Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1296 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1296 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Ventimiglia il 14/05/1974
avverso la sentenza del 03/10/2024 della Corte di appello di Genova visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato; uditivo il difensore, avv. NOME COGNOME in sostituzione degli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Genova, decidendo in sede di rinvio dopo l’annullamento della Corte di cassazione, dichiarava la sussistenza delle condizioni per l’estradizione di NOME COGNOME richiesta dal Principato di Monaco al fine del suo perseguimento penale per il reato di bancarotta.
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La Corte di appello dava atto che, con una prima sentenza del 9 giugno 2022, la Corte di cassazione aveva annullato la decisione della Corte di appello sulla estradabilità del Carzo affinché fosse effettuato un nuovo giudizio sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e della doppia incriminabilità; che al giudizio di rinvio era seguito un successivo annullamento da parte della Corte di cassazione, con sentenza del 10 novembre 2023, che aveva rilevato da un lato come risultasse ancora carente la verifica sulla gravità indiziaria e dall’altro lato che residuava ancora la lacuna segnalata in ordine alla configurabilità nel fatto della ipotesi di bancarotta secondo l’ordinamento italiano.
Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori dell’interessato, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 705 cod. proc. pen. per mancato vaglio degli elementi indizianti e per mancanza del requisito della doppia incriminabilità.
La Corte di appello ha erroneamente ritenuto sufficiente il verbale di polizia giudiziaria che dava atto degli elementi indiziari a carico dell’estradando, senza tuttavia acquisire gli atti di indagine in essa richiamati. In tal modo non consentendo di effettuare quella verifica non formale richiesta dalle sentenze rescindenti e di vagliare la coerenza tra la relazione, che “interpreta” il materiale probatorio, e gli atti di indagine. La verifica va infatti effettuata sugli att indagine nella loro interezza e non per mero rinvio.
Quanto al secondo profilo della doppia incriminabilità, la Corte di appello ha utilizzato in primo luogo un documento privo di sottoscrizione pervenuto via pec e dall’altro lato ha ritenuto sufficiente in luogo della dichiarazione di fallimento – ch costituisce il presupposto indefettibile del reato di bancarotta nell’ordinamento italiano – l’avvenuta liquidazione della società.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente da rigettare.
Il primo profilo di censura, relativo alla verifica del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza demandata dalle sentenze di annullamento, è manifestamente infondato.
2.1. Il parametro della verifica rimessa alla Corte di appello, indicato dalla prima sentenza della Suprema Corte, era il seguente:
“l’autorità giudiziaria italiana, anche qualora la convenzione applicabile non preveda la valutazione da parte dello Stato richiesto dei gravi indizi di colpevolezza, non può limitarsi a un controllo meramente formale della documentazione allegata, ma deve compiere, ai sensi dell’art. 705 cod. proc. pen., una sommaria delibazione diretta a verificare, sulla base degli atti prodotti, l’esistenza di elementi a carico dell’estradando, nella prospettiva del sistema processuale dello Stato richiedente”.
“l’autorità giudiziaria italiana è tenuta ad accertare, con una sommaria delibazione’ che la documentazione allegata alla domanda sia in concreto idonea ad evocare, nella prospettiva del sistema processuale dello Stato richiedente, l’esistenza di elementi a carico dell’estradando che integrino dei reati puniti anche nell’ordinamento interno alla stregua di una descrizione dettagliata e precisa dei fatti stessi”.
Con la precisazione che:
“La Corte di appello non era certamente tenuta ad una autonoma valutazione della sussistenza della gravità indiziaria ma doveva dare atto di avere quanto meno compiuto una verifica della sussistenza di un quadro probatorio che potesse fare ritenere che la valutazione di tale presupposto sia stata ragionevolmente operata da parte dello Stato richiedente”.
La seconda sentenza di annullamento aveva poi rilevato che la Corte di appello aveva soltanto “supposto” che l’autorità richiedente avesse effettuato il suddetto vaglio, limitandosi a richiamare l’ampia documentazione fornita in sede estradizionale.
2.2. Pertanto, la pretesa difensiva che la verifica del quadro indiziario dovesse essere effettuato direttamente dalla Corte di appello sugli atti di indagine non trova alcun fondamento nelle sentenze di annullamento, che hanno richiamato la pacifica giurisprudenza di legittimità sul controllo del requisito dei gravi indizi con riferimento ad una domanda estradizionale basata sulla Convenzione europea di estradizione.
Come si è testualmente visto, le sentenze di annullamento hanno espressamente escluso che alla Corte di appello fosse demandata la “autonoma valutazione” della sussistenza della gravità indiziaria, ritenendo necessaria invece la verifica che “la valutazione di tale presupposto sia stata ragionevolmente operata da parte dello Stato richiedente”.
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Ne consegue che correttamente la Corte di appello ha preso in considerazione il verbale redatto dalla polizia giudiziaria monegasca che indicava le fonti di prova ritenute, nella prospettiva del sistema processuale dello Stato richiedente, seriamente evocative dell’ipotesi di reato contestata (tra tante, Sez. 6, n. 9758 del 30/01/2014, Rv. 258810). (5
Il secondo profilo di censura è infondato.
3.1. Secondo un principio più volte affermato, ai fini della verifica della cosiddetta doppia incriminabilità nelle procedure di estradizione, in assenza di specifiche disposizioni pattizie, è sufficiente che il fatto, così come descritto nella domanda estradizionale, costituisca, al momento della decisione sulla domanda nell’ordinamento dello Stato richiesto, una qualsiasi fattispecie di reato (Sez. 6, n. 14941 del 26/02/2018, Rv. 272765).
La giurisprudenza di legittimità ha infatti spiegato che questo controllo da parte dello Stato richiesto non ha la funzione di presidiare il rispetto del principio di legalità (che deve essere invece garantito nello Stato richiedente) ma ha soltanto la finalità di consentire la “riconoscibilità” della pretesa penale esercitata dallo Stato richiedente e quindi la condivisione della richiesta di collaborazione che sta alla base della domanda estradizionale (Sez. 6, n. 29951 del 30/06/2022, in motivazione).
3.2. Con riferimento alla fattispecie penale di bancarotta, va osservato che nella previgente normativa penale italiana in tema di reati concorsuali la dichiarazione di fallimento, che costituiva un elemento costitutivo dei reati di bancarotta, aveva la specifica funzione di accertare in via definitiva la esistenza degli estremi per l’apertura del procedimento concorsuale (la qualità di imprenditore commerciale e lo stato di insolvenza), insindacabile in sede penale (Sez. U, n. 19601 del 28/02/2008, COGNOME, Rv. 239398). A tale dichiarazione la legge fallimentare equiparava la dichiarazione dello stato di insolvenza, nell’amministrazione coatta amministrativa, ovvero in una amministrazione concorsuale prevista per determinate categorie di imprese.
Nella vigente disciplina, a seguito dell’entrata in vigore del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), che ha eliminato la tradizionale procedura fallimentare, presupposto dei reati di bancarotta (artt. 322 del codice) è divenuta la sentenza che dichiara aperta la “liquidazione giudiziale” con la quale, accertato lo stato di insolvenza, viene privato il debitore dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti (art. 142 del codice).
Quindi l’elemento comune ad entrambe le discipline penali, se pur diversamente denominato, è l’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza.
Stato che, come precisa l’art. 2 del codice, è quello che “si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”, così confermando la definizione di insolvenza già contenuta nell’art. 5 I.fall.
3.3. Fatta questa premessa, deve ritenersi corretta la verifica condotta dalla Corte di appello sulla doppia incriminabilità.
La Corte di appello ha ritenuto che l’accertamento giudiziale della “cessazione dei pagamenti” e la successiva liquidazione giudiziaria della società amministrata dall’estradando, nonostante la diversa denominazione, fossero assimilabili alla dichiarazione di fallimento o ad altra procedura concorsuale volte a constatare la crisi dell’impresa, presupposto dei reati di bancarotta.
La procedura giudiziale di “cessazione dei pagamenti”, prevista dal Codice del commercio monegasco, consultabile su fonti ufficiali aperte dello Stato richiedente (sito web Legimonaco del Principato di Monaco), è infatti una procedura concorsuale che constata lo stato di insolvenza (mentre quella di “fallimento” richiede in più una condotta in mala fede o fraudolenta del debitore).
3.4. Infondato è anche il rilievo della inattendibilità della risposta pervenuta dallo Stato richiedente.
Quel che rileva è la riconducibilità delle informazioni allo Stato richiedente, nella specie attestata dalla pec.
Sulla base di quanto premesso, il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti previsti dall’art. 203 disp. att, cod. proc. pen.
Così deciso il 18/1272024.