo di Schengen, sottoscritto da tutti i paesi del Consiglio d’Europa, di cui la Svizzera è paese membro, ratificato con legge n. 388 del 30 settembre 93; art. 7 Protocollo 4 CEDU. Ne deriva che l’art. 705 cod. proc. pen., letto alla luce delle suindicate fonti sovranazionali delinea il principio del ne bis in idem internazionale come principio generale dell’ordinamento, che deve trovare applicazione nel caso in esame.
1.2.Con il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 698 cod. proc. pen. con riferimento al pericolo di violazione dei diritti fondamentali della persona, in quanto la consegna di un soggetto che è già stato giudicato e ha già scontato la propria pena ad uno Stato per la sottoposizione ad un nuovo processo per gli stessi fatti integra una gravissima violazione dei suoi diritti fondamentali, tra i quali va annoverato anche il diritto ad una ragionevole durat9
del processo. Segnala che la legislazione del Nevada prevede un termine per la prescrizione, che, tuttavia, si interrompe con la richiesta di rinvio a giudizio, con conseguente possibilità di procedere sempre, il che contrasta con il VI emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, che impone la ragionevole durata del processo. Nel caso di specie, l’accoglimento della richiesta di estradizione consentirebbe di sottoporre a processo l’imputato per fatti risalenti a 15 anni fa, in violazione dei diritti fondamentali della persona; analoga violazione si verificherebbe, in quanto il ricorrente non ha rinunciato al principio di specialità, sistematicamente disatteso dallo Stato richiedente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato.
Il tema centrale posto dal ricorso è la violazione del principio del ne bis in idem internazionale, avendo la Corte di appello riconosciuto, all’esito delle informazioni integrative richieste agli Stati Uniti, che per gli stessi fatti per i q è chiesta l’estradizione del ricorrente, questi è stato già giudicato in Svizzera con sentenza definitiva di condanna a pena interamente espiata, sicché la decisione favorevole all’estradizione si pone in netto contrasto con il principio indicato, applicabile nella fattispecie, non essendo ostativa la circostanza che la Svizzera non faccia parte dell’Unione Europea, essendo Stato membro del Consiglio d’Europa e firmatario dell’accordo di Schengen e della Convenzione Europea di estradizione.
In sostanza il ricorrente contesta l’applicazione del principio indicato allo spazio giuridico europeo, sostenendone l’estensione alla Svizzera, paese di origine dell’estradando, in quanto Stato membro del Consiglio d’Europa, ma tale opzione interpretativa si fonda sull’erronea equiparazione di tale organizzazione internazionale con l’Unione Europea (il Consiglio d’Europa è estraneo all’UE) o in ragione dell’accordo di Schengen cui la Svizzera ha aderito, senza far parte dell’Unione europea, attraverso specifici accordi di associazione.
Ne deriva che erroneamente la difesa fa riferimento a fonti sovranazionali, applicabili nell’ambito e nello spazio giuridico europeo, che in senso conforme prevedono la facoltà di rifiuto dell’estradizione se l’estradando è stato definitivamente giudicato dalle autorità competenti della Parte richiesta.
In tal senso dispone l’art. 9 della Convenzione europea di estradizione, secondo il quale “L’estradizione non sarà consentita quando l’individuo reclamato è stato definitivamente giudicato dalle autorità competenti della Parte richiesta per i fatti che motivano la domanda. Essa potrà essere rifiutata se le autorità competenti della Parte richiesta hanno deciso di non aprire un perseguimento penale o di chiuderne uno già avviato per gli stessi fatti”.
Analoga previsione è contenuta nell’art. 50 della Carta di Nizza, secondo il quale “nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge”.
L’inserimento del principio del ne bis in idem nella Carta di Nizza tra i diritti fondamentali dell’Unione Europea lo configura come una garanzia generale da invocare nello spazio giuridico europeo ogni qual volta si sia formato un giudicato penale su un medesimo fatto e nei confronti della stessa persona, ma l’art. 51 della Carta di Nizza stabilisce che essa si applica agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione: previsione, questa, che circoscrive l’ambito di applicazione della Carta stessa alle materie che rientrano negli ambiti di competenza dell’Unione europea.
Se è, quindi, pacifico che l’inserimento del principio del ne bis in idem nella Carta di Nizza tra i diritti fondamentali dell’Unione Europea consente di configurarlo come una garanzia generale da invocare nello spazio giuridico europeo ogni qual volta si sia formato un giudicato penale su un medesimo fatto e nei confronti della stessa persona e che tale principio deve trovare pieno riconoscimento nel nostro ordinamento nel senso che il giudice italiano deve darvi attuazione attraverso il riconoscimento delle sentenze emesse dai giudici appartenenti agli Stati membri dell’Unione, nel caso di specie tale ipotesi non ricorre, non essendo la Svizzera paese membro dell’Unione europea.
L’estradizione del ricorrente trova, invece, regolamentazione nel Trattato bilaterale di estradizione tra Governo degli Stati Uniti d’America e Governo della Repubblica Italiana del 13 ottobre 1983, ratificato con legge 26 maggio 1984, n. 225 e del trattato integrativo del 3 maggio 2006, risultante dall’Accordo tra gli Stati Uniti d’America e l’Unione europea del 25 giugno 2003, ratificato e reso esecutivo in Italia con legge 16 marzo 2009, n. 25, il cui art. VI prevede espressamente che “l’estradizione non è concessa quando la persona richiesta è stata condannata, assolta o graziata, o ha scontato la pena inflittale dalla Parte richiesta per gli stessi fatti per i quali l’estradizione è domandata”.
Ne discende che per l’autorità giudiziaria italiana non risulta ostativa la sentenza emessa in Svizzera per gli stessi fatti, sicché correttamente la Corte di appello ha ritenuto sussistenti le condizioni per l’accoglimento della domanda di estradizione formulata dagli Stati Uniti, avendo verificato la completezza della documentazione trasmessa, la sussistenza della doppia incriminazione, trattandosi di reati di associazione a delinquere e truffa previsti anche dall’ordinamento interno, e del limiti di pena previsti dalla legislazione statunitense.
Anche il secondo motivo è infondato.
La Corte di appello ha già fornito risposta alle obiezioni difensive, reiterate nel ricorso, evidenziando che i reati non sono prescritti secondo la legislazione
dello Stato richiedente e non vi è violazione del principio della ragionevole durata del processo, non essendo irragionevole la previsione della interruzione della
prescrizione con la richiesta di rinvio a giudizio, invece, espressiva dell’intento di perseguire soggetti resisi irreperibili come il ricorrente, arrestato a fin
estradizionali nel 2014 in Serbia, ma rimesso in libertà per motivi non noti allo
Stato richiedente, come da nota in atti del Dipartimento della giustizia degli Stati
Uniti.
3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. cod.
proc. pen.
Così deciso il 29 aprile 2025
Il consigliere eeensore
Il GLYPH esidnte